Risaliti Matteo


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Ad ogni incontro devi esprimere i tuoi pensieri sul film proposto editando questa pagina e scrivendo nello spazio sotto a ciascuna domanda

 


12 ottobre 2010: CARO DIARIO di Nanni Moretti, Italia 1993 (IV episodio: Medici) 30'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

 

Questo episodio del film “Caro diario” offre molti spunti di riflessione, in primis mi porta a pensare a come sia possibile che alcuni tra i migliori dermatologi in circolazione non riescano a diagnosticare una malattia i cui sintomi sono così chiari (anche su wikipedia alla voce “linfoma di Hodgkin sono riportati come sintomi proprio il prurito, l'insonnia e la perdita di peso!!), ma la risposta a questo quesito appare più che scontata: nessuno dei medici ha saputo ascoltare il paziente, nessuno ha avuto l'umiltà di posare la penna e di dare credito a quello che Moretti più e più volte ha ripetuto, tutti erano più interessati a smontare la diagnosi del dermatologo che li aveva preceduti e a riempire di nuovi farmaci il malcapitato. Ovviamente le conseguenze di questo comportamento ricadono tutte sul paziente, che non solo non guarisce, ma rischia anche lo shock anafilattico a causa di un vaccino totalmente inutile. Ritengo che questo film sia davvero utile per un futuro medico, perchè nel suo piccolo ci ricorda come la nostra attenzione vada focalizzata sempre sulla persona che abbiamo davanti, come ogni caso vada affrontato partendo da ciò che il paziente dice e non cercare di “cucirgli” addosso quella che noi pensiamo sia la sua malattia sulla base di nostri pre-concetti.

 

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Il maggiore spunto di riflessione che la visione di questo film mi ha indotto nasce da un momento preciso dell'episodio: nella sua lunga serie di visite ad un certo punto Moretti arriva da un dermatologo che si comporta ancora una volta come quelli consultati in precedenza, elimina i farmaci prescritti dai colleghi e comincia a stilare un lungo elenco di nuove medicine; a questo punto Moretti, ormai rassegnato e alquanto scocciato, si alza senza dire niente ed esce dallo studio del dottore il quale non alza nemmeno la testa ma continua imperterrito a prescrivere medicine, come se neanche si fosse accorto che il paziente se ne è andato. La situazione ha del paradossale, ognuno di noi, cercando di vestire i panni di quel medico che vede il paziente andarsene così, cercherebbe di trattenerlo, avrebbe una minima reazione, ma in questo caso non c'è niente, come se fino ad allora il paziente non ci fosse nemmeno stato. Ma l'aspetto che veramente mi ha più colpito è il fatto che il medico non smetta di scrivere ricette anche quando ormai il paziente non c'è più, a dimostrazione della sua completa indifferenza verso colui che deve curare. Questa è l'esasperazione di quella mancanza di dialogo, di quel fare affidamento solamente sulla propria esperienza senza considerare la persona che c'è davanti che porta al fallimento di tutti quanti i dermatologi consultati.

Questo episodio all'inizio suscita totale disprezzo verso quel tipo di medico, ed è un utile punto di partenza per noi studenti per farci capire fin da subito come non bisogna essere e come la nostra attenzione fin da subito debba essere focalizzata sempre su chi abbiamo davanti.

 

 

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Guardando questo film mi è subito venuto in mente un libro che, pur muovendosi in un contesto più ampio, affronta la stessa problematica della mancanza di dialogo tra medico e paziente. Si intitola “Lettera a un medico sulla cura degli uomini” e gli autori sono Giorgio Cosmacini e Roberto Satolli. Riporto di seguito il link del sito in cui ho trovato un'ottima recensione del libro che sintetizza in poche parole i problemi che anche il film vuole sottolineare.

 

http://jcom.sissa.it/archive/02/03/R020301/jcom0203(2003)R01_it.pdf

 

 

 

 


19 ottobre 2010: UN MEDICO UN UOMO di Randa Haines, USA 1991, 124'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

 

In questo film si assiste alla metamorfosi di un medico che all'inizio è completamente distaccato dal paziente, lo vede soltanto come un pezzo di carne da riaggiustare, emblematica in questo caso è la sua affermazione “entro, aggiusto e me ne vado”, che riassume tutto il suo modus operandi, e soprattutto ne mette in luce il suo completo perdere di vista la soggettività del malato.

