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Cencetti Leonardo

Page history last edited by Leonardo Cencetti 12 years, 10 months ago

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Ad ogni incontro devi esprimere i tuoi pensieri sul film proposto editando questa pagina e scrivendo nello spazio sotto a ciascuna domanda

 


12 ottobre 2010: CARO DIARIO di Nanni Moretti, Italia 1993 (IV episodio: Medici) 30'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film? 

Una cosa però la ho imparata da tutta questa vicenda, no anzi due. La prima è che i MEDICI SANNO PARLARE, però NON ASCOLTARE, e ora sono circondato da tutte le medicine inutili, che ho preso nel corso di un anno. La seconda cosa  che ho imparato, è che la mattina prima di fare colazione, fa bene bere un bicchiere d’acqua. Mi hanno detto che fa molto bene ai reni… mi sembra, o a qualcos’altro, insomma fa molto bene. Allora, per piacere un latte macchiato e un cornetto… e anche un bicchier d’acqua”.

 

Con queste parole si conclude il terzo capitolo del film “Caro diario” ed è proprio in quest’ultima amara constatazione di Nanni Moretti che emerge tutta quanta la sua delusione verso i medici, delusione conseguente ad una triste vicenda di malattia e di incomunicabilità.

La malattia di Nanni Moretti racchiude in sé l’arido silenzio della dimensione dell’incomunicabilità e dell’isolamento.

Moretti, infatti, non riesce a comunicare, si ritrova isolato e ricorre a una enciclopedia medica per diagnosticarsi da solo la malattia.

Per quanto mi riguarda, ma penso che sia cosa evidente, ritengo che l’attuale rapporto medico-paziente spesso si risolva erroneamente in una visita sbrigativa, spersonalizzante ed insoddisfacente per il paziente che non si sente capito.

Invece, il rapporto medico-paziente dovrebbe, a mio giudizio, basarsi su una relazione di fiducia e di stima reciproca e in tale contesto diventa  fondamentale per il medico il dovere di porre sempre una scrupolosa attenzione al suo comportamento, affinché la principale motivazione delle sue azioni rimanga sempre e comunque l’interesse del paziente.

Questo atteggiamento implica di conseguenza che un medico conosca il significato del termine umiltà; infatti, un medico deve DIMOSTRARE di sapere e non MOSTRARE di sapere.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Affinché sia possibile giungere ad una corretta diagnosi e all’impostazione di una adeguata ed efficace terapia è essenziale che il rapporto medico-paziente si basi sulla comunicazione medico-paziente, ma anche sulla non meno importante comunicazione paziente-medico.

Comunicare significa innanzitutto saper ascoltare, cioè percepire non solo le parole, ma anche i pensieri, lo stato d’animo, il vissuto personale ed emotivo della malattia da parte del paziente.

Per fare questo il medico deve quindi assolutamente non perdere mai di vista l’oggetto dell’ascolto: il dolore, la paura, l’ansia.

Ma per imparare a comunicare, il medico deve mostrarsi sinceramente disponibile verso il paziente, rapportandosi con questo attraverso un linguaggio a lui comprensibile, per fargli capire quale sia la diagnosi e la conseguente terapia con tutti gli eventuali rischi che questa può comportare, senza promettere facili guarigioni.

Il processo terapeutico dovrebbe avere il malato come figura centrale e collaboratore principale dell’iter terapeutico, perché solo una medicina attenta alla persona può essere allo stesso tempo una medicina del curante e del curato.

Infine, penso che l’adeguato atteggiamento nei confronti di una persona che soffre, non consista nell’abbondanza di parole e consigli, ma nella disponibilità all’ascolto.

Oggi, tuttavia, un drammatico problema che tutti i medici sono chiamati ad affrontare e a valutare criticamente è quello del progresso tecnologico-scientifico che implica una proporzionale involuzione clinica e un sempre maggior distacco del medico dal malato e che, quindi, porta inevitabilmente verso una medicina spersonalizzata in cui i pazienti rientrano in una sterile e anonima casistica.

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.) 

“Il significato della stretta relazione interpersonale tra medico e paziente non potrà mai essere troppo enfatizzato, in quanto da questo dipendono un numero infinito di diagnosi e di terapie. Una delle qualità essenziali del medico è l’interesse per l’uomo, in quanto il segreto della cura del paziente è averne cura”.

Dr. Francis Peabody – XIX sec.   

 

 


19 ottobre 2010: UN MEDICO UN UOMO di Randa Haines, USA 1991, 124'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film? 

Dopo la visione di questo film, un tema su cui a mio parere vale la pena di soffermarsi  è quello del radicale cambiamento dello stile professionale di Jack.

