Lascialfari Bruschi Alfredo


PORTFOLIO

Ad ogni incontro devi esprimere i tuoi pensieri sul film proposto editando questa pagina e scrivendo nello spazio sotto a ciascuna domanda

 


12 ottobre 2010: CARO DIARIO di Nanni Moretti, Italia 1993 (IV episodio: Medici) 30'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

La professione del medico non si limita alla sola prescrizione di ricette composte di interminabili liste di nomi astrusi, ma è anche fondata sulla ricerca di comunicazione.

  Comunicare prima di tutto con il paziente, il quale vede, nel medico, la possibilità di una guarigione (di varia natura e intensità) dal male che lo affligge; di un ascolto, sempre da parte del medico, che possa fungere esso stesso da cura per la malattia.

In fondo, in tempi non troppo lontani da quello in cui siamo ora, era proprio la figura del medico che portava con sé la cura stessa della malattia; il medico, infatti, si recava a casa del malato, cercando di farlo sentire a proprio agio e soprattutto facendo in modo che egli si sentisse ascoltato.

  In secondo luogo la comunicazione fra colleghi (medici), i quali rinchiusi nella torre d’avorio della loro specializzazione temono, per mancanza di umiltà, un confronto. Spaventati dai pregiudizi degli altri e giudicatori essi stessi verso gli altri, stanno alla larga dai confronti, dai consigli che altri colleghi possono dargli. Supponendo, in maniera tronfia, di potersela cavare con le loro conoscenze, falliscono (il più delle volte) nella formulazione della diagnosi; quando invece, molto semplicemente, sarebbe bastato consultarsi con altre persone dello stesso mestiere, per poter estrapolare nuove idee dalla diagnosi.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Uno spaccato di vita reale che il regista Nanni Moretti, ha saputo rendere molto bene, probabilmente proprio perché vissuta sulla sua stessa pelle, come possiamo vedere da alcune scene del film.

  La visione del medico come persona che è vicina al malato e vicina alle esigenze di questo è sicuramente cambiata nel tempo, soprattutto negli ultimi anni; il progresso tecnologico e i vari metodi di indagine non hanno sicuramente aiutato. Il tempo sembra scorrere più velocemente finendo così per far assumere al malato una figura secondaria; al primo posto passa, infatti, la malattia e la diagnosi. Nel film, “Caro Diario” questo è reso egregiamente; il medico “parla” come lo stesso Moretti scrive nel suo diario nella scena finale: «[…] i medici sanno parlare, ma non sanno ascoltare». Scrive ricette, un elenco di medicine e shampoo e posti di villeggiatura che alla fine si riveleranno inutili; allora a questo punto ci possiamo chiedere: «dove sta il paziente? », «è veramente lui al centro del processo di cura o è la malattia in sé ad averne preso il posto? ». Quando Nanni Moretti, attore e regista del film, si presenta ai vari ambulatori, i medici non lo considerano proprio; a tale riguardo vorrei descrivere una scena che mi ha molto impressionato: Moretti è seduto davanti alla scrivania dell’assistente del “Principe” dei dermatologi e mentre il dottore scrive le “pagine” di ricette con i più svariati farmaci, e saponi dai nomi più vari Moretti, sconsolato dall’ennesima ricetta, si alza ed esce dalla stanza, prende il cappotto e con aria afflitta lascia la scena, il tutto mentre il medico preso dalla foga di scrivere un cumulo di ricette non alza nemmeno la testa e continua a muovere la penna su quel foglio oramai non più bianco per la cascata di nomi e numeri che non serviranno a niente.

