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Tatini Lorenzo

Page history last edited by Lorenzo Tatini 12 years, 7 months ago

PORTFOLIO

Ad ogni incontro devi esprimere i tuoi pensieri sul film proposto editando questa pagina e scrivendo nello spazio sotto a ciascuna domanda

 


12 ottobre 2010: CARO DIARIO di Nanni Moretti, Italia 1993 (IV episodio: Medici) 30'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Lo sguardo sul mondo di Nanni Moretti è unico e inimitabile. Si tratta di una visione amara e allo stesso tempo ironica di ciò che ci circonda quotidianamente: le persone, le singole situazioni perfino alcuni paesaggi, la si potrebbe definire una malinconica ironia sicuramente ricca di una profonda sensibilità. E’ tuttavia l’attenzione e l’osservazione dei particolari che rendono a mio avviso Nanni Moretti un grande artista, quella capacità di cogliere e raccontare momenti che ciascuno di noi vive, ma sui quali pochi si soffermano.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Chi è il medico? Colui che sa parlare, ma non sa ascoltare. Chiude così il film Nanni Moretti seduto al tavolino di un bar dopo aver dipinto un quadro impietoso della realtà medica, professionisti non medici, preoccupati di dare forse una spiegazione a loro stessi del problema del paziente che non al paziente stesso. Se il medico è dunque il “depositario” della scienza ne fa un uso autoreferenziale, quasi personale nel quale tiene a distanza il paziente, semplificando le problematiche del paziente a ciò che è maggiormente abituato ad osservare (o forse a ciò che gli conviene??) senza confrontarsi con un quadro clinico generale. Caustica la battuta finale in cui Moretti chiede al bancone un bicchiere di acqua probabilmente suggerendo un bagno di umanità, ma anche di umiltà ad un’intera classe di “medicorum”.

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

Il film è meraviglioso, da vedere integralmente.

http://www.youtube.com/watch?v=DqVhMJyfPNQ

 


19 ottobre 2010: UN MEDICO UN UOMO di Randa Haines, USA 1991, 124'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Cambiare è possibile? Forse, dal punto di vista umano, ciò avviene più facilmente in seguito ad un evento, ad un trauma. E’ ciò che succede al protagonista Jack, medico chirurgo, che nel film attraversa due diverse fasi della vita completamente diverse, forse addirittura opposte. E’ interessante osservare il radicale cambiamento di un uomo così sicuro di sé e così forte nella propria personalità in un uomo completamente diverso, il segno che una malattia può completamente stravolgere non solo la vita di una persona, ma anche i lati più profondi del carattere.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

E’ fin troppo facile indicare il modello del Jack prima del tumore come l’esempio del cattivo medico e al contrario indicare il comportamento di Jack dopo la malattia come quello del medico bravo, bravissimo, perfetto. Mi piace però sottolineare qualcosa di diverso, il rapporto tra un medico e una malattia. Nell’immaginario collettivo i medici sono ovviamente colore che si occupano di curare i pazienti , ma non sono esenti da malattie essi stessi. Cosa succede quando è un medico a trasformarsi in paziente? Si ha un completo cambiamento del sistema di riferimento per cui non solo il medico si confronta con la presunzione e il disinteresse dei colleghi, ma riuscirà a trovare la solidarietà tra i malati perché i medici nonostante siano colleghi non sapranno aiutarlo.

