| 
  • If you are citizen of an European Union member nation, you may not use this service unless you are at least 16 years old.

  • You already know Dokkio is an AI-powered assistant to organize & manage your digital files & messages. Very soon, Dokkio will support Outlook as well as One Drive. Check it out today!

View
 

Lisi Federica

Page history last edited by federica 12 years, 11 months ago

PORTFOLIO

Ad ogni incontro devi esprimere i tuoi pensieri sul film proposto editando questa pagina e scrivendo nello spazio sotto a ciascuna domanda

 


12 ottobre 2010: CARO DIARIO di Nanni Moretti, Italia 1993 (IV episodio: Medici) 30'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Credo che il messaggio del capitolo "Medici" di questo film arrivi in modo efficace e diretto a chi lo guarda.

La vicenda, infatti, colpisce ancora di più se si pensa che, pur apparendo ai limiti del paradossale, racconta il vissuto reale del pritagonista.

Una persona che sta male non dovrebbe avere certo come prospettiva quella di dover passare inutilmente da un medico a un altro per avere una lista sempre più lunga di medicinali che tuttavia non risolvono minimamente il suo malessere!

Dal film, poi, risulta l'immagine di un paziente tagliato fuori da ogni spiegazione, da ogni interesse da parte del medico; come se fosse solo un oggetto da analizzare e a cui affidare un foglio con una lista di "rimedi" per tentare di accomodarlo.

Un quadro scoraggiante quanto estremo. Magari, infatti, raffigura la maggioranza dei medici, ma non l'intera categoria; per lo meno viene da sperarlo!

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Vista la vicenda, viene spontaneo preoccuparsi, dal punto di vista di pazienti ma anche da quello di futuri medici. Perchè, anche se, si spera, i medici non sono tutti come quelli rappresentati nel film, sicuramente molti hannno la tendenza ad essere superfiaciali, a non dare troppo ascolto alla minuziosa descrizione dei sintomi da parte del paziente, a rimanere fossilizzati nel campo della propria specializzazione senza tentare di "ampliare il campo di indagine".

Sicuramente è difficile liberarsi dal filtro che fa sì che ogni medico veda nel paziente solo ciò che lui stesso ha già in mente, credo anzi che questo venga quasi naturale dopo anni di visite e diagnosi; il primo passo per migliorare la situazione sarebbe quello di riconoscere il problema con molta umiltà!

Ci sarebbe bisogno di una rinnovata fiducia nei confronti dei medici, ma, sicuramente, questa non può prescindere da un rinnovato atteggiamento proprio di questi ultimi.

Il medico, infatti, dovrebbe scendere dal suo piedistallo e avvicinarsi di più al paziente, vedendolo come un uomo e non come un oggetto, guadagnandosi la sua fiducia (è significativo il fatto che il protagonista non torni mai due volte dallo stesso medico) e, perchè no, cercando di creare un'atmosfera in cui il paziente possa trovarsi a suo agio, come nel film si dice dello studio di medicina orientale.

Un bell'obiettivo per noi "futuri medici" e attuali pazienti!

 

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

 

 

 


19 ottobre 2010: UN MEDICO UN UOMO di Randa Haines, USA 1991, 124'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Come si dice, finchè non provi sulla tua pelle non puoi capire cosa si prova!

Esattamente questo è ciò che accade al dottor McKee: solo la sua malattia, il trovarsi dalla parte dei "comuni mortali", il dover stare al loro livello e seguire come loro tutte le trafile burocratiche lo fanno maturare, fanno cambiare la sua visione della professione medica, lo fanno aprire ad un' umanità fino ad allora a lui sconosciuta.

Credo che uno dei più importanti spunti di riflessione di questo film sia proprio quello del passaggio, così delicato ma anche sconvolgente, da medico a paziente.

Si assiste infatti alla "conversione" del protagonista, che si presenta inizialmente come un cinico chirurgo, che superficialmente esegue gesti meccanici contando solo sulla sua ormai raffinata tecnica, senza minimamente prendere in considerazione il malato, la persona che ha di fronte, anzi snobbandolo, dall'alto della sua posizione privilegiata.

Solo quando gli viene diagnosticato un tumore alla gola egli si rende finalmente conto di cosa significa stare dall'altra parte, capisce che in momenti di disagio e malattia per rassicurarsi si ha bisogno di un po' di umanità, di gentilezza, di una semplice stretta di mano da parte del medico che si ha di fronte.

La capacità di comprendere i pazienti diviene così fondamentale per McKee che lui stesso fa fare i pazienti per 72 ore ai suoi specializzandi, perchè anche loro possano trovarsi "dall'altra parte" e capire in tempo qual è il giusto approccio nei confronti del malato.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Emergono dal film varie tipologie di medico, ognuna presenta diverse sfaccettature che portano spontaneamente a cercare di carpire il buono che c'è in ognuna di esse.