Attraverso la sua personale esperienza di malattia, egli va incontro ad una vera e propria catarsi.

E’ proprio la malattia che lo aiuta a comprendere cosa significhi essere un malato tra i tanti malati nelle mani dei medici che con i malati non hanno alcun dialogo.

Per Jack il compito di un  ottimo chirurgo era quello di ”entrare, aggiustare, andarsene”, ma la malattia  lo costringerà a subire analisi fastidiose, arroganza dei medici e intralci burocratici, così che ricoprirà quella dimensione di umana pietà alla base del rapporto medico-paziente.

Dalla sua esperienza di malattia, Jack si rende pienamente consapevole della necessità e della primaria importanza di intrattenere un adeguato rapporto con il paziente che, essendo malato, ricerca nel medico aiuto, ascolto e conoscenza; conoscenza non solo della malattia, ma anche di cosa significhi essere malati.

Jack imparerà di persona ad “abbassare le braccia”, imparerà cioè a venire incontro al paziente e a sviluppare con questo una comunicazione empatica .

Riuscirà, quindi , ad acquisire una capacità di interagire in modo umano e sensibile con i pazienti.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica? 

La visione di questo film mi ha aiutato a riflettere più profondamente su quale dovrebbe essere l’adeguato atteggiamento che un medico deve assumere nell’esercizio della  sua importante professione, permettendogli anche di ri-scoprire la vera essenza di quest’arte al servizio degli altri.

Un medico dovrebbe  sopra ogni altra cosa essere empatico rispetto al paziente, riuscendo a comprenderne problematiche e aspettative. Dovrebbe, poi, chiarire ogni dubbio ed informarlo circa i rischi e i risultati  perseguibili con una terapia o di un qualsiasi intervento chirurgico.

Durante la discussione sul film è stato proposto un suggestivo collegamento con la figura mitica del centauro Chirone.

Chirone, infatti, è divenuto nella tradizione l’immagine simbolica “del guaritore ferito“ in quanto essere immortale (figlio di Crono e di Filizia), grande esperto e maestro di medicina, si procura una ferita inguaribile, conoscendo così la sofferenza propria di un qualsiasi  mortale.

Il mito di Chirone ci porta a riflettere sugli aspetti profondi del rapporto medico-paziente e sicuramente noi futuri medici o qualsiasi medico può imparare molto dalla vicenda del mitico centauro.

Infatti “soltanto il medico che considera la malattia come qualcosa che lo riguarda da vicino, può accedere  ad una reale e profonda comprensione dei problemi dei suoi pazienti”.

Per questo, per evitare di perdere la capacità di sintonia e di reale comprensione umana, un medico non deve per nessun motivo effettuare una scissione tra le sue componenti interiori e quelle del paziente.

A mio giudizio,quindi, ogni bravo medico dovrebbe imparare ad avere un atteggiamento più umile ed onesto nei confronti dei pazienti-malati e dovrebbe  cercare di colmare quella profonda lacuna circa l’incapacità di comunicazione, perché in ultima analisi incapacità di comunicazione equivale a incapacità  di capire il reale stato d’animo del paziente.

Un’ autentica e totalizzante dedizione alla pratica medica implica necessariamente mettere l’accento  sui valori umani e la solidarietà verso quelle persone che sono anche malati-pazienti.

La bravura, il successo e la competenza tecnica di un medico non dovrebbero, secondo me, coincidere con un atteggiamento arrogante, freddo e distaccato.

 

 

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16 novembre 2010: IL GRANDE COCOMERO di Francesca Archibugi, Italia 1993, 96'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film? 

“Il grande cocomero” ci fa capire che, a prescindere dalla propria professione, chiunque crede in quello che fa e ci si dedica con passione e con coraggio, riesce a ottenere dei risultati.

Arturo, per esempio, è deciso a portare avanti il difficile lavoro con Pippi e a continuare ad aiutare i bambini malati, mentre un suo collega, meno motivato, si dimostra meno coraggioso e decide di abbandonare tutto alla prima difficoltà.

Arturo, invece, mostra attaccamento e assiduità nel seguire il caso di Pippi, a tal punto che è disposto anche a mettere in secondo piano la propria vita privata.

Proprio grazie allo speciale rapporto che è riuscito a instaurare con Pippi, Arturo riacquista progressivamente fiducia in se stesso e negli altri.

Il film ci spinge a riflettere sul fatto che la famiglia, proprio in quanto tale, deve essere sempre pronta a mettersi in discussione di fronte al disagio e alla malattia di uno dei suoi membri, anche se questa desta paura e incomprensione.