  Ma il tema del contatto (medico paziente), che nel film riusciamo ad intravedere solamente nel centro di medicina cinese quando Nanni Moretti dice: «Per ora l’ago puntura non ha avuto alcun effetto […] però nel centro di medicina cinese sono tutti gentili, l’atmosfera è simpatica e allora faccio anche altri tentativi », non è il solo punto che viene toccato nell’ultimo capitolo del film. Possiamo evincere infatti, che i medici da cui il protagonista si reca, siano delle persone molto competenti nella loro professione specialistica, ma che lo siano solamente in questa; molto probabilmente hanno scordato che loro sono dei medici in primis e che solo successivamente si sono specializzati in quella determinata branca della loro professione. Quello che manca a questi medici non è la competenza specialistica, ma la competenza medica “generale” che ha fatto parte del loro primo ciclo di studi e che dovrebbe rimanere come fondamenta per la loro professione. Ciò da cui vengono trascinati questi medici è la loro superbia nell’affrontare la diagnosi, non si domandano “cos’altro può essere”… infatti avrebbero potuto interloquire con un loro collega, per poter far luce sui vari aspetti di segni e sintomi che ogni volta il protagonista portava alle visite, in tal modo la diagnosi poteva non ridursi alla sola interpretazione che ne poteva dare un solo medico.

 

 

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19 ottobre 2010: UN MEDICO UN UOMO di Randa Haines, USA 1991, 124'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Con questo film “Un medico un uomo” è possibile vedere l’aspetto del chirurgo e quello del malato nella stessa persona. Mentre nel film di Nanni Moretti  “Caro Diario” il pubblico aveva una visione dalla sola parte del malato, adesso possiamo vedere il medico che oltre alla figura di medico quale è può essere (suo/nostro malgrado) anche malato. 

Il Dr. Mc. Kee, il protagonista, attraversa un percorso nella sua vita, interrogandosi sulla sua visione di medico/chirurgo ma anche di paziente/uomo; questo iter lo farà maturare, e gli permetterà di ricostruire quei rapporti che aveva perduto, in particolar modo con la moglie. All’inizio del film il Dr. Mc Kee da una sua precisa definizione di ciò che per lui è un chirurgo una persona che entra aggiusta ed esce. Effettivamente la sua idea di chirurgo è quella rappresentata nelle prime scene del film: in sala operatoria durante un’operazione, insieme alla sua equipe, quello che fanno è “riaggiustare” un corpo umano; il tutto senza troppo preoccuparsi che sotto i ferri è presente una persona.  Significativo e anche la scena in cui che durante l’operazione deridono il Dr. Eli Blumfield che per loro è un chirurgo troppo empatico per essere un buon chirurgo.

Qui sorge, già con le prime scene del film una domanda; “essere dei bravi chirurghi ma non essere empatici o avere empatia ed essere considerati solo dei chirurghi mediocri?” La risposta arriverà alla fine del film quando il cambiamento del dott. Jack Mc Kee farà capire che essere dei bravi chirurghi non prescinde dal fatto di essere anche delle persone umane.

Questo morbido cambiamento che ha  della chirurgia arriverà (in maniera molto brusca) quando gli verrà diagnosticata una malattia (un tumore alla laringe), cominceranno a cambiare tante cose per il dott. Mc Kee, non da ultimo si il rapporto che ha con la moglie, come spiegavo all’inizio del testo. Il dottor Mc. Kee inizialmente affronta con difficoltà l’infausta diagnosi, non solo per il male che lo ha colpito ma anche per il fatto che viene trattato alla stregua di ogni altro paziente, quando lui, famoso chirurgo vorrebbe essere trattato in maniera assai differente; <<che ci faccio qui come un semplice essere umano>> dice il chirurgo mentre è in una sala d’aspetto (nel suo stesso oscpedale).

Il famoso chirurgo non riesce a vedere cosa gli sta succedendo ( o forse non vuole vederlo?) di essere anche lui un semplice essere umano. Prima o poi tocca a tutti, non gli viene data scelta, così come non gli viene data scelta nel suo iter verso la guarigione; quando parla con l’otorino, è lei che decide come e quando operare, al paziente non viene data la parola di obbiettare su alcuna cosa, anche se nel caso del dot. Mc Kee da chirurgo quale è potrebbe avere una certa rilevanza.