Il messaggio fondamentale credo sia quello che per fare il medico serve prima di tutto umanità, dedizione verso le persone che si presentano in cerca di aiuto, non solo professionale ma anche emotivo. Da questo punto di vista è molto significativo il fatto che lo stesso McKee scelga di farsi operare non dalla fredda otorino che gli diagnostica la malattia, ma dal collega che si presenta all'opposto, passionale, comprensivo, sicuramente un uomo degno della fiducia necessaria per affidare a lui il proprio futuro!

Certo, è difficile trovare il giusto equlibrio tra il distacco necessario per essere dei validi professionisti e il coinvolgimento emotivo che serve per essere bravi medici, e certo è difficile ma sempre necessario, a mio avviso, mettersi nei panni dei pazienti considerando i loro disagi, le loro paure, sapendoli ascoltare. 

Per questo è fondamentale il recupero dei rapporti umani, che arricchiscono il protagonista non solo come uomo, ma anche e soprattuto come medico; è proprio la vicinanza di June, malata di un tumore cerebrale e conosciuta a una seduta di radioterapia, che fa riscoprire al protagonista quell'apertura verso il prossimo e quell'umanità che cambiano così radicalmente la sua visione della professione medica.

Non dunque solo medici, ma anche uomini sono i veri bravi dottori, che sanno comprendere oltre che curare i rispettivi non solo malati, ma anche uomini che si affidano loro.

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

 

 

"Essere chirurgo significa aprire la superficie delle cose e vedere ciò che si nasconde all'interno."

 

"Un medico, a differenze di un politico o di un attore, è giudicato solo dai propri pazienti e dai colleghi più vicini, quindi fra quattro mura e faccia a faccia."

 

Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere

 

 

 

 

16 novembre 2010: IL GRANDE COCOMERO di Francesca Archibugi, Italia 1993, 96'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Il film è incentrato sulla figura di un neuropsichiatra infantile, Arturo, e descrive la sua incredibile dedizione verso i bambini suoi pazineti, i suoi sforzi pèr cecrare di portare un po' di innovazione nel trattare le loro patologie, facendo i conti oltre ce con la complessità della situazione stessa anche con un'inadeguatezza di mezzi, infatti egli lavora in una struttura fatiscente, con scarso personale e quindi scarso appoggio da parte dei suoi colleghi. Tutto ciò è rappresentato focalizzando l'attenzione sul rapporto che il protagonista ha con una delle sue pazienti, Pippi, una bambina dodicenne che soffre di epilessia.

Balza agli occhi immediatamente la differenza abissale che c'è tra l'atteggiamento di questo medico e di quelli protagonisti dei film precedenti, tuttavia con il procedere delle scene ci si può rendere conto che anche Arturo oltrepassa quella soglia così difficile da delineare tra giusto coinvolgimento e umanità nei confronti dei pazienti e necessario distacco per svolgere al meglio il proprio lavoro. Il tutto, a parer mio, è complicato dal fatto che in questo caso i pazienti sono bambini, che quindi portano naturalmente ad un coinvolgimento emotivo forte. 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Sono tanti gli spunti di riflessione che il film offre.

Innanzi tutto è chiaro che la "diagnosi" che Pippi fa ad Arturo dicendogli di essere un granchio nella melma che si nutre della sofferenza degli altri si dimostra veritiera nel momento in cui è lui stesso a dire di aver trovato nella bambina un motivo per svegliarsi la mattina. Credo che un buon medico, come qualsiasi altra persona del resto, dovrebbe avere dei buoni motivi per vivere a prescindere dal suo lavoro, o per lo meno averne degli altri che esulino da questo ambito. Al contrario Arturo, separato da una moglie che, si scopre, averva fatto abortire, non riesce nemmeno a festeggiare il suo compleanno, a stare in compagnia di coetanei o comunque di persone diverse dai suoi pazienti, facendo del suo lavoro qualcosa di più di una passione, come dovrebbe essere, quasi un' ossessione.

Dunque è difficile stabilire quale sia il giusto limite, cosa faccia essere Arturo un buon medico, disponibile, affettuoso, coraggioso nel suo affrontare un approccio più umano, psicologico con i bambini, senza necessariamente risolvere i loro disagi con delle pillole, e cosa invece lo porti ad essere a volte offuscato, quasi incapace di scegliere cosa sia più giusto per i suoi pazineti. Ciò si vede quando fa trasferire la bambina con problemi neurologici nel suo reparto per studiare meglio il comportamento di Pippi nei suoi confronti. 

