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Nencioni Francesca

Page history last edited by Francesca Nencioni 12 years, 11 months ago

PORTFOLIO

Ad ogni incontro devi esprimere i tuoi pensieri sul film proposto editando questa pagina e scrivendo nello spazio sotto a ciascuna domanda

 


12 ottobre 2010: CARO DIARIO di Nanni Moretti, Italia 1993 (IV episodio: Medici) 30'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Dopo la visione del film mi sono venute alla mente moltissime riflessioni.

Per prima cosa devo dire di aver apprezzato molto l’iniziativa del cin@med in quanto ci offre, come futuri medici (che bello vedersi già in questa prospettiva...), l’occasione di riflettere su un punto cruciale, forse direi sul punto cruciale, della nostra futura professione, cioè su rapporto medico-paziente.

Già lo scorso anno, sia con l’iniziativa della professoressa Lippi che con il tirocinio iniziale, ci è stata offerta una prima occasione per riflettere su questo “tema” e credo che sia molto importante iniziare a pensare al rapporto medico-paziente fin da “piccoli”, cioè fin dagli albori della nostra futura professione medica poiché le cose imparate da piccoli rimangono per tutta la vita.

Ho apprezzato molto lo spezzone “Medici” del film “Caro diario” di Nanni Moretti perché, in esso, Moretti affronta il rapporto medico-paziente anche in una vena un po’ironica, ma riuscendo a cogliere in pieno il problema, specialmente dall'ottica del paziente, del malato, che si sente messo in secondo piano rispetto alla sua malattia. Inoltre altro aspetto importante è quello dell’ascolto fondamentale in campo medico, ma determinante anche in qualsiasi altro rapporto umano.

Infine ho apprezzato molto il dibattito dopo il film, soprattutto l’intervento del professor Panti, che devo dire ci ha anche incoraggiato a continuare nella nostra strada, ma ci ha anche invitato a non peccare di presunzione quando saremo dottori solo per il fatto che siamo giovani (infatti ha esordito riportandoci la sua esperienza personale di giovane dottore quando, fresco di laurea, pensava di essere lui “la medicina, la scienza” e non “quei vecchi bacucchi”-testuali parole-…) e a ricordarci sempre l’importanza dell’ascolto e dell'umiltà.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Devo dire che la visione del film mi ha indotto a riflettere sulla mia idea della professione medica, anche grazie ai commenti sorti durante il dibattito.

Quando ho iniziato a pesare di voler fare il medico “da grande”, credevo che la professione di medico consistesse più nella cura della malattia che non del malato in sé, cioè alla connessione medico-malattia e non medico-malato o come è meglio dire medico-paziente. Ho sempre visto la figura del medico come colui che pone rimedio, o meglio cerca di porlo, alla malattia, al danno, alla ferita, alla febbre, alla tosse, ed è così che la maggior parte delle persone fuori dal campo medico percepisce la figura del medico. Una volta ammessa alla facoltà, fin dai primi giorni di tirocinio, ci è stato consigliato di vedere la figura del medico, di iniziare già a vedere noi stessi, come colui che cura la persona-malato, l’individuo-malato, colui che si rapporta con un malato inteso come persona con un vissuto individuale alle spalle, una vita, delle esperienze, delle emozioni. Man mano che passano gli anni, per ora solo due, credo che sia molto importante continuare a “battere” su questo concetto per insegnarci a rapportarci nel modo più corretto possibile con il paziente ma anche a dare un’importanza assoluta all’ASCOLTO.

Nel film che abbiamo visto ci sono state fornite 8 figure differenti di medici: dal principe della dermatologia, al medico cinese, al medico della struttura pubblica, all'immunologo, all’allergologo ma nessuno, se non il medico cinese è stato in grado di scoprire la patologia di cui era affetto Moretti per il semplice fatto che nessuno ha prestato ascolto alla descrizione dei sintomi fatta dal paziente.

Sinceramente non so perché la cosa sia potuta accadere (anche se nel film è finzione purtroppo di casi come quello ve ne sono) anche perché come ci ha ricordato il professor Panti qualsiasi giovane medico fresco di laurea sarebbe in grado di mettere insieme quei sintomi (prurito, sudorazione e perdita di peso) e di indirizzarsi verso un linfoma Hodgkin. Sicuramente tutti i medici che visitano Moretti peccano di presunzione, guardano solamente nel loro ristretto orticello e non sono in grado di guardare al di là del loro naso; ognuno crede che la patologia di cui è affetto Moretti sia una semplicemente inerente al loro ristretto campo medico,e gli prescrivono montagne di inutili medicine. Purtroppo, parlando con alcuni dei miei amici, è apparso che spesso il medico viene visto come un presuntuoso, una persona che guarda dall’alto in basso le altre, una sorta “entità” posta su un piedistallo e detentore di una qualche conoscenza assoluta. Grazie al cielo io non credo che sia così, anche se, a volte, qualche medico pecca di presunzione e si scorda di avere a che fare con persone in carne e ossa e non con il semplice portatore della malattia. Per questo ritengo che questo percorso, intrapreso nello scorso anno e continuato quest’anno sia veramente una cosa molto utile, soprattutto in un futuro prossimo.