Ne risulta fin da subito l'immagine di un uomo profondamente altezzoso ed antipatico, il classico esempio da non seguire. Ben presto però la situazione cambia quando le parti si invertono: gli viene diagnosticato un tumore alla laringe e comincia così per lui una nuova vita da paziente in cui si trova a che fare con medici esattamente come lui, la nuova prospettiva lo rende consapevole del suo errore, capisce che quel metodo in cui ha sempre fermamente creduto non è giusto, e la guarigione dalla malattia è per lui l'inizio di una vita nuova anche come medico.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

La visione del film è sicuramente raccomandabile per noi studenti di medicina in quanto fin da ora bisogna cominciare a costruire le basi che in futuro ci serviranno per vivere al meglio il nostro rapporto col malato che avremo davanti, e questo film mette bene in luce un comportamento che bisogna evitare; d'altro canto non bisogna però nemmeno cadere nell'estremo opposto, vale a dire lasciarsi coinvolgere troppo, come in tutte le cose la verità sta nel mezzo, anche se sicuramente non è facile stare su quella linea sottile che ti permette di avere la giusta dose di distacco senza perdere di vista la persona che c'è dietro una malattia.

 

 

 

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16 novembre 2010: IL GRANDE COCOMERO di Francesca Archibugi, Italia 1993, 96'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Davvero un bel film, che mette in luce una figura tutta nuova e particolare del medico: colui che dedica tutta la sua vita alla professione fin tanto da non riuscire più a distinguere il lavoro dalla vita al di fuori dell'ospedale. Una storia commovente che fa capire come sia deleterio fermarsi alle apparenze anche quando queste sembrano comprovate da numerosi riscontri clinici, perché dietro al singolo paziente, alla singola persona si nasconde un mondo che il buon medico deve sapere intravedere per poter curare al meglio il malato. Nel film Arturo capisce il dramma familiare che si nasconde dietro alle crisi epilettiche di Pippi, e si instaura così un profondo rapporto tra i due che, fra non poche difficoltà, sarà la base per arrivare alla guarigione della bambina.

 

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

La figura di Arturo mette in luce un nuovo tipo di medico, diverso dagli altri delineati nei film visti fino ad oggi,è la figura del medico che stabilisce uno strettissimo rapporto con i suoi pazienti, che dedica tutta la sua vita al lavoro facendolo diventare la sua famiglia. A mio avviso è fondamentale che un medico si dedichi al paziente con amore e compartecipazione, ma deve sempre rimanere una certa distanza fra i due, la distanza che permette di tenere sempre la giusta visuale sulla situazione: penso che il troppo coinvolgimento da parte del medico sia dannoso anche perchè l'essere troppo all'interno di una situazione rischia di farti perdere di vista l'obiettivo e l'obiettività. Si tratta quindi di trovare la giusta via di mezzo, che nella medicina come in gran parte della vita si rivela essere sempre la situazione migliore.

 

 

 

 

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30 novembre 2010: LA FORZA DELLA MENTE di Mike Nichols, USA 2001, 99'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Il primo aspetto che colpisce di questo film è la totale inadeguatezza dei medici verso la sofferenza sia psichica che fisica di questa povera donna che da un giorno all'altro viene investita dalla notizia sconvolgente di essere malata di un tumore ormai all'ultimo stadio. Il cinismo dei medici appare evidente fin dalla prima scena, dove il professore comunica la malattia senza il minimo tatto, quasi fosse una situazione del tutto normale e tranquilla; questo comportamento che porta alla totale spersonalizzazione del paziente risulta poi esasperato in tutto il corso del film, tutti i dottori che visitano la donna non si preoccupano minimamente della persona e del dramma che sta vivendo, ma sono interessati unicamente alla malattia e a tenere sotto controllo l'andamento della cura sperimentale. Un episodio che mette bene in luce questo aspetto è quando la paziente riflette sul fatto che alla fine di tutto i medici pubblicheranno un articolo su di lei e sulla cura adottata, poi correggendosi dice che in realtà la pubblicazione sarà sulla sua cavità peritoneale e sulle sue ovaie, fatto che dimostra come la persona che vive la malattia non serva più, ciò che interessa sarà solo ed unicamente la patologia. La paziente soffre molto per questo comportamento, ed è molto interessante a mio parere il fatto che anche lei ricordandosi della sua carriera come professoressa universitaria si renda conto di quanto poca abbia curato i rapporti umani con i suoi studenti mettendo sempre al primo posto la sfera professionale (in una scena non concede ad un suo allievo al quale da poco è venuta a mancare la nonna, di posticipare la consegna del compito), e adesso che le parti si sono invertite ed è lei ad essere dalla parte della “vittima” questo contrasto appare ancor più stridente.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Il film mostra chiaramente come non deve comportarsi un medico, come deve sempre mettere al centro della sua attenzione la persona che vive la malattia senza però farsi trasportare e coinvolgere eccessivamente; credo che uno degli aspetti più difficili di questa professione sia proprio quello di sapersi muovere sulla linea sottile che segna il rapporto da tenere nei confronti del paziente: non può mostrarsi freddo e distaccato come i medici mostratici dal film perché il paziente ne soffre, e al contempo deve riuscire a mantenere la giusta distanza per non rischiare di farsi travolgere dai drammi coi quali ogni giorno lavora.