Infine, “Il grande cocomero” suggerisce che in ogni malattia, così proprio come nell’epilessia, è importante capire la differenza tra cause organiche e psichiche del sintomo, ma soprattutto che è importante riuscire ad impostare una terapia supportata dal dialogo.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica? 

La storia di Pippi serve a mettere in evidenza quanto possa essere difficile per un medico scoprire le cause di un disagio che i bambini non riescono ad esprimere compiutamente, proprio perché non è una malattia endogena, bensì una non meno grave somatizzazione di uno stato di disagio psicologico, causato dal conflitto esistente tra i genitori della bambina.

Ecco che emerge come fondamento base di qualsiasi buon rapporto medico-paziente e come punto di inizio di un qualsiasi “iter” terapeutico, l’ascolto che un medico deve prestare ad un malato e la necessità di un profondo e sincero dialogo con quest’ultimo.

Arturo questo lo sa bene e non a caso mette in pratica una procedura terapeutica analitica e quindi non più basata sull’esclusivo impiego di terapie farmacologiche, ma su un paziente ascolto delle necessità del paziente.

Un medico, con l’adesione a questo tipo di percorso terapeutico, non esprime un atteggiamento passivo, ma riesce a cogliere i profondi e sinceri desideri del paziente, riuscendo a conquistare non solo la sua fiducia –indispensabile nel rapporto medico-paziente- ma anche a fargli acquistare fiducia in se stesso nell’affrontare la propria malattia.

Il medico deve riuscire a instaurare con il proprio paziente un rapporto umano, autentico, in cui il dialogo contribuisca  sostanzialmente a trovare una chiave importante per il miglioramento delle condizioni di salute del paziente.

Quindi, tutti i medici e soprattutto i futuri medici dovrebbero, proprio come Arturo, essere appassionati al proprio lavoro, anzi missione, ed essere dotati di grande umanità e sensibilità.

 

 

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30 novembre 2010: LA FORZA DELLA MENTE di Mike Nichols, USA 2001, 99'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?  

Ancora un altro film sugli errori dei medici, sui loro sbagli, sulla loro incapacità di relazionarsi con i propri pazienti. Ancora una volta ci vengono riproposti i soliti temi, tra cui il complicato rapporto medico-paziente

 

Nella scena iniziale di questo film l’oncologo comunica alla paziente la diagnosi molto frettolosamente, in un modo tanto ricco di dettagli quanto mai povero di qualunque coinvolgimento emotivo. Si assiste ad un dialogo basato su un linguaggio incomprensibile alla paziente, finalizzato più che a rassicurare e a confortare la paziente, ad ottenere l’adesione ad un trattamento sperimentale.

Sembra quasi di assistere alla recita di un monologo da parte del medico.

I medici appaiono molto indifferenti nei confronti della paziente, ma questo non deve stupire se si considera che questa ai loro occhi non è più di una cavia di laboratorio, da sacrificare per la ricerca scientifica.

C’è una completa noncuranza dell’aspetto umano della malattia, assenza totale di contatto umano.

 

È vero il detto che “sbagliando s’impara” e nessuno può mettere in dubbio che dai propri errori, così come da quelli altrui, si possa imparare molto.

Per esempio, si può capire cosa sia più giusto fare e come ci si debba comportare in determinate circostanze, evitando di ripetere gli stessi sbagli.

Tuttavia, sarei molto contento se ci venisse proposto un film che trattasse anche degli aspetti positivi della professione medica.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica? 

Questo film affronta numerosi problemi della medicina moderna che riguardano la comunicazione della diagnosi, il linguaggio medico, le terapie sperimentali, che trasformano il paziente in una vera e propria cavia di laboratorio, la solitudine dei pazienti ospedalieri, l’accanimento terapeutico, il distacco emotivo dei medici, ecc…

Ciò che mi ha fatto capire questo film è che, oggi più che mai, si rende fondamentale non solo curare la malattia, ma anche prendersi cura del malato.

I medici, è vero, hanno, o meglio dovrebbero avere, una conoscenza molto precisa della malattia, ma va ricordato che solo il malato sa come vive e come è sofferente la propria malattia.

Proprio per questo fondamentale aspetto non basta solo che il medico intrattenga con il proprio paziente un rapporto più tenero, amichevole e compassionevole o un rapporto che sia solo più corretto sul piano formale.

Oggi è evidente che l’efficienza e la conoscenza dell’evidenza scientifica per le decisioni mediche non sono assolutamente sufficienti, ma sono necessari in massima misura anima e comunicazione; una comunicazione autentica affinché sia possibile gettare le basi per instaurare un rapporto che sia, oltre che più scientifico, anche più umano.

