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Berra Dario

Page history last edited by DarioBerra 12 years, 9 months ago

PORTFOLIO

Ad ogni incontro devi esprimere i tuoi pensieri sul film proposto editando questa pagina e scrivendo nello spazio sotto a ciascuna domanda

 


12 ottobre 2010: CARO DIARIO di Nanni Moretti, Italia 1993 (IV episodio: Medici) 30'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Moretti esordisce come regista cinematografico verso la fine degli anni 70. Autore davvero molto originale, capace di far ridere ma anche di far riflettere, nei suoi film riesce a far emergere molto bene quelli che sono i problemi del nostro paese. In questo capitolo, tratto dal film autobiografico "Caro Diario" del 1993, Moretti narra la pesante odissea che è stato  costretto a fare prima che gli fosse finalmente diagnosticato un linfoma di Hodgkin e venisse opportunamente curato. "Un giorno cominciai ad avere prurito, soprattutto notturno". E' così che comincia la sua disavventura. Passa da un dermatologo all'altro ricorrendo persino ad un immunologo e ad una riflessologa ma nessuno riesce a risolvere il suo problema. La cosa che mi ha colpito è che tutti  i dermatologi continuavano a prescrivergli sempre le stesse identiche ricette nonostante lui portasse quelle vecchie come per fargli capire che i farmaci che stava prendendo non riuscivano a recargli sollievo. E poi il distacco con cui viene trattato. Il paziente viene considerato come un estraneo. Il senso di importanza e superiorità dei dottori crea nel protagonista uno stato di assoluta soggezione. Quando il malato tenta di spiegare i sintomi viene quasi azzittito. I vari dermatologi che  visitano Nanni non lo ascoltano ma cercano subito di eseguire una diagnosi, come se  solo loro avessero il potere di scovare la malattia, come a dire: "Riponetevi nelle nostre mani e andrà tutto bene". Non c'è assolutamente interlocuzione tra medico e paziente. Inoltre i dottori sembrano lavorare a senso unico, guardando i sintomi solo dal punto di vista della loro specializzazione. Fanno i dermatologi ma non i medici. Analizzano il caso in maniera ristretta e non prendono in considerazione tutti i sintomi nel loro insieme. Lavorano dal basso a capo chino e non dall'alto. La conseguenza è che il prurito continua. La svolta arriva grazie a un centro di medicina tradizionale cinese al quale Nanni si va a rivolgere in preda quasi all'esasperazione. L'ambulatorio cinese è tutto un altro ambiente. I dottori lavorano sempre in coppia e tutti come dice Nanni "sono carini e gentili" a differenza del freddo distacco riscontrato negli ambulatori italiani. Ed è proprio qui che sentendolo tossire gli viene consigliata una radiografia al torace. In seguito ad essa, fa infine una TAC sulla base della quale gli viene diagnosticato un sarcoma polmonare. Operato, si scopre che il sarcoma per fortuna non c'è affatto ma il chirurgo afferma:"Mi gioco una palla che questo è un linfoma di Hodgkin, tutte e due no ma una me la gioco". Ed era proprio un linfoma di Hodgkin. Frase che inzialmente fa ridere ma allo stesso tempo fa rilfettere e non poco. Nessuno specialista era riuscito a collegare quei sintomi (sudore dimagrimento e prurito) alla malattia che veramente Nanni aveva. Ma tornado al rapporto tra medico paziente, risulta per esempio che durante una visita ambulatoriale l'80% del tempo/parola è utilizzato dal medico, così costringendo il paziente a tacere quasi sempre. Ma in tale situazione di forzata afasia del paziente come farà il dottore a capire qual'è la malattia del paziente? Mi piacerebbe concludere con la stessa conlusione del protagonista: "Di una cosa tutta questa esperienza mi ha convinto: che i medici sanno parlare ma non sanno ascoltare".

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

A parer mio come dice Karl Jaspers (filosofo e psichiatra tedesco del XX secolo) "il medico non è solo un tecnico nè un salvatore, ma un uomo che sa di dovere morire lui stesso, un'esistenza al servizio delle altre esistenze , che realizza con il paziente, nel paziente e in sé stesso le virtù della dignità e della libertà". Non possiamo ridurre la medicina solo a qualcosa di tecnico-pratico ma dobbiamo prendere in considerazione anche (e soprattutto) l'aspetto umanistico. Il malato non può fare a meno del medico così come il medico non può fare a meno del paziente. Le strategie per sconfiggere la malattia si plasmano dall'inscindibile unità tra dottore e paziente. Un buon medico deve mettersi sullo stesso piano del malato, farlo sentire a suo agio, saperlo ascoltare, capirlo, infondergli fiducia progredendo insieme a lui nella conoscenza della cura.