Tonando al film di Moretti mi ha fatto molto riflettere la mancanza assoluta di ascolto da parte dei medici a cui si rivolge il malato. La mancanza di ascolto da parte di questi medici li ha infatti portati a sbagliare completamente la diagnosi, a ritenere che la malattia fosse limitata al loro semplice campo, a non usare neppure un briciolo di tatto nel rivolgersi al malato (basta pensare al totale imbarazzo di Moretti durante la prima visita). 

Infine mi ha colpito molto una frase verso la fine del film quando Moretti afferma che torna dai cinesi non perché la loro cura abbia sortito qualche effetto ma perché il clima della clinica era sereno. Infatti i medici cinesi sono gli unici a rivolgersi al malato direttamente a cercare di spiegare le manovre che compiono (una scena che si ripete in più episodi è quella dei medici che compiono quelle manovre sul torace del malato senza neppure spiegargli quello che stanno facendo) e poi sono gli unici a guardare al di là della loro limitata disciplina e a indirizzare il malato verso la diagnosi corretta. 

La visione del film quindi è stata molto utile poiché mi ha permesso di riflettere sulla figura del medico, che a mio parere deve essere una persona in grado di vedere l'umanità del malato, di vedere oltre al proprio naso, di capire le esigenze dell'altro, di riconoscere i propri sbagli, una persona umile ma soprattutto in grado di ascoltare, di prestare attenzione all'altro.

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

Non sono riuscita a trovare molte cose da allegare a questo breve commento, soprattutto non sono riuscita a trovare niente di completamente inerente.

Vorrei consigliare a tutti coloro che vogliono leggere un bel libro sulla figura del medico e del medico nella medicina cinese (il libro non parla solo di questo ma è un bel romanzo in cui più volte compaiono figure di medici) il libro di Isabel Allende "La Figlia della Fortuna"

Inoltre per chi si volesse interessare di medicina cinese e di erbe medicinale indico il blog di una mia amica http://nonsoloerbaccia.blogspot.com/

Infine, la canzone finale cantata da Fiorella Mannoia mi ha fatto venire in mente una frase di una canzone di Ligabue ricantata dalla Mannoia sulla impossibilità della comunicazione non solo in campo medico ma anche in ogni campo (non è molto inerente all’argomento ma questa canzone è veramente molto bella e questa frase dovrebbe veramente far riflettere sull’importanza dell’ascolto): … Hai provato a far capire, con tutta la tua voce, anche solo un pezzo di quello che sei… da “Metti in circolo il tuo amore”

(per chi volesse vedere il video vi indico il link http://www.youtube.com/watch?v=vYHoeHyBAuc)

 

 

 


19 ottobre 2010: UN MEDICO UN UOMO di Randa Haines, USA 1991, 124'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Il film che abbiamo visto martedì scorso mi ha colpito molto, facendomi pensare a molte cose non solo strettamente legate alla professione medica.

Devo dire che sia la visione del film che il dibattito dopo il film sono stati davvero interessanti e mi hanno dato molti spunti di riflessione, davvero molti, e sarebbe molto complicato tentare di affrontarli tutti in questo commento-riflessione, quindi cercherò di limitarmi ad alcuni se non ad uno solo dei tanti temi che maggiormente mi hanno colpito.

Come diceva il professore che è intervenuto martedì (purtroppo non ricordo il nome) si potrebbe riflettere, o almeno tentare di farlo, sul tema dello “scontro” del paziente con il mondo medico, sulla vita di famiglia di una persona malata, su come è vista la professione medica dall'esterno, sulle reazioni del malato di fronte alle brutte notizie, ma io ho deciso di soffermarmi sul percorso di vita e di malattia, ma anche di “trasformazione” umana e professionale che subisce il dottor Mac Kee.

Oggi a lezione ho sentito un ragazzo che diceva che il film era tutto un cliché, un’insieme di luoghi comuni; personalmente ritengo che il film se osservato superficialmente possa sembrare un’insieme di luoghi comuni (il “medico-cattivo” che dopo la malattia diventa il “medico-buono”), mentre se uno si sofferma a indagare più in profondità, il film può benissimo rappresentare il percorso di una “semplice” persona malata, può aiutarci a capire, anche se mai del tutto, come possa sentirsi una persona di fronte ad una malattia grave che può compromettere la sua vita, ed è ancor più interessante perché il malato in questione è un medico che poi durante il suo percorso sarà costretto a rivedere la sua personale visione della professione di medico e della medicina in generale. Personalmente credo che l’idea del dottor Mac Kee di far diventare i suoi specializzando “pazienti per 72 ore” sia un’idea geniale, un progetto da far compiere a tutti i futuri dottori (magari fra qualche annetto per noi perché sinceramente ancora mi sento molto inesperta nei confronti della professione medica), ma anche a molti dei “medici affermati” per far loro ricordare che quello che hanno fra le mani non è un semplice “giocattolo” rotto, ma una persona reale.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Questo film mi ha fatto molto riflettere non solo sulla mia idea della professione medica, ma anche sul peso che una malattia possa avere sulla vita di una persona sana.

Forse molti di noi hanno una visione della professione medica identica a quella del dottor Mac Kee all’inizio del film, ovvero che il lavoro del chirurgo sia quello di “entrare-aggiustare-uscire”. Il film invece ci “spinge” a cambiare idea.

Come è emerso anche dal dibattito dopo il film, dal film emergono varie figure di medico.

L’intero film è centrato sulla figura di Jack Mac Kee, medico chirurgo a cui poi è diagnosticato un tumore alla laringe; per il protagonista si può parlare di un Jack pre-tuomore e di un Jack post-tumore.

