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Cristiano Lorenza

Page history last edited by lorenza 12 years, 12 months ago

PORTFOLIO

Ad ogni incontro devi esprimere i tuoi pensieri sul film proposto editando questa pagina e scrivendo nello spazio sotto a ciascuna domanda

 


12 ottobre 2010: CARO DIARIO di Nanni Moretti, Italia 1993 (IV episodio: Medici) 30'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

La figura del medico che viene ritratta in questo film è lontana dall'immagine che io ho di esso. In questo film il medico è un artigiano, magari un bravo artigiano ma limitato, limitatissimo! Ogni medico, per così dire, coltiva il suo campicello senza andare a vedere oltre il proprio confine. Quindi il paziente dovrebbe essere in grado di orchestrare tutti i medici al fine che oguno metta in comune e quindi a frutto le proprie conoscenze. Ovviamente però il paziente non è in grado di fare ciò quindi è in balia di un sistema santiario disorganizzato e di medici/artigiani. L'ascolto del paziente e la interpretazione delle sue parole dovrebbe essere alla base della visita e quindi della cura medica come fa capire il protagonista stesso che continua ad andare al centro di cura cinese non tanto perchè le cure siano relamente efficaci e lo facciao stare meglio ma perchè lì riceve le attenzioni che cerca e che merita.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Il messaggio che il film vuole dare è che la professione medica non è una professione che ognuno può svolgere isolatamente. Il cuore di un buon servizio sanitario è la cooperazione. Non credo che davvero il paziente sia lasciato così allo sbando senza il minimo tentativo da parte di ogni figura sanitaria di trovare una soluzione o di indirizzare il paziente verso il reparto giusto. E' possibile che il problema sia di difficile individuazione e soluzione e che quindi il paziente navighi anche a lungo da un reparto all'altro ma comunque accompagnato da figure che seguono un filo logico che, anche se ignoto al paziente, abbia la speranza di andare a trovare la base del problema.

 

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

Come ha detto il dottor Zampetta al congresso presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Gesù a febbraio dell'anno scorso, il medico si deve "prendere carico" del paziente ovvero deve provvedere a lui pienamente e abbandonarlo solo nella certezza che lui abbia qualcun altro, un altro medico, che si prenda carico di lui ma con maggiore competenza. Quindi, all'opposto di quanto succede nel fim, il paziente deve essere guidato da mani esperte e non deve mai rimanere solo.

 

 


19 ottobre 2010: UN MEDICO UN UOMO di Randa Haines, USA 1991, 124'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

La visione del film "Un medico un uomo" può essere interessante all'interno di un percorso bioetico perchè, oltre a rappresentare la condizione di stress, paura ed insicurezza di un paziente, mette in evidenza il rapporto medico-paziente in cui, peraltro, paziente e medico sono la stessa persona.

L'inizio del film evidenzia il comportamento da medico del protagonista. Evince la sua professionalità e la sua riconosciuta esperienza. I collaboratori lo trattano con rispetto e i colleghi gli chiedono pareri, segno evidente di stima. Dall'altra faccia della medaglia il suo atteggiamento nei confronti dei pazienti è freddo e distaccato. Ai suoi tirocinanti insegna che è "meglio una mano ferma che un cuore emotivo": il medico "entra, aggiusta e se ne va". Secondo questa politica nelle sue sale operatorie viene instaurato un ambiente privo di tensione per i medici, anzi allegro e perfino chiassoso.

Esplicativo della tranquillità del dottor Mckee è il momento in cui lui racconta una barzelleta durante un'operazione chirurgica, proprio conseguentemente la momento in cui l'infermiera allarmata indica che i parametri stanno diventando bruscamente pericolosi. Infine, a sottolineare ancora maggiormente il distacco emoticvo del protagonista viene proposto il confronto con un altro medico che arriva perfino a parlare, per comunicargli quanto accade, col paziente sotto anestesia.