In questo modo si colma il dislivello esistente tra medico e paziente. Purtroppo il medico non sembra più prendere in considerazione l'interiorità propria di ogni essere umano e in tal modo il soggetto diviene oggetto, un semplice nemerino di un ticket. La relazione tra medico e paziente è una relazione tra corpi ma anche tra anime dotate di mozioni, sentimenti e stati d'animo.

In conclusione invito tutti a riflettere attentamente sull'importanza di un corretto e rispettoso rapporto tra medico e paziente, in modo che il malato non sia spogliato delle sue note individuali, diventano in tal modo una tabella numerica piuttosto che una storia personale.

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

Consiglio un ottimo libro:  La morte di Ivan Il'ič di Lev Tolstoj     

 

 

 

 


19 ottobre 2010: UN MEDICO UN UOMO di Randa Haines, USA 1991, 124'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Jack Mackee è un chirurgo di successo presso l'ospedale di San Francisco brillante e spregiudicato molto pieno di se...e con una scarsa considerazione dei pazienti. Come ripete spesso e volentieri ai suoi tirocinanti il suo lavoro consiste nel "entrare aggiustare e andarsene". Il paziente è colui che deve accettare passivamente ogni trattamento propinato con distacco e senza troppe spiegazioni e soprattutto senza umanità. Non c'è alcun rapporto umano tra medico e paziente. Sembra quasi che non voglia correre il rischio di farsi coinvolgere troppo dalle tristi situazioni dei suoi pazienti. Un giorno però improvvsiamente e inaspettatamente le cose cambiano: Gli viene diagnosticato un tumore alla laringe e si trova catapultato nel ruolo di PAZIENTE bisognoso di cure e sotto la continua arrogana e indifferenza dei suoi stessi colleghi. Questo cambio di prospettiva all'inizio lo porta a non voler accettare di "ricoprire" il ruolo del malato; ma alla fine gli apre anche gli occhi sull'importanza del valore dei rapporti umani di comprensione e di solidarietà con altri malati. 

Conosce infatti June una ragazza malata di tumore cerebrale incurabile. Tra i due si instaura una bella amicizia che lo aiuta a vivere in maniera migliore la sua malattia. Interessante anche la scelta di chi debba operarlo...Decide di troncare i rapporti con quelli che erano stati medici freddi e distaccati e concede l'incarico dell'operazione a un suo collega ebreo che aveva sempre snobbato ma  che ora vede in un'ottica diversa. Il dottore ebreo riesce a salvarlo e a Jack ritrova pure la voce (che rischiava di perdere dopo l'operazione). Toccante e profonda la lettera che gli lascia June prima di morire. E' proprio questa lettera che lo aiuta definitamente ad aprirsi al prossimo e a trovare la via della felicità. Molto bella la scena finale quando Jack finalmente cambiato rimprovera un suo tirocinante che aveva chiamato un paziente col numero affidatogli dal reparto, segno che nel chirurgo era avvenuto veramente un cambiamento radicale.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Nel film vediamo il tipico modello di tanti medici ospedalieri americani: i rappoti umani sono ridotti al minimo essenziale e non c'è assolutamente un contatto fisico tra medico e paziente...mai una carezza di incoraggiamento, mai un abbraccio per infondere forza prima di un intervento chirurgico. Tutto è molto freddo e distaccato. Il paziente viene ridotto a un semplice e banale oggetto da riparare. La vita ci porta inesorabilmente ad avere contatti con il prossimo e per un medico più di chiunque altro. Il dialogo tra medico e paziente può fare molto quasi ai livelli di una medicina proprio perchè il paziente ha bisogno non solo di avere risposte sulla sua malattia ( in quanto vuole sapere cos'ha e cosa gli succederà, è pieno di domande e paure da colmare) ma anche di un "infuso" di coraggio per poter andare avanti in un percorso tortuoso. Quindi l'umanità in un medico è a parer mio fondamentale ed è un elemento senza il quale non si può svolgere al 100% questa importante professione.