Bisogna, quindi, comprendere i valori, i desideri, la volontà del paziente per ricercare insieme a lui la sua salute o per accompagnarlo nel suo difficile percorso verso la morte, per cercare di alleviare le sue sofferenze e paure.

Penso che questa sia la sfida più grande che tutti i medici devono affrontare e che ben presto dovremmo affrontare anche noi futuri medici.

 

 

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22 Marzo 2011: MEDICI PER LA VITA di Joseph Sargent, USA 2004, 110'

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Il film è stato veramente interessante soprattutto perché mette in evidenza che la medicina è una scienza e come tale sta compiendo e compirà sempre nuovi progressi, i quali potranno migliorare la qualità della vita nella storia dell’umanità.

Il primo motore della ricerca è in questo caso la grande passione per la medicina e il grande bisogno di trovare un modo efficace per aiutare il prossimo.

Il Dr. Blalock è un chirurgo che sta lavorando sulla possibilità di intervenire a cuore aperto e si accorge che Thomas, innamorato della medicina (il sogno della sua vita) ha delle conoscenze mediche e delle qualità personali molto spiccate: una volontà di imparare e di apprendere fuori dal comune e delle capacità manuali eccezionali.

Tutto questo gli conferisce l’abilità di costruire strumenti che permetteranno di eseguire interventi di cardiochirurgia, impensabili fino a quel momento.
Il Dr. Blalock prende a cuore la storia di un bambino affetto da una grave malformazione cardiaca e decide di incaricare Thomas di riprodurre sul cavie di laboratorio la stessa malattia, per poter capire come intervenire chirurgicamente a cuore aperto.

Thomas riesce a trovare le soluzioni tecnico-strumentali e il Dr. Blalock , sotto gli occhi stupefatti di tutti i chirurghi presenti, esegue il suo primo intervento a cuore aperto su un bambino, perfettamente riuscito.
Il Dr. Blalock ottiene così una grande fama, mentre Thomas è sempre considerato un semplice assistente, che lavora nell'ombra e i cui meriti non vengono messi in risalto come meriterebbe, a causa anche delle discriminazioni razziali.

 


La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Oggi più che mai, per quanto riguarda la ricerca e il progresso tecnologico in ambito medico, mi sento di dire che la tecnologia ha progressivamente modificato le basi del giudizio etico rimettendo in gioco i criteri per stabilire la bontà di un’azione.

L’agire di un medico, senza una responsabilizzazione etica che garantisca a quest’ultimo un’indiscussa centralità nel processo decisionale e che non riduca il suo ruolo a quello di semplice esperto scientifico, tenderebbe ad abbracciare la sola prospettiva clinica e a diventare un insieme di mezzi tecnici ai quali lo sviluppo tecnologico fornisce un potere sempre più ampio senza indicare i precisi scopi e limiti del loro uso.

 


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5 Aprile 2011: L'OLIO DI LORENZO di George Miller, USA 1993, 129'

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Dalla visione di questo film sono rimasto molto colpito dalla perseveranza e dal coraggio dei coniugi Odone.

Quando a Lorenzo viene diagnosticata la ALD, il medico che lo ha in cura spiega ai genitori di Lorenzo che questa malattia ha un decorso inesorabile, la fine è ineluttabile; insomma, non viene data alcuna speranza agli Odone.

Gli Odone, tuttavia, grazie alla loro perseveranza e al loro straordinario coraggio, decidono di intraprendere una personale battaglia contro il tempo e contro la prassi medica per salvare la vita del figlio.

Così ben presto gli Odone mettono a punto una miscela di acido oleico e acido erucico e la somministrano a Lorenzo contro il  parere dei medici. La miscela mostra proprietà terapeutiche, rallentando il decorso della malattia.

Un'esistenza spesa nel tentativo e nella speranza di vedere Lorenzo guarire, il rifiuto dell'idea che potesse non esserci un rimedio, la personale lotta contro la ALD per regalare una speranza a tutti i bambini che ne sono affetti e il grande coraggio degli Odone ci fanno capire che la ricerca scientifica e il progresso della medicina non possono fermarsi e che è necessario trovare il modo di superare tutti quegli ostacoli, soprattutto economici, che potrebbero facilmente arrestare il progresso e abbattere gli animi dei ricercatori.

 


La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Condivido pienamente la critica da parte dei coniugi Odone al comportamento, purtroppo ancora molto diffuso, dei medici e degli scienziati in generale: se gli uomini di scienza si fossero uniti tra loro, Lorenzo sarebbe migliorato prima.