La struttura del film dedica una breve sequenza di scene per mostrare l'atteggiamento medico condotto da sempre da Mckee. Il cambiamento è piuttosto drastico dal momento in cui gli viene diagnosticato il tumore. Inizialmente la veste del paziente sta stretta al dottor Mckee: trattato come un comune paziente, senza alcun privilegio, si rende conto di quali ostacoli, inconvenienti e disagi può incontrare un malato, oltre al fatto che questa nuova umanità acquisita per forza di cose gli apre gli occhi anche sul rapporto famigliare. Può perfino essere considerata una fortuna l'incontro da parte del paziente Mckee di un medico curante tanto simile al sè medico da palesargli i suoi precedenti errori. La dottoressa, fredda, comunica quasi a bruciapelo la diagnosi negativa, prescrive una serie di analisi e comunica le possibilità di cura con le varie percentuali di successo.

Gli esiti di questa drastica umanizzazione si possono osservare immediatamente. Il dottor Mckee, tornato in reaparto, mostra la sua nuova sensibilità rimproverando un tirocinante quando questo, in modo superficiale, secondo le abitudini dettate  dallo stesso Mckee, indica il paziente da visitare con l'appellativo "terminale della 17"piuttosto che col suo nome. La sensibilizzazione accelera dal momento in cui Mckee comincia le cure. Il contatto con gli altri malati gli fa finalmente accettare se stesso come un paziente. Si trova ad ammmettere che il sistema di finanziamenti sanitari è congegnato in modo da non rispondere effettivamente alle necessità per la salute nazionale. 

Il rapporto con i pazienti completa Mckee nella sua preparazione per diventare un medico completo, Ha scoperto che "ogni medico diventa paziente" e che quest'ultimo va considerato in modo olistico e non solo come insieme di parti anatomiche da curare.

Con umiltà chiede scusa ai colleghi che aveva precedentemente ridicolizzato dall'alto della sua superbia e al contempo prende le distanze da quanti hanno collaborato con lui e persistono nella condotta di superiorità. Sente sempre più il bisogno di colmare le lacune di una vita e di imparare da questa sua situazione disagiata ma anacronisticamente vantaggiosa. in parallelo tenta di aiutare la sua nuova amica malata e di presentarsi in modo umano con i pazienti e i loro familiari; ancora difficile, se non più difficile, si presenta la sua di situazione familiare. Anche in sala operatoria si nota un'atmosfera del tutto cambiata. Mckee parla col paziente addormetnato, guardandolo come un essere umano e non come un corpo da aprire e da aggiustare, incita poi con affetto il cuore trapiantato a battere e fa forza al paziente, ormai cosciente che questo è necessario quanto la cura terapeutica.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Come altri film di ambito medico sanitario, questo mira ad indurre la riflessione dello spettatore sull'importanza che riveste il rapporto umano in ambito medico. L'evoluzione che la figura del medico ha subito nei secoli lo ha portato ad assumere via via ruoli diversi: talvolta era un mago e quindi tutto ciò che diceva lui era un ordine, talvolta era un prete o una suora e quindi soprattutto accudiva l'ammalato cercando di rafforzarne anche lo spirito e la fede, talvolta era un luminare dedito alle grandi ricerche e alle grandi scoperte scientifiche. Il medico deve essere oggi una persona che vota la sua vita all'aiuto del prossimo specializzando quanto più possibile le proprie conoscienze al fine di offrire un apporto teorico pratico migliore possibile ma senza dimenticare le proprie primitive intenzioni filo antropologiche. Ogni volta che un medico avvicina un paziente deve ricordare che lui ha un camice solo perchè ha studiato per aiutare quel paziente e l'altro soggetto di questa interfaccia è òì perchè ha bisogno di aiuto. In definitiva il medico deve saper gestire le proprie conoscenze con doti umane: deve saper comunicare, deve dare un messaggio di sicurezza perchè il paziente si fidi di lui e si senta al sicuro tra le sue mani e infine deve interessarsi del paziente in modo da non tralasciare nessun particolare psico-fisico di esso.

