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Bani Eleonora

Page history last edited by eleonora bani 12 years, 6 months ago

PORTFOLIO

Ad ogni incontro devi esprimere i tuoi pensieri sul film proposto editando questa pagina e scrivendo nello spazio sotto a ciascuna domanda

 


12 ottobre 2010: CARO DIARIO di Nanni Moretti, Italia 1993 (IV episodio: Medici) 30'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Al giorno d'oggi non è difficile mettersi nei panni del personaggio descritto da Nanni Moretti, il paziente errante in balia dei medici sembra quasi un cliché frequente nei racconti di amici e parenti: correndo da uno o l'altro specialista non si arriva mai ad una conclusione ed ad una (auspicata) fine della malattia. Nel film il tutto viene reso magistralmente attraverso la ripresa delle code in ambulatorio, le interminabili attese nel traffico cittadino ma ancora più d'effetto risulta il recidivo perseguitare dei tormenti scaturiti dalla malattia: il povero personaggio si trova a trascorrere un numero, ingiustamente grande, di notti insonni grattandosi, sfregandosi inutilmente la cute nel tentativo di un minimo di sollievo. Si percepisce nel film una certa dose di ironia mista ad amarezza, in particolar modo nel finale quando il protagonista si rende conto di aver  sofferto inutilmente per molti mesi, mentre la diagnosi e la cura della malattia avrebbero potuto essere molto più tempestive. Mi ha colpito molto la descrizione che viene fatta nel film dei medici. Questi si basano soprattutto sulle esperienze nel proprio campo (es. i dermatologi pensano subito ad una malattia della pelle) e raramente si consultano con altri colleghi, finendo per analizzare solamente una parte del paziente e non l’individuo nel suo complesso.

 

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Tutti i medici, in virtù della loro specializzazione, consideravano il problema come per forza asserente alla loro branca, senza domandarsi se esistessero strade alternative e soprattutto senza sfruttare il paziente, non solo come un malato, ma come fonte di notizie per essere curato; è paradossalmente vero come il tutto rispecchi la realtà attuale, dove, proprio per queste sottigliezze, le persone continuano a soffrire per errori evitabili.

 

 

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

-Consiglio questo libro "L'arte di ascoltare" di Erich Fromm

-"L'ultima volta che sono andato dal dottore mi ha dato tante medicine che, una volta guarito, sono stato male per un mese intero." (Groucho Marx)

 

 


19 ottobre 2010: UN MEDICO UN UOMO di Randa Haines, USA 1991, 124'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Il film risulta molto efficace nel descrivere il cambiamento del protagonista quando la malattia lo costringe a riflettere sul significato profondo dell'essere un medico.Jack McKee é prima chirurgo spregiudicato, pieno di sé, assorbito dal prestigio e dai vantaggi della propria professione, trascura moglie e figlio,  ma quando poi si ritrova a vestire i panni del paziente, capisce che lui stesso non vorrebbe un medico con un atteggiamento simile al suo e decide di affidarsi ad un collega con un approccio completamente diverso, con il quale instaura un rapporto di fiducia.

Il film riesce dunque a mettere a nudo un atteggiamento che, a detta dei medici stessi, si trova spesso nell'ospedale: la freddezza e il recidere legami col malato, cosa che al termine del film viene completamente ribaltata facendo dunque passare il messaggio più positivo, quello di una solida collaborazione fra paziente e medico, quella di una forte necessità per ciascun ruolo dell'altro.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

E' certamente auspicabile un buon rapporto tra il medico e il paziente perchè alla fine risulterà utile per la terapia stessa. Infatti per la buona riuscita di una cura è necessaria una certa stima ed una certa fiducia nel proprio dottore, è necessario che il paziente si senta compreso nelle sue difficoltà e che veda il medico come un riferimento ed un "amico" a cui affidarsi. Perciò lo sforzo di instaurare un buon rapporto con il proprio paziente non è affatto inutile, perché se il paziente apprezza il suo dottore non solo per ciò che fa ma anche per com'è e come si comporta nei suoi confronti, non potrà che seguire meglio la cura ed affrontare in modo più positivo la malattia, giungendo alla fine ad un miglior risultato.