Gli Odone, per quanto bravi a creare l'Olio di Lorenzo, non hanno avuto la fortuna di essere stati anche veloci ed è per questo che è stato loro impossibile che le funzioni cognitive più importanti di Lorenzo non venissero danneggiate in maniera irreversibile.

Michaela e Augusto con grande coraggio iniziano a studiare, a istruirsi, ad imparare a conoscere la malattia del loro figlio Lorenzo. Essi iniziano a fare ricerca in biblioteca perché non accettano che i malati siano al servizio della scienza medica.

Infatti, la scienza medica dovrebbe essere sempre al servizio degli ammalati e non viceversa.

Gli interessi dei medici dovrebbero essere sempre uguali a quelli dei genitori e i genitori dei ragazzi malati dovrebbero porre sempre molte domande per incitare i dottori al progresso. Proprio in questa accezione Augusto Odone intende la collaborazione tra medici e genitori.

Anche i medici dovrebbero capire l'importanza della collaborazione per un progresso più rapido e più efficiente e dovrebbero dimenticare la rivalità e la competizione, smettere di "lavorare isolatamente sul proprio pezzettino di mosaico".



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19 Aprile 2011: PATCH ADAMS di Universal, USA 1998, 115'

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Dopo aver visto questo film, penso veramente che Patch abbia ragione quando afferma che sia necessario combattere l’indifferenza, perché non si può negare che un essere umano abbia sempre un impatto su un altro essere umano.

Non bisogna solo prevenire la malattia, ma è necessario anche migliorare la qualità della vita dei pazienti, riuscire a comunicare con loro, sviluppare amicizie con “chi non è morto dal cuore in su”.

Un medico non deve sentirsi superiore agli infermieri, perché possono imparare molto da loro in quanto persone di grande esperienza pratica ospedaliera.

Sono rimasto molto colpito dal fatto che l’amico di Patch, dopo aver passato molto tempo sui libri, non riesca all’atto pratico a far mangiare una paziente.

Questo conferma l’ideale di medico di Patch: il medico non è una persona dotta superiore agli altri, ma è prima di tutto colui che aiuta gli altri, “è un fidato e dotto amico che accudisce un infermo”.

È proprio vero che la più grande soddisfazione per un medico è ottenere il proprio riconoscimento negli occhi del paziente e non tanto nel sentirsi chiamare dottore.

Patch riesce a dimenticarsi dei suoi problemi semplicemente pensando ai pazienti, come quando durante l’internato aiuta ad andare in bagno il suo compagno di camera che ha paura degli scoiattoli.

Attraverso questo semplice gesto Patch comprende che il suo scopo nella vita è aiutare gli altri. Patch decide che la sua arma contro la sofferenza e il dolore sarà l’umorismo.

Grazie alla sua “sorriso-terapia” riesce a far si che i pazienti assumano meno medicinali e si lamentino di meno.

I ricoverati in ospedale, quando vedono Patch, si illuminano, dimenticano la propria malattia, si confidano, si fidano di Patch.

Grazie al suo coraggio e alla fede nei suoi ideali, Patch riesce ad avere la meglio sul “sistema” e a trasmettere a tutti coloro che lo conoscono che un medico nell’abbassarsi al livello dei paziente vuole solo esprimere il suo desiderio di fare amicizia con il suo assistito, con lo scopo di migliorare la qualità della sua vita e, così facendo, di curarlo veramente.

 


La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Il film propone un’immagine di medico che trasgredisce il “sistema”, ma non in senso negativo, anzi tutt’altro.

Questo film sembra proprio voler spronare i giovani futuri medici a non sottomettersi al “sistema” e accettare passivamente tutto così come è, ma incita ad osare, ad avere coraggio di allargare l’orizzonte della medicina e del sapere medico verso un miglioramento, verso un progresso che non sia solo tecnologico, ma che sia soprattutto un progresso inteso come miglioramento dei rapporti interpersonali medico/paziente.

La medicina deve allargare il proprio orizzonte nell’amore verso i pazienti e il medico deve imparare a condividere le gioie e le sofferenze dei suoi pazienti, nella più ferma convinzione che curare un malato riuscendo a migliorare la qualità della sua vita è sempre e comunque una vittoria, qualunque sia l’esito della terapia contro la malattia.

Noi futuri medici dovremmo imparare a collaborare con i pazienti, ascoltarli, interagire con loro.

Un bravo medico dovrebbe riuscire ad offrire al suo paziente cure mediche, speranza e consigli, perché la vera ed unica differenza tra medico e scienziato è il Prossimo, nel senso che il medico dovrebbe curare il malato e non la malattia.

L’obiettivo di un medico è salvaguardare la salute, migliorando la qualità della vita e non rinnegando la morte.

 


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