 

 

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La scena in cui l'ultimo paziente del dottor Mckee dimostra il suo attaccamento alle tradizioni e, sostanzialmente, un fondo di ignoranza mi ha fatto pensare ad un altro film: "il colore del sangue". In realtà quest'ultimo film parla dello sfruttamento, a mo' di cavie, di uomini neri per la sperimentazione sulla sifilide a Tuskegee a partire dal 1932. L'argomento è sempre ricollegabile all'ambito bioetico ma anche giurico perchè permette una riflessione sui diritti dell'uomo e quindi del paziente.

In ogni caso il mio collegamento è basato sul pensiero che l'ignoranza dee pazienti in entrambi i film ha portato ad una fiducia incondizionata nel medico; una fiducia da una parte ben riposta e dall'altra no. Da una parte poi vi è un ovvio paternalismo medico mentre nell'altra è un sentimento comune che il bisognoso prova nel suo beneficiario. Il filo conduttore è dato dall'osservare quale importanza rivesta una figura come il medico/curatore nella vita del malato bisognoso. Una tale stima deve essere meritata e sempre alimentata con la correttezza, la professionalità e l'umanità.

 


16 novembre 2010: IL GRANDE COCOMERO di Francesca Archibugi, Italia 1993, 96'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Questo film, a mio parere, è meno concentrato sul mestirere del medico e più interessato ad osservare la bontà d'animo del protagonista.

Emerge il disagio di un bambino in un contesto familiare difficile e il riacquisto del contatto col mondo grazie alle attenzioni e alle cure di un uomo più che di un medico.

Si può forse concludere che il messaggio che il film vuole trasmettere è che un medico dà una buona percentuale di beneficio al paziente con il priprio intresse, la propria disponibilità e il cercare di dare il massimo negli sforzi. Dall'altra parte, dalle varie scene di tensione e crisi di stanchezza e nervosismo, si può trarre anche l'insegnamento che il troppo conivolgimento fisico, emotivo e di tempo è controproducente tanto da poter portare all'abbandono come succede al collega del protagonista dopo la morte della piccola paziente.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Come ho già detto, è difficile trarre qualche spunto per fare una riflessione sulla professione medica da un film che è così concentrato sulla persona. Il protagonista interpreta non solo il medico "buono", che vive per i suoi pazienti, ma è soprattutto elogiato come persona "buona" che si intressa del prossimo più che di sè e vive una totale abnegazione per il proprio progetto umanitario.

L'unica forma di umano egoismo si può rintracciare nella confessione del fatto che la bambina rappresenta un qualcosa che il dottore cercava da sempre come motivo per svegliarsi la mattina. Il fatto che questo accenno di egoismo sia così vicino alla solidarietà e così poco negativo non fa che esaltare ancora l'impareggiabile bontà del dottore e il suo incontenibile altruismo.

 

 

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http://www.google.it/imgres?imgurl=http://www.pianetamamma.it/pictures/20100910/neonato_medico350.jpeg&imgrefurl=http://www.pianetamamma.it/il-bambino/malattie/&usg=__yh06rQRbDXCU-yxqNnHdoFTl7Hs=&h=250&w=350&sz=11&hl=it&start=165&zoom=1&tbnid=_X3dKYPG5stEWM:&tbnh=116&tbnw=163&prev=/images%3Fq%3Dmedico%2Bbambina%26um%3D1%26hl%3Dit%26biw%3D1366%26bih%3D545%26tbs%3Disch:10%2C2793&um=1&itbs=1&iact=hc&vpx=916&vpy=272&dur=626&hovh=190&hovw=266&tx=103&ty=118&ei=NwfjTKH9O8OSswb3kbzjCw&oei=fgbjTMmlM4f74AaouumUDg&esq=20&page=8&ndsp=22&ved=1t:429,r:5,s:165&biw=1366&bih=545

 


30 novembre 2010: LA FORZA DELLA MENTE di Mike Nichols, USA 2001, 99'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

L’infermiere quale professionista sanitario responsabile dell’assistenza infermieristica è una figura di nascita recente. La natura dell’uomo, “animale politico e sociale” (Hobbes), porta ad una continua ricerca del perfezionamento della presa in carico e della cura dell’individuo afflitto, ammalato, disabile o in qualsiasi modo bisognoso, del resto l’uomo può vivere senza medicamenti ma non può vivere senza cura.