 

 

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16 novembre 2010: IL GRANDE COCOMERO di Francesca Archibugi, Italia 1993, 96'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

In questo film penso che l'intento del messaggio fosse far capire quanto e come sia necessario trattare ogni paziente come un'entità a sé stante, come un mondo unico, come un universo tutto da scoprire e col quale trovare l'approccio migliore, l'approccio mirato per fare in modo che i risultati alla fine fine del "viaggio" siano i migliori.

La protagonista Pippi, come del resto gli altri malati nelle proprie peculiarità, necessitano di un metodo di azione diversificato ed eterogeneo che deve tener conto di vari aspetti ed Arturo (Sergio Castellitto) sa esser il fulcro di un modus operandi che fa fronte a tutte le sfumature dei suoi pazienti. Sergio Castellitto nella persona di medico a tutto tondo, quello che tutti noi da pazienti vorremmo trovarci davanti, ci mostra una figura professionale che veramente tiene ai propri pazienti in quanto tali e non come puramente ricondotti e riconosciuti per la malattia che li affligge, impegnandosi seriamente in prima persona per la loro guarigione sia sotto il profilo medico che agendo anche da persona.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Ovviamente la figura di snodo di tutto il film è Arturo, come uomo, come medico, come "padre" di tutti quei pazienti nei confronti dei quali, come "padre", riesce a comprenderne le esigenze, gli spigoli, la diversità e a farne fronte. Sa analizzare a fondo le situazioni, sa gestire la malattia nel contesto medico ma anche tramite l'interazione e l'influenza su essa dell'ambiente esterno (ad esempio la contraddittoria situazione familiare) e nel saper ovviare le carenze, per esempio nel personale e nelle strutture ospedaliere, permettendo per esempio ad un paziente come Pippi di stare vicina ad un altro nell'interesse e nel guadagno finale di entrambe.

 

 

 

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"Una concretissima utopia" è la raccolta di articoli e saggi nata dall'esperienza maturata dallo psichiatra Marco Lombardo Radice che ha ispirato il film.

http://it.wikipedia.org/wiki/Marco_Lombardo_Radice

 

 

 


30 novembre 2010: LA FORZA DELLA MENTE di Mike Nichols, USA 2001, 99'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

E' interessante in questo film porre l'attenzione su tutte quelle situazioni antitetiche che ci dovrebbero far riflettere sul giusto atteggiamento che dovrebbe tenere un medico in relazione al cambiamento radicale e profondo dell'individuo che nel giro di poco tempo si ritrova paziente. Vediamo infatti inizialmente una Vivian insegnante che a fronte della scoperta della malattia diventa Vivian oggetto di studio, una Vivien dall'atteggiamento fiero (quello proprio di una persona che ha ancora il pieno possesso delle sue capacità, della sua dignità, della sua consapevolezza di sé) ed una Vivien che vediamo invece lasciar man mano spazio alla malattia che nel tempo si appropria del suo corpo e della sua mente.Nello stesso tempo vediamo però anche un radicale cambiamento da parte della sfera medica (che invece dovrebbe rimenre ferma e salda nei suoi intenti migliori) la quale muta il suo iniziale interesse in una pura e disinteressata ricerca di dati. Il modo in cui il regista affronta la malattia è crudo senza intermediari e mezzi termini, ma risulta funzionale alla descrizione di un individuo nel suo percorso fisico e interiore di approccio alla malattia dove la figura del medico dovrebbe rimanere il pilastro saldo di riferimento, di legame alla realtà anche nelle sue sfumature umane ed emozionali, cosa che invece non avviene in questo film.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

L'immagine della sfera medica in questo film subisce una mutazione in negativo che ci deve aprire gli occhi su come l'intento tecnico curativo debba fare i conti con quello che è l'iter di mutazione di un uomo che diventa paziente, sul come cambi la sua visione della vita, delle giornate, del possesso di sé e dell'interazione con gli altri ed è necessario comprendere come l'integrazione delle due cose possa essere fatta esclusivamente tramite la figura del medico che deve essere colui che cura, ma anche colui che comprende, che sostiene, di fatto uomo come uomo lo è il paziente. In questo caso invece col tempo finiscono per trattare con sufficienza la paziente guardando più al proprio utile (i dati per la ricerca) che all'aspetto umanitario; nella scena in cui ci sono i vari medici che fanno il giro visite si nota come una persona vienga completamente estrapolata dal suo essere e utilizzata come fosse un libro di testo, per vantarsi delle proprie conoscenze. A far da contrappeso a tutta questa immagine negativa c'è la capo infermiera, emblema di umanità e sensibilità, che non abbassa però mai l'alto grado di professionalità che il paziente ha il diritto di ricevere. Questo per dimostrare un'unica cosa: che professionalità e umanità non sono due universi separati, lo studio e la sensibilità non sono due binari paralleli. Siamo uomini come i pazienti che andiamo a curare.

