| 
  • If you are citizen of an European Union member nation, you may not use this service unless you are at least 16 years old.

  • You already know Dokkio is an AI-powered assistant to organize & manage your digital files & messages. Very soon, Dokkio will support Outlook as well as One Drive. Check it out today!

View
 

Settembre Laura

Page history last edited by laura.settembre@... 12 years, 11 months ago

PORTFOLIO

Ad ogni incontro devi esprimere i tuoi pensieri sul film proposto editando questa pagina e scrivendo nello spazio sotto a ciascuna domanda

 


12 ottobre 2010: CARO DIARIO di Nanni Moretti, Italia 1993 (IV episodio: Medici) 30'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

"I medici sanno parlare ma non sanno ascoltare". Questa frase, pronunciata da Nanni Moretti con riferimento alla sua esperienza personale, quella cioè di un tumore benigno che nessuno dei "luminari" da cui era andato era riuscito a diagnosticare, mi ha colpita profondamente. Che razza di medico è, uno che non ascolta il paziente? Per capire qual è il problema di chi ci sta di fronte, per poterlo aiutare, è indispensabile saper ascoltare.

Questa affermazione dovrebe essere scontata, ma purtoppo come Moretti ha osservato giustamente, molti medici sono totalmente incapaci di farlo (dico giustamente riferendomi alle mie esperienze e a quelle che mi sono state raccontate da amici e parenti). Sei anni di studio più specialistica non bastano per capire quanto sia importante ascoltare il paziente, osservarlo, prestare attenzione alla mimica e ai movimenti? Non penso che il problema sia dell'Università, ma piuttosto della persona.

L'ascolto è un'arte, è vero, e non è facile come sembra. Ci sono tanti modi per ascoltare: possiamo farlo distrattamente, pensando ad altro e con un orecchio solo. In questo caso ci dimentichiamo dopo mezzo minuto quello che abbiamo sentito. Si può ascoltare credendo di sapere quello che l'altro ci dirà ancor prima che inizi a parlare. La nostra capacità di ascolto sarà allora "inquinata" dal pregiudizio, e rischiamo di dare una risposta che non c'entra nulla. Si può anche ascoltare fremendo per dare una risposta, aspettando con ansia il momento in cui toccherà a noi parlare. Anche in questo caso il nostro ascolto non sarebbe buono, perchè saremmo troppo concentrati su noi stessi per prestare attenzione all'altro. Il VERO ASCOLTO invece, l'unico degno di questo nome, presuppone un abbandono totale nei confronti del nostro interlocutore. Vale a dire che quando ascoltiamo, dovremmo dimenticarci totalmente di ciò che c'è intorno a noi (del telefono, degli oggetti, del luogo in cui ci troviamo) e dimenticarci persino di noi stessi (di quello che stiamo facendo, di chi siamo, dei nostri pensieri e preoccupazioni).

Solo così infatti, possiamo riuscire a capire quello che l'altro tenta di comunicarci non solo a parole, ma anche con i gesti, con le espressioni, con il tono della voce.

Con un pò di esrcizio potremmo imparare a captare anche qualcosa in più rispetto a quello che l'altro vuole dirci, indagando in un certo senso l'animo di chi ci sta di fronte (cosa che in determinate occasioni è opportuno fare segretamente, per evitare che l'altro si senta messo a nudo e si vergogni).

Imparare quest'arte è utile per tutti, a prescindere dal mestiere svolto, per relazionarsi con gli altri in maniera ottimale. Figuriamoci per un medico, che a partire dai sintomi che il paziente espone deve ricavare una diagnosi e conseguentemente una terapia!!!   

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

La visione del film ha rafforzato in me l'idea che per fare il medico ci vuole passione. é così in tutte le cose, è vero. Però dalla passione che il medico mette nel proprio lavoro e dall'impegno nel fare di tutto per capire quale e di che natura sia il problema del paziente e come fae per risolverlo, dipende naturalmente la salute e in certi casi la vita.

Dovrebbe essere "proibito", a chi non è dotato di questo sentimento, svolgere un tale mestiere.

Oggi giorno va molto di moda parlare degli errori dei medici e degli infermieri, sembra che i casi di malasanità si siano moltiplicati a dismisura negli ultimi tempi.

Ho letto sul giornale che solo nell'ultimo anno in Italia ci sono stati 242 casi presunti di malasanità, di questi 142 avrebbero portato al decesso del paziente.

C'è stato , per esempio, il caso di una neonata romena morta per setticemia, o quello di una bambina di 5 anni morta dopo un "semplice" intervento chirurgico di ernia ombelicale.