Particolarmente incisivo sotto questo punto di vista è l’insegnamento di matrice religiosa cristiana, “andate, insegnate e guarite” (Luca 9, 1-2 e Matteo 10, 8), che, oltre a diffondere una generale senso di pietas volto all’assistenza e alla cura, dà un programma ben preciso di come bisogna accudire un bisognoso. La parabola del buon Samaritano dà una chiara descrizione di ciò: il Samaritano innanzi tutto ha compassione del Gerico ferito e questo è il primo incentivo interno alla coscienza del soccorritore che dà l’input al processo di assistenza, poi lo cura fasciandogli le ferite, lo carica sul giumento e si prende cura di lui, modernamente diremmo che lo prende in carico garantendogli assistenza e fornendogli le cure necessarie. Il giorno dopo dà dei soldi all’albergatore presso il quale lascia il degente, quindi investe risorse nella sua cura, e dopo del tempo torna a far visita al Gerico perciò anche dopo le cure e l’assistenza il Samaritano non abbandona il suo “paziente”.

Inizialmente quindi coloro che adempivano al ruolo dell’infermiere erano volontari, senza una formazione professionale alle spalle.

Attualmente non si può più parlare di generica assistenza perché quella profusa dagli infermieri è un’assistenza infermieristica basata su una formazione professionalizzante.

In definitiva l’assistenza infermieristica discende dall’assistenza ma diviene, rispetto a questa, specializzata nell’ambito della divisione del lavoro nell’ospedale moderno concepito come centro delle cure sanitarie.

Si tratta di utilizzo di pratiche assistenziali basate su competenza e responsabilità finalizzate a rispondere in modo idoneo ai bisogni di salute cioè alla promozione della salute, alla prevenzione della malattia e alla cura e riabilitazione del malato nel rispetto della persona, dei suoi valori e delle sue credenze. Secondo il codice deontologico dell’infermiere infatti “l'infermiere presta assistenza secondo principi di equità e giustizia, tenendo conto dei valori etici, religiosi e culturali, nonché del genere e delle condizioni sociali della persona” (art.4); e “l'infermiere riconosce la salute come bene fondamentale della persona e interesse della collettività e si impegna a tutelarla con attività di prevenzione, cura, riabilitazione e palliazione.” (art.6)

A permettere l’evoluzione dell’identità di chi pratica assistenza sono stati i cambiamenti socio-culturali della popolazione nonché la progressione delle strutture e delle relazioni medico-sanitarie.

L’infermiere diviene, a seguito del completamento del programma di formazione specifico, la figura sanitaria che avvia il processo di assistenza infermieristica e quindi identifica i problemi per poi pianificare l’assistenza organizzando finalità e mezzi e cercando di prevedere, prevenire ed eventualmente risolvere complicanze.

Il ruolo dell’infermiere, in ogni caso, non è limitato alla cura diretta del problema sanitario ma è ben più allargata alla cura della persona malata. Il paziente può essere guarito oppure gli può essere necessario insegnargli a convivere con la propria malattia, con la propria disabilità o anche con la propria cura: “L’infermiere orienta la sua azione al bene dell'assistito di cui attiva le risorse sostenendolo nel raggiungimento della maggiore autonomia possibile, in particolare, quando vi sia disabilità, svantaggio, fragilità” (art.7).