È dopo tutto questo che però cominciamo a vedere dei cambiamenti. Il primo radicale di questi lo possiamo vedere nella scena in cui mentre fa il giro dei letti con gli specializzandi, uno di questi se ne esce dicendo di andare a controllare “il terminale della stanza…”; al Dott. Mc Knee non piace che si vengano a chiamare come dei computer i pazienti che sono (anche se malati) comunque degli esseri umani. Questo fa capire che qualcosa dentro di lui sta cambiando.

La visione del medico che trasuda dalla pellicola è duplice, da una parte quella del chirurgo Jack, insensibile e distaccato, distante anche nel rapporto che ha con la moglie, dall’altra quella di un uomo inerme di fronte ad un grande male. Dall’altra parte quella del Dr. Blumfield, troppo emotivo per essere un buon chirurgo, ma che alla fine verrà scelto proprio dal Dr. Mc Knee per poter svolgere l’operazione; Jack non vuole un chirurgo come era lui ad operarlo. Quindi i due tipi di medico che sembrano a prima vista molto distanti tra di loro possono invece incontrarsi. Al principio il Dr. Mc Kee ha delle convinzioni su quali devono essere le distanze che un medico deve tenere per poter svolgere al meglio la sua professione; idee che però cambia nel corso della sua esperienza come malato. Come Uomo.

 

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Diversamente dal film di Nanni Moretti in cui la visione del rapporto medico paziente era più diretta, ben definita, nel film Un medico un uomo, possiamo evincere che lo stesso tema, ad oggi sottovalutato viene affrontato in maniera differente; il medico stesso si cala (suo malgrado) nei panni del paziente. Nel film un medico Un Medico un Uomo, il personaggio è lo stesso ma interpreta sia il ruolo di medico che quello di malato, e che drasticamente possiamo far coincidere col termine Uomo. Questa differenza tra i due film rende a mio parere la visione de “Un medico un uomo” molto più interessante. Coincidendo, le due figure, siamo costretti a concentrarci meglio nel/i cambiamento/i che il medico deve far avvenire affinchè ci sia un rapporto più umano con il paziente. Questo è lo sforzo che il medico si deve imporre e che la medicina narrativa cerca di far capire alla nuova (ma anche alla vecchia) classe medica. “Provare” è la giusta parola che serve per far avvenire il giusto cambiamento, per poter avere le idee chiare su determinati tematiche, dobbiamo calarci nei panni della persona che stiamo esaminando; nel caso della medicina narrativa, che cosa prova il malato e quindi cercare la giusta strada per instaurare con esso il giusto rapporto, rapporto che non deve essere meno medico ma che lo faccia affrontare al meglio la strada per la completa guarigione.  

 

 

 

 

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16 novembre 2010: IL GRANDE COCOMERO di Francesca Archibugi, Italia 1993, 96'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Un film troppo lento, che anche se il tema resta quello del rapporto medico paziente, non viene fatto vedere come il tema portante. Infatti il tema che possiamo meglio vedere è, per quanto fondato sull’umanità del dottor Arturo che ha con i suoi pazienti (ragazzi con vari problemi mentali), quello della ricerca di una migliore aspettativa di vita, che tutti all’interno del film cercano.

Possiamo quidni partire ad affrontare il tema del film dal titolo stesso, “Il grande cocomero”. Questo titolo non è stato scelto a caso, infatti, il grande cocomero è un tema ripreso dai fumetti “Peanuts” in cui, uno dei protagonisti Linus è in attesa proprio di questo grande cocomero, personaggio immaginifico. Ma che cos’è per Linus e in fin dei  conti anche per Arturo e altri personaggi del film questo grande cocomero? Questo rappresenta un’aspettativa, una speranza che in molti attendono ma che nella maggioranza dei casi è impossibile da raggiungere. Nel fumetto infatti, possiamo leggere che Linus (personaggio sensibile e dubbioso) insieme al suo compagno Snoopy si appresta nella notte di Halloween, ad entrare e a meditare in un campo di zucche (la traduzione in Italiano è cocomero ma nel fumetto si legge the great Pumpkins,  ovvero una zucca). Qui, Linus attende il grande cocomero, nella speranza che possa aver risolto i dubbi che lo assillano e lo aiuti a cercare risposte che non riesce a trovare nella sua vita; questo accade tutti gli anni.