 

 

 

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16 novembre 2010: IL GRANDE COCOMERO di Francesca Archibugi, Italia 1993, 96'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Il film è ambientato nel policlinico di Roma e racconta la storia di Valentina, una dodicenne soprannominata Pippi figlia di due genitori benestanti ma con poca cultura che sembrano stare insieme solo per non lasciarla sola con la sua malattia. Infatti in seguito a quella che viene diagnosticata come una crisi epilettica Pippi viene ricoverata nel reparto di neuropsichiatria infantile diretto da Arturo il quale è appena uscito da una crisi coniugale che però sembra continui a tormentarlo. Il giovane dottore decide di prendersi cura della ragazzina convinto che la malattia sia più di natura psicologica che neurologica. Inizialmente i rapporti tra il medico e la sua paziente sono difficili. Pippi ha un carattere scontroso e provocatorio ma alla fine riesce a instaurare un buon rapporto con Arturo. L'ospedale diventa la sua nuova casa e gli altri ragazzini ricoverati i suoi nuovi amici. Questo perchè la sua famiglia si dimostra distante e superficiale e Pippi non riesce a trovarvi nè sicurezza nè tantomeno l'affetto di cui ha bisogno. Interessante anche il rapporto che Pippi instaura con  Marinella una bambina cerebrolesa di 6 anni alla quale si dedica a tempo pieno. Proprio quando le cose sembrano andare per il meglio Marinella muore e Pippi rimane sconvolta. Inzia ad avere un totale rifiuto per Arturo e alla fine si induce un'autocrisi epilettica come forma di protesta contro il mondo esterno. Arturo però troverà in questo la giusta chiave di lettura per un' appropriata cura. Pippi infatti ne esce più forte e più serena. Anche Arturo esce migliorato, con meno incertezze e più saldo.

Quindi in questo film si vede come nel rapporto medico paziente l'aiuto è reciproco. Infatti Arturo aiuta Pippi ma anche lei riesce attraverso il dialogo a ridare sicurezza al medico. All'inizio non dimentichiamoci che quest'ultimo era pieno di dubbi di incertezze e tutto quel lavoro con malati psichiatrici lo stava facendo uscire di cervello (basta vedere in che condizioni teneva la casa ad esempio).

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Nel rapporto medico paziente (in particolar modo nella neuropsichiatria infantile) il dialogo e i rapporti umani a parer mio sono fondamentali. Quella che può sembrare (per i canoni anglosassoni) una terapia non convenzionale fondata su un rapporto amichevole e sulla reciproca fiducia tra malato e dottore può risultare migliore di molti psicofarmaci messi insieme. Allo stesso tempo però il medico deve stare attento a non farsi prendere troppo emotivamente dalla situazione che sta vivendo dal paziente in quanto rischia di perdere le redini della situazione e fare peggio che meglio arrivando lui stesso a stare male emotivamente e psichicamente. Quindi il medico deve saper  essere anche molto forte e saldo di spirito. Solo bilanciando nella giusta maniera pazienza, umiltà tenerezza e uno spirito forte il medico può aiutare e farsi aiutare.

 

 

 

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30 novembre 2010: LA FORZA DELLA MENTE di Mike Nichols, USA 2001, 99'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

"Lei ha un cancro dell'ovaio metastatizzato ed in fase avanzata." Queste sono le parole che nella primissima scena del film l'oncologo rivolge alla protagonista Vivien Bearing donna di mezza età e professoressa universitaria di letteratura inglese specializzata in poesia inglese del 1600 e più in particolare dei sonetti di Jon Donne. Non c'è che dire, inizio del film ha un impatto molto forte sul pubblico. L'oncologo propone a Viven di entrare in cura sotto la sua direzione presso l'ospedale. Sperimenteranno una nuova cura. L'oncologo fa pesente a Vivan che non è certo se avrà effetti miracolosi ma è senza dubbio la migliore che possono offrirle. La paziente accetta, ma si rende subito conto di essere diventata "una cavia". La sua grande intelligenza le permette di capire in un batter d'occhio come funziona l'ospedale: sempre le stesse frasi fatte pronunciate dai medici, quelle visite di controllo sempre uguali ecc ecc.