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Capita spesso di identificare l’ospedale o in genere l’azione di cura con il medico senza considerare che una volta data la diagnosi e la terapia (o compiuta l’operazione chirurgica) il medico ha bisogno di numerosissime figure che mettano a punto la strategia terapeutica prescritta. Se tutto dovesse essere fatto dal dottore egli potrebbe occuparsi di pochissimi pazienti per volta ed inoltre sarebbe meno specializzato dovendo impegnarsi di molte mansioni diverse. Per non parlare del fatto che spesso occorre assistenza tecnica al medico anche per sviluppare un’ipotesi diagnostica. Quindi da una parte occorrono chimici, fisici, biologi, genetisti, psicologi, tecnici diagnostici, ecc e dall’altra infermieri, podologi, fisioterapisti, logopedisti, ortottisti, ostetrici, dietisti, ecc.

L’organizzazione sanitaria coinvolge un numero più o meno vasto di persone che vengono mobilitate in qualità di risorse umane e hanno il compito di svolgere le attività a partire da una divisione del lavoro che prevede la iniziale identificazione degli obiettivi, distribuzione dei compiti e delle responsabilità, individuazione delle modalità di coordinamento e controllo.

Questo tipo di gestione è ottimale per l’economia delle risorse professionali, per erogare un servizio quanto più possibile efficiente e per dare continuità alle cure. (D Lgs. 502/92 e 517/93 “…si tenta di coniugare efficienza gestionale e qualità del servizio.”).

La cooperazione tra medici ed infermieri è un sinergismo finalizzato verso lo stesso obiettivo: il benessere del paziente.

Da una parte al medico spetta, tramite la raccolta di segni e sintomi, la diagnosi della patologia e la prescrizione della terapia, dall’altra l’infermiere descrive la risposta del paziente e della famiglia al problema di salute adeguando i suoi interventi infermieristici alle prescrizioni del medico e alle necessità e volontà del paziente.

Il coordinamento delle autonomie professionali è necessario per eliminare il rischio di sovrapposizione delle competenze e prestazioni, di mancanza di continuità assistenziale e di risposte univoche alla domanda di cure interdisciplinari e infine di possibili conflitti tra operatori.

Perché sia possibile un lavoro interdisciplinare occorrono linee guida e protocolli aziendali che delineino i compiti e le responsabilità in modo che tutti siano a conoscenza dei vari ruoli e ci sia un modello operativo orizzontale di interscambio non gerarchico.

Nella cura di un paziente tutti gli operatori hanno bisogno degli altri e il paziente ha bisogno della cooperazione di tutti.

Questo primo modello di assistenza sanitaria prevede un lavoro di squadra, definito modello per èquipe; si tratta di una metodologia di lavoro ottimale che a differenza di un altro modello, quello funzionale, è anche molto stimolante per gli operatori. Per descrivere il modello funzionale si può usare il paragone della catena di montaggio. Ogni operatore, soprattutto l’ infermiere, è addetto ad una particolare attività e la ripete su ogni paziente. Non c’è dubbio che ognuno sarà specializzato in quello che fa, se non altro per l’esperienza accumulata, però si tratta di un lavoro ripetitivo e standardizzato che appiattisce lo spessore lavorativo dell’individuo e il malcontento si riflette sul livello di cura a cui il paziente viene sottoposto e verosimilmente sulla qualità della sua degenza.

 

 

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Un operatore senitario che si trova di fronte ad una persona ammalata e bisognosa di cure può venire coinvolto dalla situazione. Può provare una tale compassione che da una parte lo porterà a fare di tutto per aiutare il paziente ma dall’altra lo manterrà in stato di ansia e, nel caso qualcosa andasse male, lo farebbe sentire in colpa e depresso. Il distacco che egli cerca di mantenere di fronte alle situazioni patologiche che gli si presentano è congeniale alla salvaguardia di sé, della propria efficienza e quindi, in ultima analisi, al mantenimento degli standard qualitativi del proprio operato. Un continuo stress emotivo incentivato da un eccessivo trasporto porterebbe inevitabilmente alla disincentivazione e alla frustrazione.

