| 
  • If you are citizen of an European Union member nation, you may not use this service unless you are at least 16 years old.

  • You already know Dokkio is an AI-powered assistant to organize & manage your digital files & messages. Very soon, Dokkio will support Outlook as well as One Drive. Check it out today!

View
 

Sugamiele Mariapia

Page history last edited by Mariapia Sugamiele 12 years, 7 months ago

PORTFOLIO

Ad ogni incontro devi esprimere i tuoi pensieri sul film proposto editando questa pagina e scrivendo nello spazio sotto a ciascuna domanda

 


12 ottobre 2010: CARO DIARIO di Nanni Moretti, Italia 1993 (IV episodio: Medici) 30'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 In questo film si mette in evidenza la mancanza di comunicazione e di ascolto tra medico e paziente. Il paziente viene visto solo come una “malattia”, ed è considerato come un’entità staccata da quello che è l’uomo in tutto il suo essere e con tutta la sua sensibilità. Questa mancanza di ascolto dei medici frequentati dal protagonista provoca un ritardo nella diagnosi della malattia, ciò in casi estremi potrebbe portare anche ad esiti spiacevoli a cui è difficile rimediare. Ed è proprio il paziente che naturalmente paga con la sua vita, con la sua sofferenza, continua a soffrire e a sopportare, ma in lui nasce quindi un senso di sfiducia verso quella persona alla quale aveva affidato la sua salute e la sua vita, e si sente ancor più sconfortato.

 

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

La riflessione più grande che è nata in me dalla visione di questo film è che quando si esercita questo tipo di professione, anche dopo anni e anni di esperienza, non si dovrebbe perdere il senso di umiltà e umanità, che si conserva nei primi anni di studio. Forse noi ancora siamo immedesimati nella figura del paziente rispetto a quella del medico, ma una persona si reca da un medico perché di sicuro non è completamente in salute, quindi ricerca in lui comprensione, fiducia, chiarezza, conforto, dunque sicuramente non è solo una medicina che può farlo sentire meglio, a volte basta solo l’ascolto o lo sguardo per alleggerire le sue sofferenze. Ad esempio lo stesso Moretti ritorna diverse volte nel centro di medicina cinese, non perché trovasse sollievo nelle cure a cui si sottoponeva, ma perché in questo ambiente si sentiva rilassato e considerato dalle persone che cercavano di curarlo.

Noi poi non dobbiamo dimenticare che la professione che un giorno andremo ad esercitare è, dal mio punto di vista, una missione, forse la più grande perché lotteremo con e per la vita di esseri umani, quindi non possiamo permetterci di sottovalutarla o trattarla superficialmente, anzi  dobbiamo fare ogni cosa per raggiungere l’obiettivo finale. Un altro punto sottolineato da Moretti nel film è che la maggior parte di medici specialisti a cui si rivolge vede la sua malattia non nella sua totalità, ma limitata al proprio ambito di specializzazione, quindi spesso questi ne sottovalutano degli aspetti o ne danno per scontati altri, e di fatto ciò porta al ritardo della diagnosi; però ricordiamo che il tempo gioca un ruolo importante sia per la malattia e che per la sensibilità del paziente stesso, a volte giocare d’anticipo serve ad evitare il peggio e a far soffrire meno il paziente.

 

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

Questo film penso che si adatti perfettamente alla realtà sanitaria e sociale in cui viviamo, infatti giornalmente i giornali sono riportano articoli di cronaca che trattano di malasanità, litigi nelle sale operatorie, decessi per errori chirurgici o di diagnosi, questo purtroppo perché c’è poca collaborazione nell’ambiente di lavoro e incomprensione tra medico e paziente.

Penso che sia azzeccata una frase di Marcel Proust: “Una grande parte di quello che i medici sanno, è insegnato loro dai malati”.