 

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16 novembre 2010: IL GRANDE COCOMERO di Francesca Archibugi, Italia 1993, 96'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Il film è una storia di unica sensibilità nella quale viene affrontato il percorso di cura di una bambina epilettica all’interno di un reparto di neuropsichiatria infantile. Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare Pippi trova all’interno del reparto e quindi dell’ospedale, seppure con notevoli difficoltà, un ambiente accogliente, in cui ricrea la propria “casa”, grazie alle cure, alla disponibilità e all’attenzione di Arturo, il quale riesce a renderla importante diversamente dall’atmosfera casalinga distratta e superficiale.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

La figura di Arturo è una figura di incredibile forza e di incredibile umanità al tempo stesso, non solo da medico Arturo è per Pippi un padre, un amico, una figura su cui poter contare e con il quale può aprirsi per rivelarsi completamente. C’è dunque una separazione sicuramente importante tra l’ambito professionale in cui Arturo cerca di curare in tutti i modi possibili la piccola Pippi e un aspetto umano che inevitabilmente trascende dalla competenza del medico e dalle capacità pratiche e professionali. E’ superfluo sottolineare come in un lavoro di questo tipo esse debbano convivere necessariamente e quotidianamente per poter essere definito “un buon medico”.  

 

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30 novembre 2010: LA FORZA DELLA MENTE di Mike Nichols, USA 2001, 99'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Un film difficile è impegnativo che ci avvicina brutalmente ad una delle esperienze più drammatiche che un paziente possa vivere. La diagnosi di un cancro terminale è un conto alla rovescia sempre presente nella mente di chi sta vivendo questa esperienza. La libertà è condizionata, a tempo, e ancora peggio la stima di quel tempo potrebbe non essere così precisa, ma molto più drammatica. E’ la morte che ti avvisa della sua presenza, della sua ineluttabilità e della sua angosciante prossimità. Vivian, la protagonista, in questa condizione si affida ad una serie di cure talvolta sperimentali, talvolta inutili ma sempre brutali e dolorosi nella cieca speranza di poter tornare alla vita. E’ un percorso totalmente privo di stabilità quello che Vivian intraprende ed è solo “La forza della mente” ciò che può aiutarla in questo percorso su di un filo incredibilmente sottile sospesa a troppi metri da terra.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Non esistono metodi o parole per spiegare la drammaticità di alcune situazioni nelle quali i pazienti possono loro malgrado trovarsi, come nel caso di Vivian molto spesso di tratta di calvari, percorsi a fondo cieco nei quali è però fondamentale l’aiuto di persone umanamente capaci di far sopportare questa condizione. Il medico si spoglia quindi del suo ruolo in cui si occupa di curare la malattia e assume un ruolo ben diverso, ma sicuramente altrettanto fondamentale, diviene un accompagnatore, una costante presenza di aiuto ed un sostegno importantissimo.

 

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22 Marzo 2011: MEDICI PER LA VITA di Joseph Sargent, USA 2004, 110'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

La vera storia di Alfred Blalock e Vivien Thomas, Medici per la vita, un film di notevole forza, molto bello anche perché tratto da una storia vera e quindi ancor più interessante. La storia di una cooperazione tra un capo chirurgo e un tecnico di laboratorio che riuscirono con il loro lavoro combinato a scoprire una nuova tecnica chirurgica per operare i bambini affetti dalla Sindrome del bambino blu, la Tetralogia di Fallot. Molto spesso le grandi scoperte o le grandi rivoluzioni avvengono in modo causale o per iniziativa di un singolo grazie ad un colpo di genio. Diversamente in questo caso il lavoro, il confronto e l'aiuto reciproco hanno permesso di raggiungere una scoperta fondamentale.

Sicuramente di grande rilievo è la figura del capo chirurgo, esempio di umiltà e intelligenza nel riconoscere le capacità del tecnico di laboratorio e nel condividere con lui le proprie idee.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

In un mondo sempre più portato all'individualismo questo film suggerisce e propone un metodo "nuovo" per organizzare il lavoro e soprattutto per condividere idee e intuizioni. Emblematico è inoltre il fatto che un capo chirurgo si affidi agli aiuti di un tecnico di laboratorio, non so oggi in quanti ospedali questo possa accadere e in quanti invece non si prediliga la politica dell'"ognuno al suo posto o dell'"aspetta il tuo turno". Le buone idee non sono necessariamente quelle di chi ha più esperienza o riveste una posizione di maggiore rilievo all'interno di un'organizzazione lavorativa. Il modello di medico proposto in questo film si allontana dal medico solo e "inarrivabile", chiuso nel suo studio con una distanza abissale tra lui e i suoi pazienti, piuttosto rilancia l'idea di una professione dinamica e moderna in cui lo scambio di idee è alla base di nuove possibilità e nuove scoperte.