D’altro canto però il medico e l’infermiere sanno che quando una persona gli si rivolge significa che è nella condizione di dover chiedere aiuto. Può essere sofferente, essere impaurito e sentirsi impotente, non ci si può limitarsi a curare una di queste tre componenti del disagio del proprio paziente. Seduto o steso sul lettino, c’è un individuo che in primo luogo è una persona, chiede aiuto e ha bisogno prima di tutto di conforto. Forse questo non si studia sui libri (sebbene attualmente vi sia una larga sensibilizzazione su tali argomenti fin dai primi anni universitari) ma tali insegnamenti possono arrivarci da più direzioni. Maria Teresa di Calcutta scrisse nella poesia LA BONTA': Non permettere mai / che qualcuno / venga a te / e vada via senza essere / migliore e più contento. / Sii l'espressione / della bontà di Dio. / Bontà sul tuo volto / e nei tuoi occhi, / bontà nel tuo sorriso / e nel tuo saluto. / Ai bambini, ai poveri / e a tutti coloro che soffrono / nella carne e nello spirito, / offri sempre un sorriso gioioso. / Dai loro / non solo le tue cure / ma anche il tuo cuore.

Film come “La forza della mente” o “The doctor”, che danno allo spettatore la possibilità di calarsi nel ruolo del malato, possono essere di insegnamento.

 

 

 

22 marzo 2011: MEDICI PER LA VITA di Joseph Sargent

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Questo film, oltre ad essere interessante nel campo della sperimentazione medica, affronta temi che esulano dall’ambito  sanitario come le differenze sociali e sessuali esistenti negli anni ’40.
Vivien Thomas ha una vocazione verso lo studio della medicina, ma non possiede i mezzi per coronare questo suo sogno. Fortunatamente, per Vivien e per il progresso scientifico, le sue capacità intellettive e pratiche vengono riconosciute e valorizzate da un medico, il dottor Alfred Blalock.
Il lavoro svolto con il dottor Blalock permette a Vivien di approdare in un importante ospedale con un notevole apparato di sperimentazione. La sensibilità del dottor Blalock verso un problema pediatrico proposto dalla primario pediatra dell’ospedale impegna Vivien in uno studio pioneristico sull’operazione del cuore.
Fino ad allora si era insegnato ai medici che il cuore era un organo da “non toccare” e quindi ogni studio chirurgico su di esso era stato sempre evitato. E’ questo il motivo per cui gli studi di Vivien suscitano tanto scalpore, oltre al fatto che a condurli è un uomo, non medico, ma soprattutto nero. Proprio in virtù di queste sue caratteristiche Vivien viene privato di ogni degna qualificazione, ricompensa e glorificazione al momento del successo delle sue sperimentazioni.
Ovviamente tutto si conclude in un lieto fine che dà le giuste ricompense al protagonista. Vivien Thomas quindi è stato un pioniere della medicina e delle leggi dei diritti umani facendo conquiste assolutamente cruciali.

 

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Visto che il film è incentrato sullo studio di sperimentazione le mie riflessioni si possono dirigere solo su questa faccia del lavoro del medico. Vige sempre un certo scetticismo nei confronti del nuovo. La storia della scienza ci insegna che è difficile che una scoperta venga accolta con unità di consensi ed entusiasmo. Questo è indubbiamente positivo; non a caso i protocolli di sperimentazione richiedono verifiche e conferme ripetute e ripetibili prima di avvalorare una scoperta. Quando a cambiare, in virtù di una scoperta, è un precetto così basilare come il “non toccare il cuore” lo scetticismo, la paura e il disaccordo diventano quasi immobilizzanti come si può notare dalle reazioni del momento pre operazioni del dottor Blalock.
Non credo che oggigiorno ci siano nell’ambito medico sanitario discriminazioni e disparità se non isolate a singoli casi non imputabili al sistema. Voglio dire che sono convinta che, nel caso vengano operate preferenze, queste vengano sempre giustificate sulla base della bravura e che quindi viga la meritocrazia mai contaminata da giudizi su razza, sesso, religione, ecc dei “concorrenti”.