 

 


19 ottobre 2010: UN MEDICO UN UOMO di Randa Haines, USA 1991, 124'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 Questo film rappresenta come il rapporto diretto con la malattia può portare alla riflessione e alla considerazione delle sensazioni di essere malato, tanto da portare ad un cambiamento radicale nel comportamento col paziente.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Il protagonista è un chirurgo di grande fama, il cui motto è “entra, aggiusta e richiudi” come se il paziente fosse una macchina da riparare. La scoperta di un tumore porta al ribaltamento dei ruoli, lui si ritrova paziente. Inizialmente si ritiene però privilegiato rispetto agli altri malati, vuole i medici e le cure migliori, ma sono proprio alcuni medici che lo deludono, in questi si identifica e proprio tale riflessione provoca in lui il cambiamento più importante. Si rende conto che il distacco dal paziente porta il paziente stesso ad una maggiore insicurezza, ad una più grande paura verso la malattia e verso la sua risoluzione. Dopo aver superato la malattia il protagonista è un uomo nuovo e un medico nuovo, rinnova il suo comportamento, riscopre che il contatto diretto anche fisico, il dialogo con i suoi pazienti è fondamentale per il loro stato d’animo, non conosce e non è sicuro della riuscita dei suoi interventi ma da il massimo  perché loro si sono affidati a lui mettendo la vita nelle sue mani. Naturalmente per essere dei buoni medici non dobbiamo aver avuto una malattia o subito un intervento, ma dobbiamo ricordarci che prima di tutto siamo uomini e uomini sono i pazienti, quindi non dobbiamo vederli come malattia ma come esseri sensibili da ascoltare e rassicurare. Mi viene in mente il comandamento “tratta il prossimo tuo come te stesso” e “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”, penso che queste parole siano significative per esplicitare il concetto prima esposto. Se il medico nella prima parte viene sottolineata la sua componente supereroica, dopo invece viene spogliato da questa veste, è visto principalmente come uomo e di lui appaiono i più intimi pensieri e la paura di non poter essere più come prima. In un primo momento è spaventato di non poter essere il chirurgo che era prima, poi di non poter essere la persona che era prima sia fisicamente, perché una malattia è sempre invalidante e difficile da superare, sia psicologicamente. Episodio carino ma che rende molto l’idea, è quello di far vivere ai suoi specializzandi un giorni da pazienti, per comprendere come ci si sente da quella prospettiva e quindi poter meglio capire che il paziente, non è solo un numero, un nome, una malattia, ma un uomo con dei sentimenti che deve essere rispettato; cerca di spiegare loro in questo modo che soddisfazione si prova a guarire un paziente  di cui si conosce il suo vissuto e con il quale si è avuto un rapporto ravvicinato, non limitandosi quindi freddamente ad aggiustare un pezzo di una macchina.

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

Il medico è il peggior paziente! 

 


16 novembre 2010: IL GRANDE COCOMERO di Francesca Archibugi, Italia 1993, 96'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

In questo film emerge la figura di un medico che non si limita a trovare una cura per il suo paziente dopo una semplice visita, ma di un medico vicino al suo paziente, un medico che parla con lui guardandolo negli occhi, vedendolo non come una malattia che si studia sui libri, ma come una persona che manifesta una malattia. E’ proprio con questo intimo dialogo che cerca di istaurare un rapporto con il paziente, per conquistare la sua fiducia e trovare quindi la miglior cura ai suoi disturbi.

 