A volte ho l'impressione che questi "casi presunti" siano davvero solo "presunti", e che i giornalisti si diano da fare per alzare sempre di più il polverone e spingere il personale sanitario nell'"occhio del ciclone". Sarà davvero così? Certo che questo film un pò di dubbi li fa venire....

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

 

 

 


19 ottobre 2010: UN MEDICO UN UOMO di Randa Haines, USA 1991, 124'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Ricordo che alle superiori, quando si studiava la narrativa, si faceva distinzione fra i cosiddetti "tipi fissi" o "caretteri"  e i cosiddetti "personaggi", intendendo per "personaggi" i protagonisti di un libro che in qualche modo si modificano nel corso della narrazione: in bene o in male cambiano idea, carattere atteggiamento, e la loro personalità è ricca di risvolti psicologici.
Applicando questa distinzione in campo cinematografico, si può affermare senza ombra di dubbio che "Jack", il protagonista di "Un medico, un uomo", sia un "personaggio".
Non solo, sempre attingendo alle mie reminescenze di classicista, direi che Jack è un personaggio di formazione: durante lo svolgimento del film compie un'evoluzione, cresce, arriva a comprendere qualcosa che prima ignorava del tuttto, migliora. é, in pratica, "erede" di discendenti illustri quali Dante nella Divina Commedia, Renzo nei Promessi sposi, Gulliver nei suoi viaggi, tutti i protagonisti dei romanzi di Verga, Pirandello e così via. Potrei andare avanti facendo un lungo elenco, ma questo non mi interessa. Quello che mi premeva sottilineare, è che Jack induce una riflessione profonda sull'uomo e la sua natura. Dal mio punto di vista è questa la parte più interessante del film. 
Con un paragone biblico, potremmo associare Jack a Davide. Quest'ultimo infatti, per soddisfare gli istinti più bassi, tipici della sua fragile natura umana, arriva ad ordinare l'uccisione di Uria, suo migliore amico. Con l'aiuto divino riesce in seguito a rendersi conto della colpa e se ne pente, ottenendo il perdono (2 Samuele, 11-12).
Tutto questo per dire che il film ha suscitato in me una riflessione anche a livello cristiano: La malattia è forse un aiuto mandato dal Signore finalizzato alla conversione di Jack, così come il profeta Natan lo è stato per Davide?
Per uno che non crede tutto questo è naturalmente superfluo. Tuttavia penso che anche fermandoci alla riflessione su Jack come uomo ed escludendo quella cristiana su Jack come figlio di Dio, si possano scoprire cose molto utili dal un punto di vista formativo.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Dopo aver visto il film, è quasi spontanea la riflessione su quanto sia importante, per un medico, entrare in sintonia con il paziente e prendersi cura di lui non solo dal punto di vista medico, ma anche umano. Penso che un medico si possa definire "bravo" quando, oltre a saper operare bene o a prescrivere le medicine giuste, sia in grado di tranquillizzare, di trasmette fiducia e speranza. Fare il medico è, o dovrebbe essere, una missione.

Una missione certamente non facile, perchè oltre ad avere le doti giuste, è necessario trovare un punto di equilibrio: bisogna si entrare in sintonia con il paziente, ma in un certo senso anche distaccarsene. Non sarebbe possibile infatti esercitare la professione medica, se il dottore stesse male per ogni singola disgrazia altrui. L'empatia ci vuole, ma fino a un certo punto. Come trovare il giusto equilibrio? Con la pratica credo, e spero. Auguriamoci tutti di riuscirci!!

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

 

 


16 novembre 2010: IL GRANDE COCOMERO di Francesca Archibugi, Italia 1993, 96'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Cosa mi sento di dire... beh, ce ne sarebbero molte di cose. Si potrebbe iniziare col dire che lo psichiatra protagonista del film appare, di primo acchito, completamente diverso dai medici che abbiamo visto negli altri due film. Nel suo mestiere infatti, a differenza degli altri, mette anima e corpo ed è, per i ragazzi di cui si prende cura, non solo un dottore, ma anche un amico, una specie di fratello maggiore.

C'è da dire però, come capisce subito "Pippi", che prendersi cura degli altri è per Arturo l'unica ragione di vita, gli è indispensabile.

Viene da chiedersi quindi se questa empatia da lui dimostrata sia "sana", cioè se sia ispirata dall'amore per il proprio lavoro e per il prossimo o sia, in qualche modo, patologica, dovuta a un disagio personale di Arturo, che adotta l'empatia come strategia di difesa.

Forse però non è giusto fare una distinzione di questo tipo.