 

 

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http://www.youtube.com/watch?v=eUfOvjNTM2M

 

 

L'OLIO DI LORENZO  di GEORGE MILLER

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Ritengo che il film dia un taglio troppo polemico nei confronti dei medici e della sperimentazione scientifica.

E' ovviamente da elogiare lo sforzo dei genitori di Lorenzo perchè hanno sacrificato tutto il loro tempo, la loro felicità e i loro soldi per la ricerca di un modo per fare stare meglio, in primo luogo, il loro bambino e poi tuttii i bambini affetti da ABL.

Nel film la prepotenza dei genitori di Lorenzo, che non sia affidano ai medici mettendo nelle loro mani Lorenzo, confidando nelle cure sperimentali, ma iniziano terapie da loro elaborate, è vincente.

Il messaggio che però viene trasmesso dal film è che i medici abbiano sempre rappresentato un ostacolo per la guarigione o i tentativi di guarigione di Lorenzo.

E, cosa ben più grave, si accusano i medici di non voler provare le cure innovative per soldi, fama e responsabilità.

Non a caso in una sperimentazione medica vi sono dei protocolli da seguire: le sperimentazioni devono prima essere provate su colture o animali e devono essere registrate su una vasta quantità di campioni.

Il successo isolato può essere casuale e provocato da molteplici fattori esulati dalla cura.

Dare l'olio di Lorenzo, in quelle circostanze, avrebbe significato usarli come cavie.

Ciò non di meno bisogna spezzare una lancia in favore della famiglia di Lorenzo in visrtù del fatto che, come dice anche il medico, la ricerca nei confronti di mLttei così rare è poco finanziata e ha poco interesse se confrontata con quella rivolta a malattie di grande diffusione.

La famiglia di Lorenzo non si arrende davanti a queste rivelazioni che sono accettabili per la "popolazione" ma non per la famiglia colpita dal male per la quale quella malattia rara è la più importante e presente della sua vita.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

In primo piano è messa la condizione della famiglia con i suoi sforzi, le sue sofferenze e i suoi successi.

Il ruolo del medico è marginale nel film come anche nella cura.

Il medico non porta soluzioni e, come già detto, sembra quasi essere di ostacolo ad un avanzare della cura. Dal film non può che scaturire una visione negativa della professione medicama non incide su quello che è il mio giudizio sulla professione che sogno di intraprendere.

Credo che la mancanza di studi e ricerca su alcune malattie non sia colpa del medico ma della mancanza dei fondi.

Non credo neanche che il medico operi se non per pura vocazione e voglia di mettere a disposizione tutt i propri strumenti per aiutare il prossimo quindi per me è fuori luogo ogni insinuazione in relazione alla indolenza del medico del film.

 

 PATCH ADAMS di Tom Shadyac

 

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Questo film non mi è piaciuto sotto ogni possibile filtro di visione.

Non credo che rappresenti niente di realistico peraltro in un ambientazione molto lontana dalla nostra.

E' un film che tenta in ogni modo di rendere possibile l'impossibile. La vera storia di Hunter Adams è degna di lode e stima ma il film la banalizza senza renderle giusto onore.

Indovino che gli sfrozi e i sacrifici del signor Adams siano stati di gran lunga maggiori del rpotagonista del film. E' ovvio che per la riuscita del film e per l'approvazione del grande pubblico era necessario creare un personaggio particolarmente brillante in ogni suo aspetto e aiutato dalla fortuna per il suo coraggio ma è comunque esagerato.

Il tentativo di ridimensionare la situazione con la morte delle protagonista è insufficiente.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Pur non volendo scadere nel cinismo, non posso che giudicare non influente sulla mia idea della professione medica una tale ridicolizzazione della professione stessa.

Non parlo solo della tecnica di guarire tramite le risate ma anche della creazione di un ospedale così sgaurnito di materiali e di personale competente.

Nella realtà dei fatti l'ospedale "gratis" era tutt'altro che una cosa improvvisata e poteva davvero a provvedere a spirito e corpo dei degenti.

La visione del film no, ma la storia del dottor Adams mi ricorda quale sia

 


 

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