L'ospedale diventa la sua nuova casa e Vivien fa di tutto per sopravvivere in quell'ambiente. Cerca addirittura di imparare la terminologia medica lei che alle parole era sempre stata affezionata fin da quando era bambina e suo padre le leggeva le fiabe. La prima parte del film è ricca di flash back riguardanti la vita della protagonista. Vivien era stata un'insegnante molto severa e distaccata con i suoi studenti ma questo perchè anche lei aveva avuto un'insegnante dello stesso stampo se non peggio. Intanto all'interno dell'ospedale la vita si fa sempre più dura. Spostamenti continui, chemioterapia, visite a tutte le ore e addirittura l'isolamento. Inizia a conoscere cos'è la fragilità umana, la paura...Da grande professoressa e studiosa è diventata un semplice oggetto. La situazione si ribalta tragicamente. Molto interessante è la scena nella quale l'oncologo entra con i suoi specializzandi per farle una visita e quando domanda se hanno notato qualche cambiamento nessuno fa presente l'elemento della perdita dei capelli (vivian aveva subito 8 cicli di chemioterapia). Lo considerano ovvio. Tra questi specializzandi c'è anche un suo ex alunno che è il prototipo dello specializzando modello e che quindi assume anche quegli attegiamenti freddi e un pò rigidi tipici dei suoi superiori. Addirittura nonostante Vivian avesse esplicitamente chiesto che se il suo cuore si fosse fermato avrebbe voluto che nessuno intervenisse lui presto da un istinto "eroico" cerca di rianimarla e chiama pure (sbagliando professionalmente) una squadra di persone per provare una rianimazione con defibrillatore. Non accetta la morte.  A parer mio però non sembra interessato in particolar modo a Vivien ma lo fa per mettersi in mostra.

Altro personaggio interssante  è Susie l'infermiera di colore, l'unica dotata di una certa umanità e che mostra nei confronti di Vivien dolcezza e tenerezza. A parer mio è il personaggio più bello del film e quello che ci lascia il messaggio migliore: Un medico non si deve limitare a visitare in modo freddo e distaccato il suo paziente ma deve anche prendersene cura con tutta l'umanità possibile, non farlo sentire solo e nel caso di un malato terminale farlo arrivare al passaggio con l'aldilà il più sereno possibile.

 

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Come nel film "Un medico un uomo" ci troviamo di nuovo di fronte a medici freddi e distaccati. A parer mio come ho già fatto notare nei precedenti commenti un medico è prima di tutto una persona umana e deve comportarsi come tale nei confronti dei suoi pazienti e non come una sorta di essere superiore dotato di poteri speciali. Anche il linguaggio è importante. Un paziente non potrà mai capire il vocabolario medico, quini si deve sempre cercare quando si parla con il malato di usare parle semplici. Infine non bisogna tralasciare mai la dolcezza e la tenerezza in particola modo con i malati terminali.

 

 

 

 

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22 Marzo 2011: MEDICI PER LA VITA di Joseph Sargent, USA 2004, 110'


Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?
Come dice il dottor Alfred Blaloc "per un medico la morte è, prima di tutto, il nemico da combattere strenuamente."  Uno degli aspetti che viene messo in luce tramite questo film è proprio la lotta contro la morte da parte della medicina. Ma per sconfiggere la tetralogia di Fallot (sinderome che fino al 1944 conduceva i piccoli malati cianotici al decesso) anche un prestigioso chirurgo bianco come Blaloc non può fare a meno di un aiutante. E qui entra in gioco il secondo messaggio: l'importanza del lavoro d'equipe in ambito medico e soprattutto nella chirurgia. Vivien Thomas infatti sarà indispensabile per la scoperta di una nuova tecnica chirurgtica per curare la tetralogia di Fallot. A questo punto possiamo introdurre il terzo punto di riflessione del film di aspetto etico sociale. Vivien infatti non è nè un dottore nè uno specializzando. E' un semplice falegname di colore che inizia la sua avventura facendo le pulizie nel laboratorio del dottor Blaloc. Quello che colpisce però è la sua passione per la medicina e la chirurgia, e la sua tenacia nel cercare di diventare medico. Ma negli Usa del tempo la situazione per le persone di colore era assai difficile. Nonostante Vivien scopra la metodica chirurgica per combattere la malattia non gli viene assegnato nessun premio, nessun riconoscimento. Durante il film sono numerosi gli ostacoli che Vivien deve affrontare. Soltanto in anni recenti gli è stata assegnata una laurea honoris causa.