Sicuramente Arturo "aiuta sè stesso aiutando gli altri", perchè lui stesso lo dice. Pippi lo paragona, a questo proposito, a una sanguisuga che si nutre delle disgrazie altrui: capisce che sarebbe perso senza i suoi "malati", non avrebbe motivo nè modo di esistere. 

A mio parere, Arturo farebbe meglio ad affrontare i propri problemi e a cercare di superarli, invece che evitarli tenendosi impegnato pensando continuamente agli altri. Questo però è un consiglio che darei a lui personalmente se lo conoscessi. Per i ragazzi della clinica è davvero così importante conoscere le radici profonde di questo trasporto mostrato da Arturo nel prendersi cura di loro?

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Il film mi ha fatto riflettere, innanzitutto, su quanto sia vasta e complicata la definizione di malattia. La bambina amica di Pippi, che muore per un'emorragia, è sicuramente malata.

Anche Pippi è malata, perchè soffre di crisi epilettiche. Arturo, per quanto possa apparentemente sembrare normale, nasconde una profonda sofferenza interiore, che mi impedisce di definirlo "sano". Tuttavia la salute, intesa come stato di "perfetto equilibrio psico-fisico", è un'ideale che, con tutte le probabilità, nessuno di noi in vita potrà mai raggiungere, una situazione di cui forse potremmo godere solo dopo la morte.

A questo punto mi viene da chiedere, dopo aver visto il film e aver osservato, soprattutto, l'operato di Arturo, quanto e in che modo la stato di "malattia" del medico stesso condizioni il suo lavoro.

Mi sembra che le scelte di Arturo in campo lavorativo infatti, siano influenzate, e non poco, dalla sua vita privata. Per esempio il fatto che si prenda particolarmente a cuore la vicenda di Pippi, scossa frequentemente da crisi di epilessia perché turbata dalla propria situazione familiare, lo ricollegherei al rimorso di Arturo per non essere stato in grado di farsi una famiglia da cui, a mio parere, deriva anche il particolare "feeling" fra lui e la ragazzina. Anche la scelta di trasferire la bambina, che muore nel corso del film, dal reparto di neurochirurgia a quello di psichiatria, è, secondo me, dovuta alla convinzione del protagonista che anche i problemi fisici più seri abbiano radici che risiedono nella sfera emotiva e psicologica, convinzione da lui dimostrata più volte nel corso del film e sicuramente connessa con le sue vicende personali (convinzione che per altro si dimostra, in questo caso, errata).

La domanda a questo punto è: è possibile, per un medico, dividere nettamente la vita privata da quella professionale?

Se la risposta è si, potremmo anche chiederci se e quanto questo sia giusto, dato che la bambina trasferita di reparto muore, in parte, per causa di Arturo, ma Pippi guarisce grazie a lui. Io credo che dovremmo fare sempre tesoro delle esperienze personali, ma anche essere capaci di mettere in discussione le nostre opinioni, quando ci accorgiamo che queste sono troppo influenzate dal nostro modo di essere.

  

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

 

 


30 novembre 2010: LA FORZA DELLA MENTE di Mike Nichols, USA 2001, 99'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Per prima cosa, sono rimasta estremamente colpita dal personaggio di Vivien. Credo infatti che accettare di sottoporsi ad un trattamento sperimentale per il bene della ricerca, sapendo di andare incontro a rischi e sofferenze di vario genere e ad effetti, collaterali e non, sconosciuti ai medici stessi, sia una scelta che mostra il coraggio e la forza morale della protagonista, indubbiamente ammirevoli (anche considerando che la scelta è in parte dettata dalla speranza di un personale guarigione).

I pregi di Vivien sono evidenti anche a noi, semplici spettatori del film, ma purtroppo non lo sono, o almeno sembrano non esserlo, ai medici che mettono in atto la terapia, i quali considerano visibilmente la protagonista come un semplice caso sperimentale, una "cavia", per rendere meglio l'idea.

Proprio loro non si rendono conto di quanto questa sua scelta sia importante e preziosa, loro che per primi dovrebbero saperlo, e di conseguenza esserle grati e fare di tutto per aiutarla e farla sentire il meglio possibile.

Quello che mi auguro, come studentessa di medicina, è che il film calchi un po' la mano sul tema della presunzione e dell'indifferenza dei medici, e che non sia davvero questa l'aria che si respira in ambiente ospedaliero. 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Non nego che la visione di questo film ha suscitato in me una certa inquietudine. Non posso fare a meno di domandarmi infatti se anche io, dopo sei lunghi anni di studio e fatiche, più gli altri anni di specializzazione, mi comporterò coma i medici del film. Il solo pensiero che potrebbe succedere questo, un giorno, mi fa inorridire. Ho scelto di studiare medicina proprio perché il mio più grande desiderio è quello stare accanto al prossimo e cercare di alleviare le sue sofferenze, oltre che per un desiderio di realizzazione personale.