 

5 Aprile 2011: L'OLIO DI LORENZO di George Miller, USA 1993, 129'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Il film è commovente nella storia che narra. Lo sconfinato amore di due genitori nei confronti del figlio, Lorenzo, affetto da una rara malattia, la Adrenoleucodistrofia, li porta a studiare fino a divenire esperti della malattia che affligge il figlio e soprattutto ad elaborare una miscela, l'olio di Lorenzo, che ha incredibilmente poteri di inibire la malattia o comunque di riuscire a non favorire l'avanzamento della stessa. Il film è tanto commovente quanto drammatico, Lorenzo infatti non potrà avere una vita normale a causa dei danni che la malattia ha procurato prima che i genitori potessero aver inventato la cura. Il film è tratto da una storia vera, Lorenzo Odone è morto pochi anni fa, nel 2008 a 30 anni a causa di una polmonite, ma l'aspetto più emozionante è la forza con cui i genitori hanno lottato per cercare di salvare il figlio in ogni modo possibile anche nei momenti in cui sembrava che non ci fosse alcuna speranza.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

E' incredibile il numero di malattie rare che esistono e che sono state scoperte, fortunatamente molte rimangono sui libri senza mai (o quasi mai) averne un esempio clinico. Ho sempre pensato che per un medico, quale che sia la sua esperienza lavorativa, possa essere frustrante trovarsi di fronte ad una malattia talmente rara da non avere idea o non avere la possibilità di curarla. Sono condizioni rare in cui il medico è in una condizione di impotenza dalla quale non ha strumenti per uscire oltre ad essere nell'impossibilità di curare il paziente. La ricerca rappresenta in questi casi l'unica possibilità se non di cura, almeno di speranza per i medici, ma in primo luogo per i pazienti e per i familiari e non dev'essere certo relegata ad un'attività di secondo ordine come troppo spesso viene considerata nel nostro paese.

 

19 Aprile 2011: PATCH ADAMS di Universal, USA 1998, 115'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

La portata e l'importanza di questo film sono mondiali. Patch Adams è un medico statunitense, sicuramente un medico sui generis, il quale ha introdotto per primo il concetto della risoterapia, una risata o un'emozione piacevole può avere infatti lo stesso effetto di un antidolorifico sul sistema nervoso, limitando la sensazione di dolore del paziente. La risoterapia ha avuto una rilevanza straordinaria, tanto da essersi diffusa in tutto il mondo, ed anche in Italia, come possibile metodo di cura palliativo, o meglio un nuovo metodo di approccio a pazienti affetti da malattie con manifestazioni dolorifiche molto intense. 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

L'aspetto più coinvolgente è la travolgente allegria che Patch Adams riesce a mettere nel proprio lavoro, si tratta di una carica emotiva incredibile che risulta contagiosa nei pazienti che si trova di fronte. I metodi usati sono sicuramente originali e poco convenzionali, ma frutto di una fervida fantasia e di una creatività sicuramente fuori dal normale.

E' disarmante osservare come l'approccio di Patch Adams rispetto ai pazienti sia completamente diverso da ciò che possiamo osservare ogni giorno nei nostri ospedali, dove comunque negli ultimi anni si vanno diffondendo metodi similari. Impossibile non chiedersi il perché esista un solo Patch Adams (o comunque un numero molto ridotto) e invece ci siano decine e decine, se non centinaia di medici con un approccio completamente diverso freddo, distaccato, talvolta ostile verso il paziente. I risultati non danno loro ragione...

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