 

 

 

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ll film mi ha fatto pensare ad una frase del libro “L'eredità dello sciamano” di Noah Gordon: il medico, protagonista di tutto il romanzo, si trova ad avere a che fare con un paziente che gli scoppia a piangere dopo aver saputo di essere affetto da un male incurabile, e scrive l'autore “[...] lei (la dottoressa) gli fece appoggiare la testa sulla spalla,gli accarezzò i capelli, lo strinse a sé, gli parlò lungamente- esercitò insomma l'arte della medicina”. In questo caso il medico ha un comportamento del tutto opposto a quello dei dottori del film, e l'unica persona che si avvicina alla figura tratteggiata da Gordon è l'infermiera, la quale si sofferma a lungo a parlare e ad ascoltare la paziente, e ne comprende a pieno la sofferenza.

 


 

 22 Marzo 2011: MEDICI PER LA VITA di Joseph Sargent, USA 2004, 110'


Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Dopo una serie di film che hanno messo in luce gli aspetti più bui della figura del medico finalmente uno dove i protagonisti si mettono in risalto più per le loro qualità che per i loro difetti. Ho gradito molto la visione di questo film soprattutto perché essendo tratto da una storia vera colpisce ancora più a fondo, porta ad ammirare ancora di più le gesta ed il lavoro svolto dal protagonista che pur trovandosi in un ambiente discriminatorio non si lascia ostacolare dai pregiudizi dei colleghi e superiori ma coltiva con passione la sua vera vocazione, quella di fare il medico. E l'aspetto che più traspare da tutta la vicenda è proprio la profonda passione che anima sia il protagonista, Vivien, che l'affermato chirurgo suo maestro; i due non hanno paura di rischiare un intervento difficile solo perchè per ora mai effettuato e poco sostenuto anche dai migliori chirurghi del paese, ma si impegnano a fondo, si mettono in gioco ed alla fine ne escono vincitori. E la vincita in questo caso significa la sopravvivenza per centinaia di bambini altrimenti costretti alla morte precoce.




La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

I due medici protagonisti del film sono figure diverse ma entrambe ricche di un loro fascino: di Vivien mi ha colpito la passione verso il lavoro, la voglia di imparare a tutti i costi, e il fatto di non rinnegare mai le sue umili origini, la sua formazione come carpentiere, ma anzi di saper trarre vantaggio anche da questa quando, ad esempio, riesce a costruire la pinza per intervenire sul cuore del bambino. Per quanto riguarda l'altro medico, il chirurgo, una delle frasi che più mi è rimasta in mente è quando, parlando con i suoi colleghi che tentavano di fargli capire quanto l'intervento fosse rischioso, dice: “là dove voi vedete dei rischi, io vedo delle opportunità”. Questa affermazione sintetizza a mio parere tutto quel carattere e quella mentalità che gli ha permesso di riuscire là dove nessuno avrebbe mai osato. Questi due personaggi arricchiscono molto l'immagine del medico che comunemente abbiamo, e vanno anche oltre a quelle rappresentazioni tristi dei medici finora mostrateci nei film precedenti, traspare l'immagine del medico che affronta il suo lavoro come una vocazione, investendo in questa tutta la sua vita al fine di poterne salvare molte altre.




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La visione del film mi ha subito fatto venire in mente la vera storia di un altro medico, Ben Carson, uno dei migliori neurochirurghi pediatrici al mondo. Sia la sua autobiografia, “Mani miracolose” che il film tratto da questa, “Gifted Hands”, ci raccontano la vita di quest'uomo di colore, di umili origini, che si fa strada fra discriminazioni e difficoltà economiche fino a diventare, all'età di 33 anni, il primario del reparto di neurochirurgia pediatrica del John Hopkins e il primo chirurgo al mondo ad operare una separazione di gemelli siamesi attaccati per la nuca. Un uomo davvero straordinario che è stato e continua ad essere tutt'oggi un esempio di come la volontà e la passione verso il proprio lavoro portino al raggiungimento di qualsiasi obiettivo.








5 Aprile 2011: L'OLIO DI LORENZO di George Miller, USA 1993, 129'


Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?
 