Le altre figure mediche in evidenza sono date dal medico amico di Jack, dal dottor Bloomfield il rabbino, e dalla dottoressa da cui Jack è in cura nella prima parte del film.

Il dottore amico di Jack, quello con cui Jack opera tutti i giorni, è una sorta di prototipo di medico interessato solo alla media delle operazioni, all’apparenza, è un medico che pur di non ammettere un proprio errore è in grado di andare contro la legge (strappa parte della cartella del paziente a cui ha sbagliato l’operazione) e di fregarsene del danno che ha commesso. Un paziente all’inizio del film dice “Voi dottori siete una casta” e questo medico rappresenta a pieno il concetto (infatti pretende che Jack lo copra anche se sa di aver effettuato l’operazione con superficialità).

Poi abbiamo la dottoressa laringoiatra da cui Jack va in cura all’inizio; nell’ospedale è ritenuta come la più preparata tecnicamente ma manca completamente di umanità, di tatto. Non è in grado di recepire un consiglio (infatti Jack le chiede di fare l’operazione la mattina dato che sarebbe più riposata, mentre lei risponde “sono io il medico e decido io quando sono libera per lei), e piena di sé e molto poco umile. Verso la fine del film infatti Jack decide di non farsi operare da lei e in un certo senso la rimprovera quando lei gli dice “io so come deve sentirsi” e Jack le risponde “no che non lo sa; oggi sono malato io, domani lei. Ogni medico diventa paziente” ed è proprio intorno a questo tema ce gira tutto il film.

Poi la terza figura di medico è quella del dottor Bloomfield (non so se sia il vero nome ma non sono riuscita a sentirlo bene), il rabbino. Come ci ha suggerito anche il professore intervenuto al dibattito bisogna escludere la sua figura da qualsiasi moralismo; non è infatti il prototipo del medico-buono, probabilmente è il prototipo del medico umano, umanista, caritatevole, ma anche con coscienza, del medico in grado di capire il paziente e di capire anche le sue esigenze, sicuramente un modello di medico ma anche di uomo a cui dovremmo riferirci.

Infine c’è la figura del dottor Mac Kee, sia prima che dopo la malattia. All’inizio del film di dottor Mac Kee è molto simile al primo dottore che ho analizzato, cinico, freddo, quasi impersonale verso il paziente, che ritiene che il compito del chirurgo sia quello di entrare, aggiustare e uscire. La sua visione della professione medica inizia però a cambiare quando gli viene diagnosticato il tumore alla laringe. Durante tutta la sua malattia va incontro a un profondo cambiamento: all’inizio si ritiene una sorta di “privilegiato” nelle cure (“cosa ci faccio io qui come un comune mortale?”), poi inizia a cambiare soprattutto grazie all’incontro con June, una malata di cancro al cervello ormai allo stadio terminale del suo tumore. June aiuta Jack non solo per quanto riguarda la sua malattia, ma lo aiuta anche a scoprire quali siano le cose che veramente contano nella vita (l’importanza della famiglia, di combattere per quello in cui si crede e di dire sempre quello che si pensa). Al termine del film il dottor Mac Kee avrà una concezione completamente diversa rispetto a quella da cui è partito: non aiuterà l’amico a nascondere il danno che ha causato a un paziente, impone ai suoi specializzandi di chiamare i pazienti con il loro nome (non “terminali”) ma soprattutto riesce a capire il paziente, a dare importanza ai suoi bisogni perché anche lui è stato dall’altra parte del muro.

Il film quindi mi ha spinto molto a riflettere sulla mia concezione della professione medica. Cos’è che fa di un medico un buon medico e non solo uno specialista tecnico?

Sinceramente ancora non l’ho capito al 100%; sicuramente un’ottima abilità tecnica, ma questa non deve essere scissa dalla capacità comunicativa, dall’umiltà, dall’autocritica, dall’umanità.

Come ci suggeriva il medico intervenuto al dibattito un medico diventa un bravo medico quando capisce di aver bisogno dei pazienti, un bisogno profondo, un bisogno di aiutare, di capire, di mettere a disposizione se stessi e sinceramente credo che lo si possa diventare solo dopo aver provato sulla propria pelle l’esperienza di essere paziente.

Infine mi piace concludere questo commento con una frase che viene detta alla fine del film e che dovrebbe far riflettere molti medici, o aspiranti tali: “I PAZIENTI HANNO TUTTI UN NOME: SONO TUTTI IMPORTANTI, IMBARAZZATI, VULNERABILI. VOGLIONO GUARIRE ED è PER QUESTO CHE AFFIDANO A NOI LA LORO VITA” 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

Fra le integrazioni che allego, due mi sono state suggerite dal medico intervenuto al dibattito.