Nel film questa scena è visibile nelle immagini di chiusura, quando Arturo si incammina con i ragazzi del suo reparto nel campo di cocomeri della tenuta dei suoi genitori. Immagine significativa che fa trapelare la volontà da parte del dottor (Arturo) di far uscire da quello che è l’ambiente quotidiano, i ragazzi problematici che ha in cura; e di far attendere quella speranza del grande cocomero.

 

Da questa scena possiamo anche sottolineare lo stretto rapporto che il dottor Arturo ha con i ragazzi, a differenza dei suoi colleghi neuropsichiatri. Arturo (come viene chiamato dagli stessi pazienti) non cerca solo una terapia farmacologica che possa risolvere il problema, ma cerca di “entrare” in profondità nel paziente e valutare quali sono i veri mali che lo possono affliggere. Questo è chiaro quando durante lo svolgimento del film, riesce a far smettere le crisi epilettiche a Pippi; dimostrando in tal modo che il suo problema non era legato ad una malattia vera e propria ma scaturita da un ambiente ostile, quello dei suoi genitori.

Ma possiamo anche sottolineare che il rapporto aperto che Arturo instaura con Pippi è ben evidente quando lascia  a quest’ultima la possibilità di legarsi e contribuire all’accompagnare negli ultimi passi della vita, Marinella, una bambina gravemente malata; quando infatti le cure non potevano più fare il loro corso, lascia che sia l’empatia a sostenere il passaggio dalla vita alla morte.

 

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

 

 

 

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30 novembre 2010: LA FORZA DELLA MENTE di Mike Nichols, USA 2001, 99'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

La forza della mente” fa riflettere su temi particolari che interessano da vicino e in modo diverso il rapporto medico-paziente. La figura del medico in questo film è quella del medico/ricercatore che intraprende studi per nuove terapie, cercando di varcare nuove soglie della medicina per poter sconfiggere il male oscuro che colpisce inevitabilmente l’uomo. Il ruolo della ricerca è il leitmotiv del film, che porta a far riflettere sull’importanza del legame che si viene a creare tra malato e medico. Il ricercatore si presenta come un uomo distaccato ed eccessivamente formale, lo si può notare quando il medico cerca di spiegare alla paziente la terapia che andrà ad applicare al suo caso, con termini ermetici, tecnici. Questo linguaggio, altamente forbito, serve principalmente a convincere il paziente a sottoporsi alla sperimentazione; un linguaggio che crea ancora di più quel divario già esistente tra medico e paziente. Questo linguaggio sarà nel continuo del film una battaglia costante fra intelletti che non facilita il rapporto umano; quest’ultimo invece nasce, quando, alla paziente vengono esposti di volta in volta i singoli interventi previsti, dall’infermiera che poi la seguirà fino alla fine. Con questa infatti, riuscirà a legare particolarmente, in quanto il linguaggio forbito verrà soppiantato da un linguaggio semplice e gentile, che farà si che vengano fuori i sentimenti veri. Il paziente diventa non più una persona, non ha più sentimenti ma si trasforma in una provetta da analizzare senza considerare la sua natura umana.

L’importanza della ricerca porta alla sottovalutazione degli aspetti umani.