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Arturo (neuropsichiatra infantile), protagonista del film, si trova a dover curare una bambina, Pippi, che accusa attacchi epilettici. Il medico però, che è anche sperimentatore di tecniche innovative nella cura di disagi psicologici (il film è inspirato all’esperienza di Marco Lombardo Radice), pensa che la malattia di Pippi non sia di natura neurologica ma psicologica, la sua “malattia” è legata all’ambiente in cui è cresciuta, il suo disagio nasce proprio in famiglia, nella quale la ragazzina non riesce a trovare le sicurezze di cui ha bisogno. Riesce ad aiutarla anche grazie al un gruppo di ragazzi ricoverati nel reparto di psichiatria. Pippi ritrova fiducia e forza in se stessa, e avendo vicino persone che la capiscono e le vogliono bene trova la voglia di vivere e di andare avanti per superare la sua malattia. Arturo è l’esempio di medico che sa ascoltare i propri pazienti che si cala nei loro panni, infatti riesce a capire qual è il problema di Pippi  studiando il suo carattere, il comportamento con i coetanei e con i genitori, il suo stile di vita e chiedendole quali fossero le sue paure e le sue incertezze. Arturo però è il tipo di medico che antepone il lavoro a tutto, anche alla sua stessa famiglia, che non riesce quasi a conciliare i suo pazienti e i suoi affetti, questo è un pregio ma nello stesso tempo può essere un difetto, perché un uomo e soprattutto un medico non può farsi totalmente coinvolgere dai problemi dei suoi pazienti, tanto da non distinguere la sfera privata dal lavoro. Nessuno può dirci quanto si debba essere distaccati in questa professione, il medico deve essere vicino al paziente e deve farglielo sentire, però non si può caricare completamente delle loro ansie e preoccupazioni, perché  loro lo avvertono e soprattutto può portare ad un crollo psicologico, che sicuramente non giova né al paziente né al medico.

 

 

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

 

 

 


30 novembre 2010: LA FORZA DELLA MENTE di Mike Nichols, USA 2001, 99'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Questo  tra tutti i film è quello che mi è piaciuto meno, forse perché ha un’impostazione diversa; però è molto crudo e  affronta la malattia senza mezzi termini, risultando a tratti emblematico e un po’ troppo esagerato, ci suggerisce tanti spunti di riflessione sul comportamento medico. Vivien è la protagonista, è lei che parla e racconta tutta la sua storia, quasi sottotitolando non solo i suoi pensieri ma anche le azioni delle persone che le stanno attorno.

 

 

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Vivien è una nota e preparata professoressa universitaria, ha un carattere forte e determinato, figura esemplare per i suoi studenti. Scopre di essere malata di carcinoma ovarico e decide di sottoporsi a cure chemioterapiche e di prendere parte ad un progetto di ricerca. Però la malattia la sconvolge, è evidente un netto cambiamento nel suo carattere, diventa insicura e non l’aiuta il mancato rapporto medico-paziente. I medici la vedono come una malattia e non come una persona con un’anima e con delle paure, manca addirittura il contatto visivo, non si accorgono dell’unica cosa più evidente: la caduta dei capelli, e poi durante la visita usano parole quasi incomprensibili, che per chi non è del campo risultano essere tragiche. Vivien si sente come mitragliata da ciò che dicono gli specializzandi  sulla sua malattia e sulle sue condizioni, ne parlano come se lei non ci fosse. Si sente abbandonata da tutti, l’unica cosa che sente vicina è la letteratura, che ha caratterizzato la sua esistenza e i sonetti di John Donne, che ha tanto studiato, fanno da sfondo. Nel film una delle figure più importanti è quella dello specializzando, Jason. Lui quando passa a visitarla si limita a controllare i valori e a fare i suoi accertamenti, non si sofferma a parlare con lei, non perché sia una persona arida e priva di sentimenti, anzi sono proprio questi a spaventarlo e a portarlo al distacco dalla paziente, secondo lui l’aiuta a soffrire meno e poi consolare non rientra nelle sue mansioni! Il medico invece, a parer mio, dovrebbe accompagnare  il suo paziente lungo il suo cammino sofferente, concedergli il dialogo e non togliergli completamente la speranza e le piccole gioie degli ultimi giorni di vita, deve essere una figura amica che grazie alle sue cure e alla sua conoscenza deve concedere la giusta assistenza. Altra figura importante è quella dell’infermiera, unica persona che conosce realmente la paziente, che parla con lei e l’ascolta, che le dedica il suo tempo libro, che conosce il volere per i suoi ultimi momenti di vita, a differenza dei medici che, ignari delle sue volontà, vogliono rianimarla.