Ho trovato un sito di pedagogia in cui viene spiegata la Piramide dei bisogni di Maslow. Il link al sito è http://www.psicopedagogie.it/motivarsi.html

Inoltre ci è stato suggerito di cercare il mito di Chirone, centauro esperto nelle arti mediche, ma a sua volta affetto da una ferita che non guarisce mai, e leggendario maestro di Ippocrate. I link sono

www.ordinefarmacistisiena.it/storia/chirone.html

www.elicriso.it/it/mitologia_ambiente/dei/chirone/

Infine vorrei mettere un link riguardo al dottor Mario Melazzini, un medico oncologo, malato di Sla. Sono venuta a conoscenza della sua esperienza da una trasmissione televisiva e mi ha colpito molto non solo per il racconto di questa terribile malattia, ma soprattutto per la sua volgia infinita di vivere e per la sua forza con cui tutti i giorni continua a svolgere la sua professione di medico.

http://www.gheminga.it/cultura-societa/2010/la-sla-e-la-voglia-di-vivere-mario-melazzini.html

Anche quest’ultimo link riguarda il dottor Mario Melazzini: in esso viene presentato il libro da lui scritto (“Un medico, un malato, un uomo. Come la malattia che mi uccide mi ha insegnato a vivere”) e poi ci sono altri collegamenti anche su You Tube sempre sulla sua esperienza

http://www.lindau.it/schedaLibro.asp?idLibro=1083

 

 


16 novembre 2010: IL GRANDE COCOMERO di Francesca Archibugi, Italia 1993, 96'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Credo che il commento a questo film sarà più complesso rispetto a quelli che ho affrontato finora forse per il tema trattato (non è molto semplice riflettere sul tema della malattia soprattutto mentale che affligge dei bambini) forse perché sinceramente questo film mi è piaciuto molto meno rispetto agli altri due. Non so spiegare bene il perché forse sarà per come viene affrontato il tema, sarà per il pessimismo di fondo dell’intero film, sarà per il protagonista che non riflette la mia personale visione del medico…

Principalmente credo che sia per il tema, molto ostico: non è semplice riflettere sulla malattia nei bambini ed ancor meno semplice è riflettere sulle malattie mentali soprattutto quando queste riguardano bambini. In più il film, come è stato detto durante la discussione, è impregnato da una sorta di senso angoscioso di ricerca di un senso nella vita, di insoddisfazione di fondo, anche di pessimismo, che mi hanno lasciato una sorta di “amaro in bocca”, di insoddisfazione. Inoltre non è facile per noi studenti del secondo anno affrontare un tema come è quello della malattia mentale, che a differenza che so di un braccio rotto, di una “bella” ferita, sono un qualcosa di non manifesto, di difficile interpretazione. Intorno al tema della malattia mentale inoltre si pensa “meglio malati che pazzi” (come ci è stato suggerito anche durante la discussione dal prof. Papini); perché la malattia mentale fa più paura di quella fisica? Perché affrontiamo la malattia mentale come un qualcosa di incurabile rispetto alla malattia fisica evidente?

Anche Pippi, la ragazzina protagonista del film, durante una delle prime sedute insieme al dottore protagonista, Arturo, dice: “Sembra che tu ti scordi che io sto male, un male da schifo. Fa schifo a tutti anche a mamma e papà. Se ero monca o zoppa sai quanto era meglio…”. La malattia mentale è vista, e lo era ancora di più tempo fa, come una sorta di tabù, di colpa, di inadeguatezza e credo che anche come futuro medico sarà molto difficile riuscire ad affrontare questa tipologia di malattia, spesso considerata di serie B.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Devo dire che la figura di medico che esce da questo film non è a mio parere molto buona. Arturo, il giovane protagonista, si muove un po’ a tentoni curando Pippi, anche se poi al termine del film riuscirà a portare Pippi verso una completa guarigione.

Credo che nella professione di medico, come abbiamo avuto l’occasione di riflettere anche per gli altri due film che abbiamo visto, sia fondamentale l’ascolto del malato, del paziente e credo che questo aspetto diventi ancora più importante quando si parli di malattie mentali, legate all’“interiorità”  del paziente. Inoltre il tema dell’ascolto è fondamentale anche e soprattutto per la cura dei pazienti-bambini: spesso si tende a non prendere sul serio quello che dicono i bambini, ma spesso sono in grado di dire le cose con maggior sincerità rispetto all’adulto e per questo vanno sempre ascoltati anche durante i casi di malattia.

Tornando alla figura di medico che emerge da questo film, come ho detto prima secondo me non emerge una grande figura di medico (dico le mie impressioni posso benissimo sbagliarmi). Innanzitutto Arturo si fa coinvolgere eccessivamente dalla vicenda di Pippi, viene troppo coinvolto da lei ed anche dal suo contesto familiare. Ma come ci ha detto anche il professor Papini non è sempre facile non farsi coinvolgere dalla malattia e dalla situazione del proprio paziente soprattutto in casi come quello di Pippi, e in casi di disturbi mentali che comportano un coinvolgimento molto stretto del medico. Credo che un medico debba sempre cercare di mantenere un certo “distacco” (è veramente brutta come parola, forse è meglio dire lontananza) soprattutto emotivo nei confronti del paziente, che non deve sfociare però in freddezza; questo però non riesce ad Arturo che diventa veramente troppo coinvolto nella situazione di Pippi. Inoltre un altro aspetto negativo che emerge dal film nei confronti della figura del medico è quello del “senso di onnipotenza” di superbia di cui ogni buon dottore è dotato. Arturo, infatti, ritiene che la patologia di Marinella, la bambina cerebrolesa a cui Pippi si affeziona,  sia solamente di carattere psichico, non neurologico; risponde più volte alla madre di Marinella, preoccupata del peggioramento fisico della bambina, che è sicuro di quello che fa. Il suo “senso di onnipotenza” lo porterà a fare una diagnosi errata che avrà come conseguenza la morte della bambina.