 

 

 

 

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22 Marzo 2011: MEDICI PER LA VITA di Joseph Sargent, USA 2004, 110'

 


Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Questo film copre un ampio raggio di argomentazioni; pur rimanendo fedele alla trattazione dell'ambiente medico, dal punto di vista dello studio, della ricerca, del coraggio, della dedizione e di tutti quelli che possono essere considerati gli aspetti migliori dela medicina, il film spazia dalle discriminazioni razziali agli ostacoli imposti da società classiste che nella pellicola vengono superati grazie al sacrificio, alla determinazione e alla caparbia del protagonista in parallelo alla mutazione del sistema in cui egli è inserito, un sistema di individui che riescono a cambiare idea, che riescono a dar voce al merito e alla bravura mettendo da una parte la propria presunzione, la propria tendenza ad essere  " gli unici e i soli" per lasciare campo invece alla collaborazione. La crescita del protagonista ha delle tempistiche effettivamente poco reali, ma funzionali per la fruizione del messaggio: l'uomo su cui si incentra la storia riceve una laurea ad honorem e delle ampie approvazioni nel suo ambiente lavorativo, il tutto a fronte di un impegno forte, duraturo, costante e soprattutto sentito, un impegno in cui il protagonista crede nonostante gli ostacoli, nonostante le strade sbarrate che con la determinazione riesce a oltrepassare.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

La professione medica in questo film viene trattata mettendone in risalto le sue qualità migliori. Viene mostrato un "modus agendi" auspicabile per qualsiasi individuo che decide di fare della medicina la propria compagna di vita. Il protagonista consapevole delle mille problematiche che può comportare la sua condizione (il colore della sua pelle, l'estrazione familiare non alta, il fatto di non possedere una laurea) fa dell'applicazione costante e della determinazione i suoi punti di forza. La ricerca continua che vede impegnato il protagonista è quella ricerca che dovrebbe rappresentare le fondamenta di chiunque voglia avvicinarsi alla professione medica e che risulta poi essere il fulcro dell'accrescimento personale sia per un ritorno individuale, sia per una sempre miglior applicazione della medicina sul paziente. Lo studio e la ricerca sono la chiave per aprire la porta del sapere medico e sono i mezzi a cui è necessario aggrapparsi quotidianamente, sono i mezzi che promuoveranno sempre il merito e  che garantiranno sempre l'avanzata verso livelli qualitativi migliori; sono la base sulla quale il futuro medico (ed anche il medico stesso) devono inziare e poi continuare a costruire la propria carriera, per rendere il proprio ruolo di medico degno di essere chiamato tale e per garantire al paziente da curare il miglior trattamento possibile.  

 

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Questo film mi ha fatto venire in mente una massima studiata nel mio precedente percorso di studi compiuto al liceo.

Virgilio nelle sue Georgiche diceva: "Labor omnia vincit improbus" che tradotto significa "L'impegno supera tutte le avversità".

 

                                                                                                                                                                                                                 

 