In questo film viene raccontata fedelmente la vera storia di Lorenzo Odone, un bambino affetto dall' adrenoleucodistrofia, una malattia neuro degenerativa molto grave e rara che normalmente porta il paziente a morte dopo pochi mesi dalla diagnosi, ma in questo caso la costanza e l'intelligenza dei genitori del bimbo, che non si perdono d'animo e si mettono a studiare medicina per trovare una soluzione, portano alla scoperta di un olio in grado di fermare l'aggravarsi della patologia. Tutto il film ruota attorno alle figure dei genitori di Lorenzo, che fin dalla diagnosi della malattia del figlio decidono di non abbandonarsi alla disperazione, ma cominciano a studiare, ad informarsi e a sfidare l'ambiente medico per riuscire a trovare una cura per la malattia. E i loro sforzi vengono ripagati: dopo mesi di intenso lavoro e sacrifici riescono a rallentare il progredire della malattia, anche se le condizioni del figlio, ormai eccessivamente compromesse, non possono tornare alla normalità; ma grazie al loro lavoro molti altri bambini hanno potuto beneficiare della cura e fermare la malattia prima che questa facesse danni irreversibili. Fra tutti il personaggio più interessante della vicenda secondo me è il padre: incarna esattamente la figura del buon medico senza nemmeno saperlo; infatti riesce a coniugare perfettamente il suo amore per il figlio/paziente con la giusta dose di distacco che gli consente di mettere tutto l'ardore possibile nella sua ricerca ma al contempo di rimanere concentrato sull'obiettivo. E la sua lucidità è ancora più evidente perché affiancata dal completo (e concepibile) travolgimento emotivo che vive la madre che la porta a non essere più in grado di decidere per il bene del figlio come quando ad esempio si rifiuta con tutta se stessa di farlo ricoverare in una clinica dove lo avrebbero potuto seguire meglio.




La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

La figura del medico nel film è volutamente fatta passare come colui che tende più a difendere la sua reputazione piuttosto che alla salute del bambino: infatti tutto l'ambiente scientifico è titubante sull'uso di quest'olio in quanto non ancora sperimentato a dovere e con scarsi risultati sugli animali di laboratorio. Secondo me però l'atteggiamento dei dottori non è assolutamente da dover criticare in quanto la loro scarsa intraprendenza è dettata dal fatto che per ogni cura bisogna seguire un metodo scientifico che ne dimostri l'effettiva utilità e soprattutto che non provochi effetti collaterali troppo gravi; sotto questo punto di vista il padre è sicuramente avvantaggiato in quanto mosso dalla forza della disperazione che gli permette di farsi carico di rischi che oggettivamente un medico non può accollarsi.





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19 Aprile 2011: PATCH ADAMS di Universal, USA 1998, 115'


Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?
 

Non era la prima volta che vedevo questo film ma l'ho riguardato con molto piacere: la prima cosa che mi ha colpito è l'incredibile umanità e voglia di vivere del protagonista, il suo entusiasmo verso la vita e in particolare verso la figura del medico di cui trova un'interpretazione tutta particolare e innovativa. Pur avendo a che fare con malati tra i più problematici che possano capitare Patch riesce a creare una profonda complicità con loro, riesce a far ridere tutti quanti, crea situazioni ai limiti dell'assurdo che portano anche quelli più burberi ad affrontare con un sorriso la loro condizione. Pensare che poi il film è tratto da una storia vera stupisce ancora di più, fa capire la genialità di questa persona che pur di affermare il suo metodo del tutto innovativo non ha paura ad affrontare critiche e avversari che potevano costargli la carriera.






La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Dalla visione di questo film emerge inevitabilmente la figura di un medico eccezionale, un esempio per tutti, in particolar modo per noi studenti di medicina. Ci fa capire quanto sia fondamentale il calore ed il sorriso verso i pazienti, aspetti che sembrano sempre più passati di moda (o forse mai esistiti) all'interno dell'ambiente ospedaliero: è esperienza comune essersi trovati a che fare con infermiere e medici sempre scocciati e annoiati della loro professione, così che fin da subito il paziente si trova in un ambiente tutt'altro che sereno. Probabilmente di Patch Adams al mondo ne esiste uno solo, ma quello che tutti possiamo imparare da lui è il saper porsi con le persone per metterle subito nella condizione di affrontare al meglio una situazione che già di suo è negativa. Altro aspetto che mi ha colpito del film è l'abilità di Patch di saper trovare ad ognuno una sua cura personale, non avendo paura, ad esempio, di combattere la pazzia con la stessa pazzia, basta pensare a come non esiti un momento ad ingaggiare una guerra con degli scoiattoli immaginari, fobia di un paziente! Patch rappresenta il medico che sfrutta al meglio tutte le armi che possiede, dalle conoscenze (fondamentali ovviamente) al saper porsi con l'altro, al saper fare un sorriso al momento giusto.

 







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