Devo dire però che emergono anche aspetti positivi della figura del medico, come la grande capacità di ascolto di cui è dotato Arturo, ed il fatto che Arturo al termine del film si renda conto che la sua professione è il suo grande cocomero, cioè il motivo per andare avanti, il senso della sua vita. Credo che se tutti i medici considerassero la loro professione come il loro grande cocomero, il loro motivo per svegliarsi la mattina, o almeno parte di esso, sarebbero, anzi saremmo (dato che ci è stato consigliato di vederci già come medici futuri), tutti dei medici migliori. 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

Fra  citazioni che vorrei mettere riguardo a questo film ho trovato questa molto interessante. Non è molto inerente al film che abbiamo visto ma è molto centrata sul rapporto medico-malato e sul fatto che la burocrazia che gira intorno a centri ed ospedali possa riflettersi negativamente anche e soprattutto sul paziente.

« In queste istituzioni si tocca con mano l'esistenza di una microfisica del potere e di una scala dell'oppressione in cui, ad esempio, l'infermiere sfruttato e oppresso in un'ottica di classe può porsi, a sua volta, come oppressore sull'anello più basso della catena: il paziente. »

(Marco Lombardo Radice, da Il raccoglitore nella segale).

Questa è invece è uno dei fumetti che riguardano la serie di “The Great Pumpkin” dei Peanuts. 

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Questo invece è il link allo spezzone del film a cui mi riferivo prima: http://www.youtube.com/watch?v=VTJV2CmQHbg

 

 

 


30 novembre 2010: LA FORZA DELLA MENTE di Mike Nichols, USA 2001, 99'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

“Non so da dove iniziare a fare questo commento”. Ecco, questo è il mio primo pensiero dopo aver visto questo film, non perché non ci siamo ottimi spunti di riflessione ma perché il film che abbiamo visto ti lascia veramente senza parole, non per lo stupore ma per la commozione e anche per la drammaticità con cui viene affrontato l’argomento. Anche se so che prima o poi dovremmo abituarci allo stato in cui vivono i pazienti sofferenti, e soprattutto i pazienti allo stadio terminale di un tumore, non è mai facile guardare la sofferenza nei loro volti (sofferenza che sicuramente sarà mille volte più amplificata in un vero paziente terminale rispetto alla seppur bravissima attrice) e quindi non è neppure facile scrivere un commento dopo la visione di scene così gravi.

Per questo anche dopo aver terminato la visione del film, nell’aula è rimasto a lungo il silenzio e i commenti sono stati veramente pochi.

Devo dire che ho apprezzato veramente la presenza della dottoressa (non so se è anche docente) Santini, una ematologa che ha tentato di farci capire come ci dovremo raffrontare con pazienti oncologici, con le loro famiglie e come affrontare anche casi di malattie terminali.

Mi è sembrato che questo film vertesse soprattutto sulla paziente, sulla difficoltà di affrontare una malattia così grave, sullo stato d’animo di un paziente terminale, sulla sua solitudine, più che sulle figure dei dottori, anche se alcuni spunti possono essere tratti anche da questo film.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Sinceramente penso che anche in questo film le figure di medici che emergono non siano molto positive.

Ci sono principalmente due medici che emergono da questo film il professore Kelekian e lo specializzando il dottor Posner.

Da parte di entrambi i medici ho visto una scarsa attenzione alla personalità del paziente, alla sua sensibilità. Ci sono varie scene del film che mi hanno colpito e che coinvolgono le due figure di medico.

Sicuramente la scena iniziale del film ha un grosso impatto. Il dottor Kelekian comunica bruscamente senza alcun preambolo che la paziente è affetta da un tumore al 4° stadio; non le comunica le sue aspettative di vita (infatti la paziente dice che ha capito da sola che non ci sono tumori al 5° stadio), le dice solo che sarà sottoposta ad una cura sperimentale e che dovrà essere molto forte. La non completa sincerità nei confronti del paziente, come ci è stato detto dalla prof Santini, è stata molto “in voga” fino a pochi anni fa: infatti si preferiva non essere completamente sinceri, omettere, invece di dare notizie così terribili al paziente. Oggi fortunatamente si dice tutta la verità al paziente il problema è comunicarlo con i giusti termini. La professoressa Santini infatti ci ha detto che oggi si tende a comunicare tutti gli aspetti della malattia al paziente, e anche alla famiglia (sempre dopo aver avuto il consenso del malato) e che la famiglia e il malato apprezzano molto la sincerità.

Un’altra scena che mi ha colpito particolarmente è quella del giro visite del dottor Kelekian e dei suoi specializzandi. Tutti palpano l’addome della paziente tutti sono pronti a sbranarsi come lupi famelici quando il professore fa una domanda. Nessuno però risulta essere veramente interessato alla paziente: nessuno le rivolge un saluto, una domanda cordiale, un sorriso, ma sono interessati solo alla patologia, alle manifestazioni della patologia stessa, agli effetti collaterali del farmaco sperimentale osservando però tali aspetti solo da un punto di vista teorico. Infatti alla domanda di quale altro effetto collaterale vedessero oltre a tutti quelli elencati, nessuno dice la caduta dei capelli. La prof. Santini ci ha detto che durante una visita dopo la diagnosi di un tumore e dopo la formulazione di una cura con la chemio la domanda più frequente è “mi cadranno i capelli?”; infatti la caduta dei capelli ha un effetto molto rilevante sulla psicologia del malato e per questo dobbiamo ricordare sempre che davanti a noi non c’è (o meglio non ci sarà) la patologia con le sue manifestazioni ma il malato, con la sua sensibilità.