5 Aprile 2011: L'OLIO DI LORENZO di George Miller, USA 1993, 129'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Il film l'ho trovato molto diverso dagli altri che ci sono stati proposti. Qui il tutto si gioca in ambito familiare e viene messo fortemente in risalto tutto ciò che ruota intorno al malato e alla malattia, dal punto di vista della soffernza primaria del paziente e di quella che è la sofferenza indiretta dei parenti, degli affetti stretti, che anche se  non colpiti dalla malattia  sono comunque colpiti da una circostanza che li mobilita totalmente e che li coivolge fortemente dal punto di vista emotivo.  Il caso di Lorenzo (un caso reale) è sicuramente un caso più unico che raro, per la malattia in questione e per gli esiti della vicenda, ma l'aspetto che penso vada isolato da una vicenda sporadica come questa è proprio la riflessione sulle conseguenze generali di un malattia. Dal film risulta evidente come una malattia non colpisca solo il diretto interessato; l'uomo è un essere sociale, vive gran parte della sua vita ancorato agli affetti, ancorato ad altri uomini e il coinvolgimento emozionale ed affettivo dell'individuo, in bene e in male, spesso è il motore più forte di ogni azione. Ecco come la malattia di un figlio non può che coinvolgere inevitabilmente entrambi i genitori, come quasi fossero malati anche loro assieme al figlio stesso; lo accompagneranno quotidianamente nel decorso della malattia nel tentativo di stare vicino all'affetto colpito (quasi a volersi accaparrare un pezzetto di quella malattia come per voler levare una parte del peso al figlio), ma con la consapevolezza di dover esser forti dal momento che essi rappresentano, nei confronti del malato, il contatto più prossimo con il "mondo sano" con cui il malato deve costantemente rapportarsi per abbandonarsi fisicamente e mentalmente alla sua condizione.

Nel film penso che questo tipo di riflessione, mediata dalle immagini, sia fortemente messa in primo piano.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Come già sottolineato, il caso in questione, se pur tratto dalla realtà, risulta essere un esempio piuttosto unico, sia per la  gravità e la rarità della malattia che per gli esiti. Lorenzo Odone è infatti affetto da adrenoleucodistrofia (che oltre alla complicanza della rarità, ha quella di essere in generale poco conosciuta), una malattia genetica dei perossisomi che comporta danni ingenti al sistema nervoso. I genitori del ragazzo malato, nel film (rispecchiando il reale accaduto), si battono e si mobilitano entrambi in prima persona per trovare una cura per il figlio fino ad elaborarne una che riesce a bloccare l'avanzare della malattia ma che non ne annulla gli effetti dannosi che hanno già leso i tessuti nervosi. I genitori si dividono dunque in due ruoli, quello di individui emotivamente molto legati al malato proprio perchè genitori che per ovvi motivi si muovono spinti dall'affetto e dalla componente sentimentale che li lega al figlio e quello di "sperimentatori" che percorrono la strada della ricerca della cura con atteggiamento scientifico, rigoroso, logico ponendo quasi un muro fra la malattia in sé (che di fatto colpisce ciò che di più caro hanno al mondo: il figlio) e le loro ricerche.  La cura viene trovata (l'olio di Lorenzo) e a fronte di questa "conquista" vengono poi criticati quelli che sono i protocolli standard che deve seguire un farmaco in sperimentazione (si punta il dito contro i tempi troppo lunghi che talvolta risultano ulteriormente dannosi nei confronti del malato che non riceve in tempi adeguati una cura) contro gli esiti (in questo caso favorevoli) di un approccio come quello dei genitori di Lorenzo. Personalmente mi trovo d'accordo in merito alle critiche sulla gestione delle ricerche sperimentali che si concentrano sulle malattie più diffuse a discapito di quelle più rare (magari per interessi economici), ma allo stesso tempo non trovo nemmeno pensabile un'idea di medicina "fai da te" per quanto questa possa essere basata su fondamenta scientifiche e logiche. Il caso di Lorenzo non deve quindi invogliare i tentativi autonomi di ricerca sperimentale da parte di "profani", penso che debba piuttosto spingere il nostro sistema di ricerca, per quelle che sono le modalità, gli obblighi, i limiti, le regole a modificarsi in meglio, per avvantaggiare sempre e comunque il paziente e non ridurre famiglie, come quella di Lorenzo, a misure drastiche come quelle attuate dai genitori di questo ragazzo.