Questo è anche il motivo per cui considero la professione medica come la più bella in assoluto, e credo che fare il medico soltanto con lo scopo di guadagnare molto o di essere stimato dagli altri faccia perdere a questo mestiere tutta la sua bellezza e la sua unicità.

Altra riflessione che il film ha suscitato in me è quella sull'importanza del rapporto medico-infermiere e infermiere-paziente. L'infermiera Susie infatti, è l'unica che tratta Vivien umanamente, che si preoccupa di consolarla e di farle compagnia. Credo che gli infermieri siano più portati, rispetto ai medici, a stare vicino ai pazienti, forse perché chi sceglie questo lavoro è veramente spinto soltanto dall'amore per il prossimo e non dall'ambizione personale. Io penso però che si possano ben coniugare, facendo il medico, il desiderio legittimo di fare un lavoro che  permetta di guadagnare abbastanza bene da mantenere una famiglia, e quello di  dare a chi soffre tutto l'amore e l'aiuto di cui ha bisogno. Per questo credo che la collaborazione fra medico e infermiere sia indispensabile, perché ognuno ha sicuramente cose molto importanti da insegnare all'altro.

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

 

 

22 Marzo 2011: MEDICI PER LA VITA di Joseph Sargent, USA 2004, 110' 

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Penso che "Medici per la vita" sia un film molto bello e ricco di temi e contenuti importanti. Fra questi, quello del razzismo. Guardando il film ci si rende conto di quanto la discriminazione razziale sia dannosa, stupida e insensata. Vivien Thomas infatti, tecnico di laboratorio di colore, ha un ruolo fondamentale nell'aiutare il medico-chirurgo Blalock a mettere a punto una tecnica chirurgica grazie alla quale verranno salvati moltissimi bambini con malformazioni cardiache congenite.

Un altro tema molto importante è quello della collaborazione. Il medico e il tecnico, prima di raggiungere il brillante risultato a cui sono arrivati, hanno collaborato fra di loro con passione, buona volontà ed umiltà, tenendo conto delle opinioni e dei suggerimenti dell'altro, nella consapevolezza di operare per il bene dei bambini e non per loro stessi.

Questo mi ha fatto riflettere su quanto sia importante, nella vita, avere persone che ci sostengono e ci danno una mano sia dal punto di vista "pratico" che "psicologico".

Nessuno di noi, nemmeno la persona più intelligente e dotata del mondo potrebbe ottenere risultati soddisfacenti in qualsiasi cosa faccia, se non si rendesse conto di essere importante in quanto parte di una comunità, di un contesto, nel quale c'è bisogno, senza dubbio, della sua presenza, ma anche che questa sua presenza sarebbe inutile se non ci fossero tutti gli altri.  

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Continuando a parlare di "temi", credo che un altro tema molto bello, presente nel film, sia quello della SPERANZA. Avere speranza per me, è una condizione indispensabile per essere felici, per avere gioia di vivere essendo contenti della quotidianità ed anche  per svolgere bene il proprio lavoro.

La speranza infatti è ciò che ci permette di andare avanti, di superare le difficoltà, di credere in un futuro migliore. Chi ha SPERANZA è spinto a svolgere con dedizione il proprio compito all'interno della società, della famiglia o di qualunque altra realtà faccia parte, perché sa che questo andrà a vantaggio suo e di chi gli sta intorno.

Il medico deve essere, secondo me, particolarmente "infarcito" di speranza, perché certamente nella sua carriera dovrà affrontare situazioni spiacevoli, vedrà persone (fra le quali bambini) molto malate, alcune delle quali avranno perso, appunto, la SPERANZA. Il medico infatti, in questo modo sarà facilitato nel suo lavoro, sarà in grado di curare e, se questo  non dovesse essere possibile, potrà comunque infondere una buona dose di SPERANZA nel suo paziente, cosa che a volte è più importante della guarigione stessa!!!!

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

 

"L'uomo dà il meglio di sé quando è stimolato dalla speranza di un premio, dalla paura dell'insuccesso e dalla luce di una stella."

 

 

5 Aprile 2011: L'olio di Lorenzo di George Miller , USA 1993, 129'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Il pensiero che la storia raccontata in questo film sia vera, mi fa venire la pelle d'oca. Oltre ad essere molto commovente, mi fa pensare che con tenacia e forza di volontà (conseguenze, per altro, di quella SPERANZA di cui parlavo nel commento al film precedente), si possono ottenere risultati grandiosi.