Un altro aspetto che mi ha molto colpito nel film e il continuo rivolgere alla paziente la stessa domanda “ come sta oggi dottoressa Bearing?” e ancor più mi ha colpito la mancanza di interesse nei confronti della risposta della dottoressa; infatti rispondono sempre e comunque “eccellente” quando evidentemente in tutta la situazione non c’è nulla di eccellente.

Infine un ultimo aspetto che mi ha molto colpito è la distinzione che il dr Posner fa fra clinici e ricercatori. Durante una visita lui afferma che ha deciso di studiare proprio il cancro perché “il cancro è imponente, imprevedibile” e lui, ricercatore, considera i clinici “inutili”; lui preferisce la ricerca all’umanità. Invece anche per un ricercatore il contatto con il paziente è inevitabile ed è un obbligo. Infatti al termine del film, anche se ha tentato in tutti i modi di non essere coinvolto dalla paziente soffre per la sua morte. Mi ha colpito molto la riflessione che l’infermiera fa a Vivien quando le chiede se vuole essere rianimata e che ci riporta inevitabilmente ai temi attuali del testamento biologico. L’infermiera afferma che un medico non si arrende mai, per lo studio clinico non importa se sei attaccato ad una macchina purché tu serva come “contenitore” della malattia da studiare o come “cavia” del farmaco. Sinceramente spero di vederla in un altro modo da qui a quando terminerò la mia specializzazione.

Infine mi permetto di chiedere a chi promuove l’attività del cineforum se non sia possibile una volta vedere anche una figura di medico positiva, che si comporti in modo corretto.

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

Vorrei riportare sotto il testo del sonetto (?) di John Donne che la protagonista ripete per tutto il film

Contro la Morte

Morte, non essere troppo orgogliosa, se anche
qualcuno ti chiama terribile e possente
Tu non lo sei affatto: perché
quelli che pensi di travolgere
in realtà non muoiono, povera morte, né puoi uccidere me.
Se dal riposo e dal sonno, che sono tue immagini,
deriva molto piacere, molto più dovrebbe derivarne da Te, con cui proprio i nostri migliori se ne vanno,
per primi, tu che riposi le loro ossa e ne liberi l'anima.
Schiava del caso e del destino, di re e disperati,
Tu che dimori con guerra e con veleno, con ogni infermità,
l'oppio e l'incanto ci fanno dormire ugualmente,
e molto meglio del colpo che ci sferri.
Perché tanta superbia?
Perché tanta superbia? Trascorso un breve sonno,
eternamente, resteremo svegli, e la morte
non sarà più, sarai Tu a morire.

 

Questo sotto è il link alla scena conclusiva del film quando la protagonista (o meglio la voce narrante) recita tale poesia.

 http://www.youtube.com/watch?v=ND1-r3beO6k&feature=related

 

Vorrei indicare un articolo sull'assistenza domiciliare ai malati terminali e sul ruolo dello psicologo.

Questo è il link alla pagina

http://www.neurolinguistic.com/proxima/james/jam-36.htm#Barbara

 

Questo invece è un altro link di un articolo sulla speranza nei malati terminali di cancro

http://www.ryderitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=106:la-speranza-nei-malati-terminali-di-cancro&catid=44:cure-palliative&Itemid=66⟨=it

 

22 marzo 2011: MEDICI PER LA VITA di Joseph Sargent, USA 2004, 110'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Sicuramente le prime impressioni che mi sono giunte alla mente dopo aver visto questo film, non riguardano la professione medica ma la discriminazione razziale. Credo che tutto il film, più che basarsi sulla figura del medico, voglia mettere in evidenza come fosse impossibile in quel periodo per le persone di colore, poter affrontare una vita dignitosa e tranquilla e come fosse difficile farsi riconoscere dei meriti se eri nero, invece che bianco. Ovviamente poi dalla visione del film emergono anche molti spunti interessanti sulla figura del medico, ma io ritengo che sia un aspetto leggermente più marginale rispetto alla discriminazione razziale.

Oggi a noi sembra quasi impossibile che pochi, pochissimi anni fa, scene di discriminazione come quelle viste nel film (scuole solo per i neri, autobus divisi fra neri e bianchi, professioni per neri e per bianchi…) possano essere esistite veramente, ma è la triste e cruda verità. Oggi dobbiamo solo impegnarci a far sì che non succedano mai più

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Come ho scritto anche prima credo che l’aspetto della professione medica sia un po’ più marginale rispetto al resto del contesto.

Sicuramente emergono alcuni spunti interessanti sulla figura del medico.

Primo fra tutti la grande forza di volontà del protagonista Vivien. Questo ragazzo lavora per anni per riuscire ad iscriversi alla facoltà di medicina, ma vede i sui sforzi e i suoi tentativi andare in fumo uno dopo l’altro. Solo in età avanzata verrà insignito della laurea ad honorem; nonostante questo riesce sempre a non buttarsi giù d’animo, dopo ogni no, dopo ogni caduta riesce a rialzarsi e alla fine riesce a realizzare il suo sogno.