 

 

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

 

 

 

22 marzo 2011: MEDICI PER LA VITA di Joseph Sargent, USA 2004, 110'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

È un bellissimo film tratto da una storia vera, dove i protagonisti, due uomini molto diversi tra loro, hanno in comune una grande passione per la medicina e un obiettivo comune, quello di migliorare la vita di chi soffre per una malattia. Questo film infatti sottolinea la passione e la dedizione per la professione medica e l’attività di ricerca, un lavoro o meglio una missione che i protagonisti cercano di portare avanti anteponendola a molte altre attività e alla loro stessa famiglia e alla vita sociale. Inoltre fornisce uno spunto sulla tematica del razzismo ed evidenzia quante cose siamo cambiate rispetto agli anni in cui è ambientato il film.

 

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Il protagonista è Vivien, un uomo di colore, vorrebbe studiare medicina ma sono anni particolari (anni ’40) e le università non accettano nei loro corsi persone di colore. Vivien riesce a trovare lavoro nel laboratorio di ricerca di un ospedale come factotum. Ma Vivien non è un semplice puliziere, lui in quel laboratorio si sente a casa, e la sua passione lo spinge a conoscere le macchine e ad aggiustarle; il dottor  Blalock, responsabile del laboratorio, lo nota e  Vivien diventa indispensabile nell’attività di ricerca svolta dal medico. Anche se la paga rimane misera, tanto da non poter sostenere la sua famiglia solo con quel lavoro, si sente appagato perché fa qualcosa che gli piace. L’esperienza lo porta ad essere non un semplice tecnico che si occupa di macchine e strumenti, ma sostituisce quasi il medico in progetti di ricerca sempre più complessi e raffinati, perché lui si dedica totalmente al laboratorio, invece Blalock deve anche occupare dei pazienti in reparto e dei loro interventi. L’unica cosa negativa è che il suo lavoro non è riconosciuto da tutta la comunità scientifica, gli elogi vanno solo a Blalock che presenta i progetti ed esegue interventi d’avanguardia. Particolare è l’episodio dell’operazione su una bambina con difetti congeniti al cuore, Vivien aveva lavorato agli studi per eseguirlo, lui stesso lo aveva praticato sulle cavie, e quando Blalock deve eseguirlo sulla bambina lo chiama in sala operatoria, per fare il suo supervisore e dargli delle dritte durante l’intervento. Questo desta molto scalpore nei medici li presenti, un uomo di colore, senza laurea, dentro una sala operatoria  insieme a tanti luminari, è inaudito !!! Ma tra tutti è quello più esperto, lui stesso da solo potrebbe eseguire l’operazione! Però ancora una volta la sua essenziale partecipazione non viene riconosciuta, non viene nemmeno nominato nell’articolo scritto sui giornali. Tutta la sua vita è praticamente una continua gavetta, ma quando è più anziano riceve il titolo di direttore del laboratorio di ricerca tutto l'ospedale, e poi gli viene anche conferita la laurea HONORIS CAUSA in medicina. Il sogno della sua vita si è finalmente avverato e il suo autoritratto, primo medico di colore, verrà affisso nella sala dei "grandi" della medicina americana.

Questo film sottolinea quante figure oltre a quella del medico sono indispensabili per lo svolgimento di una buona attività medica, come quelle del tecnico e del ricercatore. Spesso il medico è solo un esecutore materiale di tecniche elaborate da altre persone che hanno competenze diverse, ma hanno un obiettivo comune: salvare e far vivere meglio i pazienti e la sociètà tutta. Negli ultimi anni la figura del ricercatore è stata rivalutata, lavorano dietro le quinte per trovare il giusto rimedio per una malattia, non hanno un contatto diretto con i pazienti purtroppo, ma collaborano attivamente con il medico mettendolo al corrente delle nuove scoperte fatte anche grazie all’ausilio di nuove tecnologiche apparecchiature che ottimizzano e facilitano il campo di ricerca.