Infatti Augusto Odone e Michaela Teresa Murphy, genitori di Lorenzo, riescono a trovare un olio capace di bloccare la gravissima malattia che affligge il figlio, giudicata da tutti incurabile. Scoprire questa miracolosa miscela oleosa però, gli costa impegno e fatica. Come sempre, per fare qualcosa di buono è necessario avere una motivazione forte ed essere disposti a dei piccoli sacrifici. Credo che il coraggio e la forza dei genitori di Lorenzo possano servire da esempio per tutti noi, perché ci insegnano a non arrenderci di fronte alle difficoltà, persino quando tutto sembra perduto e quando gli altri anziché aiutarci ci remano contro. Certo, anche con l'impegno non sempre si arriva a risultati soddisfacenti, ma credo che valga la pena tentare, no?                                                             

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Anche in questo film, le figure dei medici non sono positive. Quando comunicano ai genitori che il figlio è affetto da un male incurabile, appaiono infatti freddi e distaccati. 

Non so se i medici ai quali i genitori di Lorenzo si rivolsero erano così realmente o se furono rappresentati in questo modo nel film per volere del regista, però mi sento di spezzare una piccola lancia in favore della categoria.

Bisogna considerare infatti, che a ciascun medico sono affidati molti pazienti. Quando il caso di Lorenzo si presentò ai loro occhi, non avevano la minima idea di quale potesse essere la cura, e per svolgere attività di ricerca scientifica ci vuole tempo. Questo ovviamente non giustificherebbe indifferenza e freddezza da parte loro, ma credo che non siano da biasimare per il fatto che abbiano rinunciato prima dei genitori a trovare un rimedio alla malattia.

Prima di dare un giudizio sui medici che seguirono il caso, bisognerebbe sapere come agirono realmente. In generale comunque, nel film si rende evidente la necessità di coadiuvare una buona assistenza sanitaria con una ricerca scientifica adeguata, cosa non certo possibile se le vengono tagliati i fondi, peraltro già scarsi!!

 

19 Aprile 2011: PATCH ADAMS di Universal, USA 1998, 115' 

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Non avevo mai visto Patch Adams prima d'ora. Nonostante sia un film famoso infatti, e nonostante molti me ne avessero parlato bene, non mi aveva mai incuriosita.

Dalla trama mi sembrava un film pesante e strappalacrime, ed oro piuttosto scettica quando sono venuta al Cineforum il 19 Aprile scorso. Inutile dire che invece sono uscita dall'Aula Grande del cubo profondamente colpita, oserei quasi dire positivamente scioccata.

Credo infatti che sia un film davvero geniale. La figura del protagonista è eccezionale perché, bravura dell'attore a parte, è un personaggio che pur di veder realizzato il proprio sogno, quello di far capire ai suoi colleghi che fare il medico nel modo in cui lui lo intende può essere molto più bello di come sarebbe farlo alla "vecchia maniera", cioè seguendo rigidamente i protocolli, e quello di creare una clinica con lo scopo di far sentire i pazienti a casa propria e di curarli sotto tutti i punti di vista, rischia di farsi espellere dalla facoltà di Medicina.

Non ho potuto fare a meno di versare qualche lacrima, quando ho visto la parte del film nella quale Patch Adams parla alla commissione dei professori per proporgli la sua "medicina alternativa" e spiegargli che a volte vale la pena usare dei metodi non  proprio "ortodossi".

Il risultato ottenuto dal protagonista, che nel suo percorso è costretto ad affrontare non poche difficoltà e situazioni spiacevoli, dimostra che a volte vale la pena andare contro corrente per portare avanti le proprie convinzioni! 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Del fatto che il medico debba prendersi cura del paziente trattandolo con amore e non preoccuparsi soltanto della terapia, ne ho già abbondantemente parlato nei commenti precedenti. Vorrei affrontare invece un altro tema, su cui ho riflettuto guardando il film, quello della necessità di  OSARE. Patch non sarebbe arrivato a niente se non avesse avuto il coraggio di osare in molte occasioni (per esempio quando è entrato in ospedale fingendosi uno studente giunto quasi al termine degli studi ed essendo invece, agli inizi, o quando si è infilato di nascosto nelle stanze dei pazienti). Per un medico il coraggio di osare è fondamentale e credo che tutti noi, nella nostra carriera, ci troveremo prima o poi a fare delle scelte, e dovremo decidere se dare retta agli altri o fare di testa di nostra. Speriamo di riuscire a fare sempre le scelte migliori!! 

Comments (0)

You don't have permission to comment on this page.