Un altro aspetto molto interessante che emerge dal film è la grande sete di conoscenza di Vivien. Vivien legge libri su libri, trattati su trattati, è in continua ricerca della perfezione. Non si arrende mai. Continua a sperimentare, errore dopo errore fino a che non riesce a mettere a punto una nuova tecnica che gli permette, insieme al suo maestro, di svolgere la prima operazione al cuore insieme al professor Blalock. Credo che la grossa sete di conoscenza e la voglia di superare i propri limiti siano l’aspetto più rilevante che emerge da questo film, l’aspetto su cui focalizzare maggiormente la mia attenzione. Credo che ogni buon medico, ma anche ogni persona che vuole svolgere al meglio il proprio lavoro, debba sempre non assestarsi sulle proprie conoscenze, non rimanere ferma sul proprio “piedistallo di conoscenza” ma scoprire nuove cose nuovi orizzonti, non arrendersi, cercare  e cercare.

Infine l’ultimo aspetto su cui vorrei focalizzare la mia attenzione è la figura di medico del dotto Blalock. Si tratta della classica figura del “Professorone”, del sapiente nel vero senso della parola, cioè una persona che non ha paura di chiedere aiuto, di confrontarsi con gli altri, e soprattutto di mettere a disposizione degli altri il proprio sapere. Infatti è il dottor Blalock che “scopre” Vivien, è lui che per primo e forse (soprattutto all’inizio del film) per unico dà fiducia a Vivien e condivide con lui tutto il proprio sapere. Io credo il dottor Blalock sia un ottimo esempio di medico-insegnante che si confronta con i ragazzi, che condivide con loro tutto il proprio sapere e che non ha paura di affidarsi agli altri anche se con il rischio che questi gli portino via la fama.

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.) 

Questo link apre direttamente una pagina del sito del John Hopkins con alcune notizie più dettagliate sulla vita di Vivien Thomas e del Professor Blalock

http://www.hopkinsmedicine.org/dome/0301/close_up.cfm

 

questa invece è un ritratto del dottor Blalock e di Vivien Thomas

 

 


5 aprile 2011: L'OLIO DI LORENZO di George Miller, USA 1993, 129'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

La cosa che mi ha colpito di più in questo film sicuramente è la grande drammaticità della malattia di Lorenzo. Il film è per molti aspetti molto duro e forte; per noi che non siamo ancora “abituati” a dover vedere in faccia ogni giorno il dolore, la sofferenza, la drammaticità di una malattia così devastante come quella che ha colpito il piccolo Lorenzo, non è molto facile distaccarsi da questi aspetti e osservare in modo “obiettivo” la figura del medico.

Il film è a tratti veramente drammatico ma mi ha colpito molto la figura dei genitori di Lorenzo, ognuno per aspetti diversi.

La madre di Lorenzo mi ha colpito molto per la tenacia e per la forza di volontà. Credo che qualsiasi madre vedendo il proprio figlio soffrire e vedendo davanti a lui una “condanna a morte” imminente, non cerchi in ogni modo di fare tutto il possibile, di aiutarlo contro tutti e contro tutto. Il padre invece mi ha colpito molto per la sua mente “schematica” e scientifica. Da solo prende in mano tomi di biochimica e cerca di capire il problema del figlio e alla fine ci riuscirà.

Come ci ha spiegato la prof. Chiarugi l’atteggiamento dei genitori di Lorenzo non è l’atteggiamento “classico” che hanno tutti i genitori nei confronti di una diagnosi così grave per il proprio figlio. Tutti di solito cercano di capire, tutti si disperano, ma secondo me la bravura del medico sta anche nello spiegare, nel far comprendere in modo chiaro e semplice tutte queste cose.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Come ci ha suggerito anche la professoressa Chiarugi, per uno che non è dell’ambiente medico il film mette sotto una luce orribile la professione medica, l’ospedale, le procedure di sperimentazione dei farmaci…

Dal film infatti appare quasi che tutti i medici a chi si sono rivolti i genitori di Lorenzo siano quasi degli incompetenti, analfabeti che hanno preso la laurea con i punti delle merendine. Sembra che le case farmaceutiche siamo il male in persona che fanno ricerca solo per le malattie diffuse e che nessuno si perda dietro a malattie rare. Infatti facendo del buonismo si potrebbe pensarla a questo modo. Le persone che non lavorano o che non hanno a che fare con l’ambito medico potrebbero pensarla allo stesso modo. È più semplice pensarla così. Se invece guardiamo con occhio “critico”, ci accorgiamo che la ricerca, la medicina, vanno avanti in questo modo ed è giusto che vadano avanti così. Con le conoscenze di allora (il film è ambientato negli anni ottanta) i medici non erano ancora in grado di capire il meccanismo della malattia di Lorenzo (anche se una critica sorge spontanea: ma se ce l’ha fatta il padre di Lorenzo che era semplicemente un uomo qualunque perché non ce l’hanno fatta loro?). Inoltre la ricerca spesso si muove dove è indirizzata dai finanziamenti. So che è molto brutta come cosa ma viviamo in un mondo, e in paese, che non finanzia la ricerca scientifica e sappiamo che i macchinari, gli animali, le sostanze da sperimentare costano molto e nessun laboratorio è in grado di lavorare senza adeguate sovvenzioni (e se finanziamo un progetto per trovare la tomba di monna lisa…..).