 

Il film è stato tratto da un’opera teatrale, “Wit” di………….così facendo è possibile riflettere le varie sfaccettature psicologiche, in quanto è un film di puro dialogo, che non bada alle immagini. Un film che fa riflettere. Con semplici immagini (pensiamo, infatti, anche al solo luogo in cui si svolge, la corsia dell’ospedale) siamo coinvolti continuamente nei sentimenti e riflessioni più profonde dei personaggi. Possiamo infatti vedere la marcata inflessibilità del medico nei confronti del paziente, a cui non interessa capire chi a di fronte; nei flashback che si presentano, possiamo vedere questo mancato coinvolgimento quando la stessa paziente (un tempo professoressa universitaria), durante una lezione si dimostra ella stessa inflessibile con uno studente.

Filo conduttore del film sono i sonetti di John Donne sulla morte, intesa non come fine ma come una prosecuzione della vita.

L’immagine di San Sebastiano che si presenta nelle prime scene del film (sul comodino del letto di ospedale della paziente/professoressa e nello studio della sua vecchia insegnante di letteratura inglese) ha una sua rilevabile importanza in quanto è sia ricordo della gioventù lontana (da parte della paziente) ma è anche simbolo dell’estrema sua agonia, a causa del tumore irreversibile e delle “torture” inflette dalle terapie.

 

 

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Meno scienziato e più medico. Più umanità nel rapporto che si instaura con il paziente senza per questo togliere niente alla professionalità del lavoro di medico. Approfondire gli aspetti pscicologici del paziente per poter meglio entrare in contatto con lui e poterlo accompagnare nel suo percorso di guarigione.

 

 

 

 

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Il Sonetto di John Donne che viene ripreso più volte nel film

 

Death, be not proud, though some have called thee

Mighty and dreadful, for thou art not so ;

For those, whom thou think'st thou dost overthrow,

Die not, poor Death, nor yet canst thou kill me.

From rest and sleep, which but thy picture[s] be,

Much pleasure, then from thee much more must flow,

And soonest our best men with thee do go,

Rest of their bones, and soul's delivery.

Thou'rt slave to Fate, chance, kings, and desperate men,

And dost with poison, war, and sickness dwell,

And poppy, or charms can make us sleep as well,

And better than thy stroke ; why swell'st thou then ?

One short sleep past, we wake eternally,

And Death shall be no more ; Death, thou shalt die. 

 

Data 22 MARZO : MEDICI PER LA VITA

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Un film questo che si discosta per le tematiche precedentemente affrontate negli altri film visti. Qui la figura del medico è imperniata su un altro tema, quello della ricerca pioneristica. Ricerca che rimane essenziale per la medicina ma che oggi giorno viene ostacolata da gente miope.

All’inizio del film l’impressione che può dare il Dr. Alfred Blalock, è quella di un medico austero, distaccato, chiuso. In realtà non sarà così, si rivelerà un medico dalla mente aperta (soprattutto sui pregiudizi che in quel periodo imperavano sulla gente di colore), ma anche nella medicina; un medico che non si ferma alle avversità che incontra lungo il suo cammino.

Ecco il tema portante del film, per quanto le avversità rischiano di demoralizzarti e buttarti a terra, l’uomo ha sempre la possibilità di rialzarsi e affrontarle. È quello che il Dr. Alfred Blalock intaprende, non si ferma come invece fanno gli altri medici, dimostrandosi legati fin troppo alla tradizione. <<Noli tangere>> in una lezione agli studenti, il professor…fa intendere che i dogmi imposti da anni di medicina si possono scavalcare, pur ritenendo impossibili determinate azioni mai affrontate; quella dell’operazione al cuore per la bambina cianotica è l’esempio.

Operazione che il Dr. Blalockl affronterà anche grazie all’aiuto della Dr.ssa Thausig, la quale non era stata mai ascoltata dai colleghi, perché le idee sembravano impossibili da realizzarsi. Le idee della Dr.ssa Thausigh che fino a poco tempo prima non erano state nemmeno prese  in considerazione, si vedono pian piano realizzarsi grazie all’intraprendenza del Dr. Alfred.