 

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Grazie all'impegno del genitori di Lorenzo ed in particolare per volere del padre Augusto nasce il "Progetto Mielina" come fondazione senza scopo di lucro volta a finanziare le ricerche sulle malattie rare come quella di cui soffre il piccolo Lorenzo. Come fondazione internazionale questa risulta avere varie sedi distaccate nel mondo, ne esiste una anche a Roma  ed il sito di riferimento per reperire informazioni o per capire esattamente di cosa si occupano è questo http://www.progettomielina.it/

 

                                                                                                                                                                                                                               

 

19 Aprile 2011: PATCH ADAMS di Universal, USA 1998, 115'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Conoscevo già questo film che ci è stato proposto e per quanto i toni della pellicola possano risultare di fatto essere più leggeri e l'approccio più gioioso rispetto agli altri film visti, non va a mio avviso sottovalutato il profondo messaggio che ci viene lanciato. A cavallo di sorrisi, ottimismo e situazione al limite del comico ci viene proposta l'immagine di un modus agendi ad oggi difficile da riscontrare nell'ambiente lavorativo (in senso generale, ma ancor più in quello medico). Patch è l'immagine dell'uomo che nasce non tanto per fare il medico, bensì per curare/aiutare. Patch con il suo agire cura tutto di un paziente: ne cura le ferite, ne cura le disfunzioni, ne cura l'animo!!. Ecco che il messaggio fruisce perfettamente tramita la figura di Patch che combina magistralmente la conoscenza medica con il suo esser uomo e il suo saper essere uomo per potersi rapportare al meglio con uomini come lui, esattamente come lui. Sa scendere al pari del paziente che ha di fronte, sgretolando di fatto l'idea di casta, promuovendo un rapporto diretto/personale con il malato che non può far altro che agevolare i processi di guardigione del paziente che come soggetto di terapia non si sente solo il bersaglio di una cura, ma si sente colui che viene aiutato da chi è lì pronto e dedito all'aiuto, sotto tutti i punti di vista, anche quelli umani.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

L'immagine di Patch è sicuramente un'immagine positiva della figura di medico inteso sia nell'ambito lavorativo che al di fuori. Ci mostra abilmente quanto e come la professionlità di colui che cura non possa essere solo nozionistica, libresca, didascalica. Il medico è un uomo dentro e fuori dal camice e deve saper fare i conti non con una malattia, ma con un paziente(che è ben diverso); il paziente porta con sé e dentro di sé la malattia, ma porta con sé anche tutti quegli aspetti umani propri di un individuo sano che devono essere mantenuti e tenuti vivi anche quando la salute viene meno. Un buon medico secondo me (come mostra di essere Patch) deve saper distinguere persona e persona, esigenza ed esigenza e deve saper allo stesso tempo curare la ferita e mantenere vivo l'animo. Nel primo caso si può ricorrere alle terapie, nel secondo caso si può ricorrere al sorriro, ad una carezza, ad un'attenzione in più, al semplice chiamare il paziente per nome o a chiedergli qualcosa che possa esulare dal semplice "ha preso il farmaco che le abbiamo prescritto?". Curare la ferita ci viene insegnato nei nostri anni di studio, curare l'animo è qualcosa che non si impara, è qualcosa di innato, è quel qualcosa che fa essere medico anche chi in quel momento non indossa il camice.

 

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Propongo il sito di una donna molto "particolare" che ho avuto il piacere di conoscere frequentando per poco tempo il CdL in Logopedia. Lei è Zia Cate, ma forse è più nota a tutti come MILANO 25. Lei non è un medico e poco e nulla sa di medicina, ma nei confronti dei suoi piccoli passeggeri e delle loro famiglie sa metterci il cuore. Quotidianamente compie corse gratuite per tutti quei piccoli pazienti che si devono recare abitualmenta al Meyer. Caterina come già detto non ha affatto conoscenze scientifiche, ma sa curare l'animo, magari anche solo per quei pochi minuti di tragitto in auto, sa rendere spensierati quei momenti in cui i suoi piccoli amici (che ormai conosce tutti per nome ) le fanno compagnia sul taxi, fa vivere loro una vita lontana dalla malattia per quei pochi km che devono essere percorsi per giungere al Meyer. Non usa alta tecnologia, non usa pillole, non usa flebo, lei usa sorrisi (tanti), parole, tanti pupazzi, tanti giocattoli, tanti colori e lo fa per i bambini, ma lo fa anche per sé perchè curare l'animo fa bene a chi riceve, ma fa bene anche a chi dà. Il suo sito è questo http://www.milano25onlus.org/sito/Home.html

Recentemente ha avuto anche un incontro con Patch per ribadire in fondo che, come dice sempre Zia Cate, "Col sorriso si può!!"

 

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