Non credo che da un punto di vista medico sia un buon film (dal punto di vista umano è un altro discorso), anzi credo che sia veramente pessimo. Secondo me induce nelle persone che si ritrovano nella stessa situazione degli Odone a credere a qualsiasi rimedio venga loro offerto da qualche sapiente “santone”. Non dico che le “medicine alternative” siano da condannarsi ma credo che debbano essere prese molto con le molle. Credo che ogni famiglia che si vede prospettare la morte del figlio di lì a 5 mesi le tenti tutte, ma questo non vuol dire che sia giusta come cosa. Ricordo infatti una vicenda accaduta alcuni anni fa, quello della bambina diabetica curata dai genitori con delle cure alternative e che tragicamente si è conclusa con la morte della bambina (metterò dei link in fondo alla pagina).

Infine l’ultimo aspetto su cui vorrei riflettere è la figura del Signor Odone, che incarna in sé molte delle caratteristiche del buon medico. Non si arrende di fronte alle difficoltà, trascorre ore sui libri non ad imparare a memoria, ma a cercare di scoprire, usa un metodo deduttivo che lo porta a capire prima degli altri i problemi del figlio. Credo che tutte le caratteristiche del Signor Odone siano alla base della “formazione” di ogni buon medico.

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.) 

 

Questi sono alcuni  link ad articoli sulla vicenda e sulla morte di Lorenzo Odone

http://www.ilgiornale.it/interni/muore_bimbo_dellolio_lorenzo_i_genitori_inventarono_cura_soli/01-06-2008/articolo-id=265737-page=0-comments=1

 

http://www.medicinalive.com/medicina-tradizionale/medicina-biologica/lolio-di-lorenzo-lincredibile-storia-della-famiglia-odone/

 

http://www.corriere.it/cronache/08_maggio_31/lorenzo_olio_morte_malattia_adl_659e43ba-2f09-11dd-a062-00144f02aabc.shtml

 

Questi invece sono alcuni link ad articoli sulla vicenda della bambina, affetta da diabete, di Firenze morta perché i genitori le hanno sospeso la cura seguendo le indicazioni di una santona

 

 http://www.lanazione.it/firenze/cronaca/2010/04/21/321264-udienza_choc_processo.shtml

 

http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/cronaca/2010/18-maggio-2010/condannati-genitori-clara-omicidio-colposo-aggravato--1703038464013.shtml

 

 


19 aprile 2011: PATCH ADAMS di Tom Shadyac , USA 1998, 115'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Sicuramente Patch Adams è il film che più mi è piaciuto in questo cineforum. Credo di essere stata una delle poche persone presenti al cineforum che non aveva mai visto questo film, considerato un cult, ma non avevo mai avuto occasione di vederlo. Anche io, come la professoressa intervenuta dopo al dibattito (mi scuso profondamente ma non ricordo il nome) credevo che fosse un film sulla clown-terapia, invece offre molti spunti interessanti di riflessione.

Credevo che fosse un film divertente e allegro mentre ha degli aspetti molto tristi e anche malinconici (soprattutto la morte della compagna di Patch mi ha commosso molto).  Sinceramente offre a tratti una visione un po’ sdolcinata della professione medica ma complessivamente per me il tutto e stato interessante

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Il film mi ha offerto alcuni interessanti spunti sulla riflessione medica.

Per prima cosa è stato molto interessante l’approccio che lui ha con i malati e soprattutto con i bambini (detto da una che ha sempre sognato di fare pediatria), anche se non credo che sia sempre attuabile. È ovviamente auspicabile che in un ospedale si cerchi di “intrattenere” anche i malato, di farlo sentire al meglio e il più possibile a proprio agio, ma non credo che in tutti i reparti sia fattibile. Un conto è aver a che fare con bambini, un conto con malati oncologici, in terapia intensiva… Questo ovviamente non vuol dire che queste “categorie” debbano essere considerate solamente come malato-malattia. L’approccio che ha avuto Patch Adams è infatti quello di considerare il malato come persona, come essere umano, non solo come malattia. Credo che questo sia l’aspetto più interessante del film, quello di far sentire il malato a proprio agio, a casa anche in ospedale, di farlo sentire considerato, amato, protetto e soprattutto curato.

Un episodio che mi ha colpito molto è quello in cui fonda insieme al suo amico e alla ragazza quella sorta di Casa-Ospedale in cui si possono curare anche le persone indigenti. Credo che l’aspetto dell’impossibilità di cura per le persone povere sia uno degli aspetti più drammatici della sanità americana e credo che il governo americano si debba impegnare al massimo per far si che un bene come la salute sia accessibile a tutti.

Un aspetto negativo della figura di Patch Adams invece è stato quello della troppa fiducia negli altri ma soprattutto in se stesso. Infatti non si accorge che uno dei suoi pazienti dovrebbe essere ricoverato in una struttura specializzata per pazienti psichiatrici e infatti la sua troppa fiducia in sé e nei suoi mezzi porta alla morte della sua compagna. Però complessivamente per me è emersa una figura abbastanza positiva della professione medica, come una persona che cerca di mettere a proprio agio il paziente, che si confronta con i propri limiti.

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

Questo è il link al sito “ufficiale” di Patch Adams

http://www.patchadams.org/

 

Questo invece è il link ad un articolo che riporta una intervista a Patch Adams

http://job24.ilsole24ore.com/news/Articoli/2010/05/Adams-apre-3052010.php?uuid=ed14506c-56af-11df-a6ca-2846584c0201

 

 

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