 Il medico Blalock e il suo assistente, Thomas Vivien non si fermano di fronte a niente. Pur se con qualche insuccesso non demordono le loro idee rivoluzionarie in un campo molto chiuso quale era quello della medicina di un tempo non molto lontano. Questo è il compito di ogni ricercatore, come degli avventurieri che affrontano percorsi e scoprono luoghi mai esplorati prima, con passione e speranza di poter contribuire (con le loro scoperte) a qualcosa di grande. Contribuire con qualcosa che potrà cambiare la loro vita, ma soprattutto quella delle persone che beneficeranno delle loro scoperte. Tutto questo non svicolato dalla paura di poter sbagliare, dalla paura di non poter riuscire. 

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Passione, tenacia e ottimismo sono gli aspetti del carattere dei protagonisti che sicuramente ogni medico, ricercatore e uomo dovrebbe avere. Sono rimasto molto colpito da queste forme caratteriali che hanno contraddistinto i personaggi per tutto il film. Sicuramente mi piacerebbe un giorno poter intraprendere percorsi così. Strade ardue, in salita, ma che una volta raggiunta la vetta, una volta arrivati alla fine, ti ripagheranno di tutti gli sforzi fatti. In particolar modo poter compiere certi percorsi per il bene delle persone, riuscire a concentrare le proprie forze per il benessere altrui, al di là di ogni fatica che tenterà di farci demordere; allora, a quel punto, la ricompensa, alla fine del percorso sarà doppiamente grande.

 

 

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Data 5 APRILE : L'OLIO DI LORENZO

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

E' un film che lascia un grande solco nel mio spirito da futuro medico. La visione di una situazione drammatica vissuta dagli occhi di genitori inizialmente impotenti mi ha fatto capire quanto forte può essere forte la volontà per raggiungere gli obiettivi prefissi.

Il leitmotiv del film è basato sullo spirito della ricerca e della perseveranza nel raggiungere obiettivi che altri ritengono impossibili; tema principale che possiamo riscontrare anche in "medici per la vita", precedentemente visto, forte è la tenacia di individui semplici ma determinati.  

 

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Sono rimasto colpito dalla forza di volontà che anima i genitori colpiti da una grande tragedia quale la malattia (ALD, adrenoleucodistrofia) del figlio, non si limitano passivamente alla scienza medica ignorante sulla malattia, ma si mobilitano in tutte le loro possibilità affinché la situazione possa volgere al meglio.

Classica alleanza terapeutica che manca per assente contributo da parte del personale specializzato.

 

 

 

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Link interessanti per capire meglio la dinamica della malattia:

 

 

Adrenoleucodistrofia - Wikipedia

 

 

Data 19 APRILE : PATCH ADAMS

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Il film che più mi ha lasciato il segno. Un magnifico epilogo per questo cineforum che ha permesso al corso di laurea di lavorare su un tema che dovrebbe accompagnare il medico lungo tutto il suo percorso nei luoghi di cura: quello del rapporto medico paziente.

Ma non solo, il film “Patch Adams” mette in luce un tema che nei film “Medici per la vita” e “L’olio di Lorenzo”, precedentemente visti possiamo meglio apprezzare, quello della battaglia quotidiana che l’uomo deve fare contro i pregiudizi delle persone, nello specifico di questi film succitati, della classe medica, una classe che di rado è costituita da persone con la mente aperta; una classe barricata nel recinto dei suoi dogmi centenari.