La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?
Questo film mi ha fatto capire quanto sia importante per la professione medica e in particolar modo chirurgica il lavoro di equipe. Nemmeno un celebre chirurgo potrebbe mai opeare senza la sua preziosissima squadra. Questo perchè operare sul corpo umano è un' azione assai complessa e delicata che in solitudine difficlmente si potrebbe realizzare. L'altro aspetto che mi ha fatto riflettere molto riguardo la professione medica è l'assidua lotta contro la morte. Nonostante siamo nel terzo millennio ci sono ancora molte barriere che la medicina e la chirurgia devono abbattere... pensiamo solo alla lotta contro i tuomori, o alla stessa piaga dell'AIDS. Inoltre possono capitare interventi chirurgici difficilissimi non sempre risolvibili al meglio... Per la maggior parte delle persone un chirurgio non dovrebbe sbagliare mai. Ma non dimentichiamoci che anche il + eccelso chirurgo è umano... non è un dio... Possono capitargli casi talmente tragici che nonostante tutti gli sforzi e la buona volontà non sia possibile salvare la vita del paziente.





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5 Aprile 2011: L'OLIO DI LORENZO di George Miller, USA 1993, 129'


Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?
Senza dubbio per dei genitori un figlio è il bene più prezioso che ci sia. E il solo pensiero che possa morire a causa di una malattia incurabile li induce a fare di tutto per salvarlo, anche mettersi a studiare partendo da zero materie mediche come può essere la biochimica. Questo è il caso dei coniugi Odone genitori di Lorenzo un bambino malato di adenoleucodistrofia. Pur di non vedere morire il loro bambino, (dopo aver scoperto i benefici sulla malattia dell'olio di cozza) si mettono contro le istituzioni sanitarie e l'associazione dei familairi dei bambini malati di ALD assai perplessi non solo sull'efficacia della terapia ma anche sui costi che essa comporta. Il film finisce lasciando ogni questioneaperta. Lorenzo è riuscito as vivere fino ai trenta anni. Quindi seppu non del tuto i coniugi Odone hanno vinto la loro battaglia.

Quello che più mi ha colpito del film (molto forte e tragico) è proprio questa estenuante lotta dei genitori disperati che non riescono ad accettare la morte del figlio e non perdono mai le speranze di riuscire a trovare una cura per il loro bambino.

 
 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?
A parer mio un buon medico deve saper ascoltare i parenti di un malato anche se più ignoranti di lui. Nel caso degli Odone però vadiamo che una certa cultura biochimica e chimica clinica riescono a costruirsala se pur da autoditatti.
Un medico deve prendere in considerazione tutte le piste possibili (anche quelle che sembrano più banali)
per cercare di curare una malattia della quale non si conosce una cura precisa.

Mi ha colpito molto anche il distacco dei medici non solo nei confronti di Lorenzo ma anche in quelli dei genitori. Non c'è nessun dottore che cerchi di stare vicino e dare un pò di speranza e forza a due genitori afflitti.

Vorrei concludere con le parole di un grandissimo Nobel per la fisica Richard Feynman: “La scienza…insegna il valore…della necessità di dubitare e di non dare per scontata nessuna verità…La scienza è la fede nell’ignoranza degli esperti

Se vi dicono che la scienza ha mostrato una certa cosa, potreste chiedere: E come lo ha mostrato? Non è stata la scienza a farlo ma quel certo  esperimento, quel certo fenomeno… Gli esperti che vi guidano possono sbagliare…”.

 

19 Aprile 2011: PATCH ADAMS di Universal, USA 1998, 115'


Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?
Senza ombra di dubbio il lavoro di Patch Adams ha rivoluzionato l'ambiente medico e l'approccio del dottore con il paziente. Molto spesso invece di imbottire il paziente di medicine basta farlo ridere per rendergli la vita migliore.
Tra tutti i film che abbiamo visto al cineforum in questo si vede davvero bene la buona riuscita del rapporto medico paziente. Patch Adams ama i suoi pazienti e gli sta vicino. Gli fa riscoprire la voglia di vivere a pieno e con gioia la vita. Ci parla, li ascolta e soprattutto li fa ridere al fine che il dolore li abbandoni anche solo per un pò. Quindi in molti casi per instaurare un buon rapporto e avviare una cura nei confronti di un paziente un naso da clown può fare molto di più di innumerevoli pillole medicinali






La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?
Patch Adams è un modello esemplare per quanto riguarda il rapporto medico paziente. Attraverso la sua filosofia ci fa capire che oltre al corpo i pazienti hanno anche uno spirito e anch'esso nel periodo della malattia ha bisogno di essere curato. E per curare lo spirito basta poco: anche una risata. Se il paziente si predispone in maniera positiva, curare una malattia (o viverla nel caso sia incurabile) diventa più semplice. Un medico in gamba deve riuscire a far ritrovare la gioia di vivere nell'animo di uin paziente affinchè questa sia la molla di lancio per affrontare e combattere la malattia







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