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

Frasi del film:

- Anche se non ti hanno nominato, tu c'eri Viv !

- Ho la mente e il cuore in quel laboratorio !

 

 

5 aprile 2011: L'OLIO DI LORENZO di George Miller, USA 1993, 129'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Anche questo film è tratto da una storia vera, il piccolo Lorenzo Odone, figlio di Augusto e Michela, viene improvvisamente colpito da una rara malattia ereditaria, l'ALD (adrenoleucodistrofia). Tale malattia colpisce le cellule cerebrali, facendo accumulare acidi grassi a lunga catena. I due genitori non si sentono molto aiutati dai medici per la cura del figlio, perché in quegli anni la malattia era davvero sconosciuta e non c’erano terapie particolari, iniziano da soli una ricerca per trovare un rimedio per salvare il loro figlioletto.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Il film racconta di questi due eccezionali  genitori che lottano con coraggio contro il tempo e contro la prassi della classe medica,che comunque li abbandona totalmente. Loro stessi si fanno ricercatori, partono dalle basi, anche perché loro non fanno questo mestiere, cercano di capire qual è il principio della malattia di loro figlio. Quando deducono che nel cervello del loro bambino si acculano acidi grassi a lunga catena, cercano di elaborare un rimedio, scopriranno che una miscela d' olio d' oliva e di olio di colza, in quando l'acido erucico può rallentare l' avanzamento della malattia. Mostrano il loro studi e la possibile medicina ai medici che avevano seguito Lorenzo, ma la sua malattia è molto rara e non riescono e trovare i fondi  per poterla studiare.Poche sono le persone che credono in loro e nel loro progetto, tra cui un vecchio chimico inglese che li aiuta a distillare l’olio di colza  e subito loro iniziano la somministrazione al figlio.

I grassi del sangue del piccolo malato cominciano subito a calare e giungono al 50%, quello sarà dunque l'olio di Lorenzo.Gli scienziati però si rifiutano di credere agli enormi benesseri che ha portato l' olio a Lorenzo. I genitori cercano di mettere al corrente altre famiglie con figli malati di iniziare la cura il più presto possibile con tale olio, prima  che la malattia progredisca troppo; organizzano  il primo simposio  sull’ALD, che viene finanziato proprio dai coniugi Odone, e al quale partecipano molti medici ed esponenti della comunità scientifica di diversi paesi.  Il film termina con la fondazione, da parte di Augusto Odone, del Progetto Mielina, al fine di poter finanziare la ricerca.

Tre cose mi hanno colpito principalmente. La prima: la disperata resistenza di Lorenzo, paralizzato nel suo letto. La seconda: l’affetto e il coraggio dei genitori, specie la madre; i loro studi, sebbene non siano degli scienziati, porteranno la speranza con l’olio miracoloso. La terza: la denuncia verso gli scienziati che non ascoltano le richieste dei genitori che quindi pensano che la malattia del loro figlio sia di serie B. inoltre emergono i problemi che la ricerca frequentemente incontra: i finanziamenti che non ci sono mai perché di solito si basano sell’incidenza della malattia nella popolazione, quindi si preferisce indirizzare la ricerca verso malattie più frequenti, poi i lunghi periodi di studio per ogni tappa di sperimentazione. La figura del padre Augusto si avvicina di più a quella del ricercatore, lui elabora un metodo deduttivo che è alla base della ricerca, è scientifico e più distaccato rispetto alla moglie che invece cura continuamente il figlio vedendo tutti i suoi miglioramenti e peggioramenti da vicino.

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

Articolo che riporta la notizia della morte di Lorenzo Odone

http://www.ilgiornale.it/interni/muore_bimbo_dellolio_lorenzo_i_genitori_inventarono_cura_soli/01-06-2008/articolo-id=265737-page=0-comments=1

 

 

 

19 aprile 2011: PATCH ADAMS di Universal, USA 1998, 115'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

Ridere non è solo contagioso, ma è anche la migliore medicina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Comments (0)

You don't have permission to comment on this page.