La dura battaglia di un uomo, Hunter Adams, contro i suoi demoni interiori. Demoni che grazie al suo divertente e ottimista modo di vedere la vita sono niente in confronto a quello che la gente malata intorno a lui deve affrontare quotidianamente. Ecco quello che Hunter, soprannominato Patch (per un episodio che avviene all’interno dell’ospedale psichiatrico) prova nello stare a contatto con i pazienti malati di mente; persone che hanno veramente problemi, o che semplicemente devono essere “solamente” ascoltate. Patch si accorge, stando nell’ospedale psichiatrico, quindi a contatto con persone problematiche che, in realtà i suoi problemi (che lo hanno portato a rinchiudersi) sono futili; lui ha avuto tutto nella sua vita, amore, e ascolto, anche se travagliata e problematica nei rapporti con il padre. Rapporto che solo nell’ultima settimana della vita del padre riuscirà a ristabilizzare e a gettare quelle relazioni che precedentemente gli erano mancate.

Ecco che uscito dall’ospedale psichiatrico, Patch, decide di iscriversi alla Facoltà di Medicina e Chirurgia, proprio per voler aiutare il prossimo, sfruttando proprio quelle sue capacità di instaurare ottimi rapporti con le persone intorno a lui. Patch non vuole diventare come gli altri medici. Questi hanno una visione troppo semplicistica della medicina, non vedono al di là del dare farmaci o prescrivere terapie; Patch cerca con tutti i suoi buffi stratagemmi di far capire all’intera classe medica che questa visione stretta deve essere modificata in alcune delle sue caratteristiche; quelle che rendono quest’arte troppo fredda e distaccata per poter essere veramente vicina al paziente. Nel discorso che Patch Adams, svolge, al termine del film alla commissione, mette in chiaro un aspetto della medicina che in quest’ultimi tempi viene più spesso dimenticato; quello che la medicina è olistica, ovvero che si occupa di tutto il corpo umano nel suo complesso e non come fosse costituito da più parti separate, che niente hanno a che fare l’una con l’altra. Bisogna avere una visione globale per meglio capire dove sta l’errore e in tal modo risolvere il problema.

Coinvolgente dalle prime scene, dove aiuta il suo compagno di stanza Ruty ad andare in bagno appoggiando le sue folli visioni di scoiattoli-mostri che gli impediscono di scendere dal letto. Hunter Patch Adams si cala nella prospettiva del paziente e insieme a lui risolve i problemi che lo stesso paziente non riuscirebbe ad affrontare. Il paziente diventa parte integrante del processo di cura, non solo la persona da dover guarire da quella particolare malattia che lo affligge. Patch, nei suoi primi anni di studi alla Facoltà, prima che possa ancora entrare in contatto con i pazienti, di soppiatto entra nelle corsie e cerca di instaurare subito un primo contatto con i malati. Questo è quello che vuole, la pratica del contatto col paziente, che nelle facoltà di medicina è sottovalutato; questo non fa parte delle cose che ti vengono insegnate, anche se, in realtà, questo “buttarsi nelle persone” , come dice all’inizio del film non va insegnato, va sperimentato e provato quotidianamente, parlando e ascoltando quello che le persone hanno da dirti, immedesimarsi in loro per capire quello che provano e nel caso dei malati, attraverso quello che provano cercare insieme una cura per i loro mali, o per accompagnarli verso la loro fine.

 

 

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Il suo aspetto buffo e ottimista sono delle caratteristiche che indubbiamente dovremmo avere tutti quanti. Cercherò negli anni di studi che mi aspettano di far maturare questi aspetti del mio carattere. Aspetti che indubbiamente sono di grande aiuto alle persone che soffrono. Adesso che comincerò il mio percorso sempre più a stretto contatto con il paziente, con la corsia degli ospedali, vorrò provare a far quello che faceva Patch: mettersi in gioco per far crescere un sorriso anche a persone che credono (viste le condizioni) di aver “consumato” completamente la loro dose di felictà. Voglio assaporare cosa possa significare buttarsi nelle persone.

 

 

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Alcune curiosità sul film e sul personaggio di Patch

 

http://www.repubblica.it/persone/2010/05/04/news/patch-adams-3804546/

 

http://www.chasingthefrog.com/reelfaces/patchadams.php