Certo, con Pippi riesce ad ottenere un ottimo risultato intuendo che le sue crisi epilettiche sono autoindotte, grazie soprattutto alla sua attenzione nei confronti della bambina, al suo cercare di capirla, di essere per lei quel punto di riferimento che non trova nei suoi genitori. E sicuramente è un medico molto apprezzato anche dagli altri pazienti, a cui lascia la giusta libertà, a cui dà tutto il sostegno anche umano necessario per affrontare le loro difficoltà. C'è da chiedersi, però, a che prezzo?

 

 

 

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

 

 

 


30 novembre 2010: LA FORZA DELLA MENTE di Mike Nichols, USA 2001, 99'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Il film racconta in modo molto toccante la storia di Vivian, affetta da un carcinoma ovarico in stadio avanzato, evidenziando non solo la sofferenza di chi si trova a combattere contro questa malattia, ma anche la difficoltà che le persone che la assistono hanno nel rapportarsi con lei, manifestando un po' di umanità.
Emerge chiaramente il distacco e la freddezza con cui i medici affrontano la paziente, a partire da quando le viene comunicata la sua diagnosi in maniera più che brutale e poi durante tutto il corso della sua degenza in ospedale.

Addirittura Jason, uno dei medici che si occupa della protagonista, le dice chiaramente di essere interessato solo alla ricerca sulle cellule tumorali e ribadisce questo nel modo totalmente disinteressato con cui si rapporta con la paziente.

Certo il quadro è complicato, non è possibile un' analisi ristretta ad un solo punto di vista, ma sicuramente è significativo l'atteggiamento dell'infermiera, che, nel semplice condividere un ghiacciolo con Vivian, dimostra una grande apertura verso la persona che assiste, che raggiungerà il culmine nella convinzione con cui ferma la squadra di rianimazione, chiamata da Jason contro il volere della paziente.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Certamente dal film emerge un atteggiamento negativo dei medici nell'affrontare una situazione così delicata. Tuttavia è molto difficile, credo, trovare l'equilibrio, la giusta via per dimostrare vicinanza al paziente e alla sua sofferenza e contemporaneamente continuare ad essere "professionali", a svolgere bene il proprio lavoro senza essere continuamente condizionati da un eccessivo trasporto emozionale.
Credo che colpisca molto anche la mancanza di chiarezza da parte del medico Kelekian che propone a Vivian cicli di chemioterapia " a dose piena". Egli infatti, come poi dirà la protagonista, omette di dire che non esiste un quinto stadio per la sua malattia, sembra piuttosto solo interessato alla sua ricerca.
E' giusto, quindi, riflettere sull'esempio negativo che dimostrano i medici nel film, ma è ragionevole pensare che fortunatamente non tutti sono uguali. Ci sono buoni esempi, medici che, giustamente, senza farsi travolgere dalla sofferenza di ogni paziente, sanno dimostrare la loro umanità e disponibilità.

Oltre all'esempio negativo, magari, sarebbe bene a volte individuare anche qualche esempio positivo!

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

 

 

 

22 Marzo 2011: MEDICI PER LA VITA di Joseph Sargent, USA 2004, 110'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Il film mi è piaciuto. Oltre a raccontare in modo coinvolgente la storia di Vivien Thomas, infatti, permette di vedere la medicina da un punto di vista nuovo, diverso rispetto al classico tema del rapporto del medico con i pazienti. Si tratta in questo caso di innovazione, ricerca, messa a punto di nuove tecniche e nuovi mezzi per poter ampliare i limiti che la chirurgia aveva raggiunto fino a quel momento, per avviare la strada della cardiochirurgia.

Emerge anche la forza di Viven che gli permette di superare quei grandi ostacoli che la discriminazione razziale pone di fronte al suo talento e alla sua grande passione.

Del resto la determinazione fa dei protagonisti, il chirurgo Blalock e il tecnico di laboratorio Vivien Thomas, degli "innovatori", serve loro ad avere il coraggio di mettersi in gioco, dovendo anche mettere a punto nuovi oggetti, strumenti di lavoro appropriati per una tecnica tutta nuova, tutta da inventare dal nulla, sulla base di intuizioni e studi sperimentali sui cani.

Fa riflettere anche la diversa sorte dei protagonisti Blalock e Thomas: i due, seppur così uniti nel loro intento di salvare i "bimbi blu", vedono minacciato il loro rapporto per la diversa posizione sociale che occupano, infatti solo tardivamente Vivien vedrà riconosciuto il suo lavoro.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

I medici del film dimostrano sicuramente un coraggio e una determinazione ammirevole, specie se si pensa che si tratta di una storia vera.

Prendere a cuore una causa così rischiosa da parte di un chirurgo affermato non è una cosa di poco conto. Per gli altri medici, infatti, non sembra affatto conveniente sperimentare, investire tempo e forze per cercare di operare ciò che fino ad allora risultava inoperabile, il cuore, per di più di un bambino. Essi appaiono come "barricati" nei loro schemi, in ciò che è ormai noto e consolidato.

A prescindere dal fatto che oggi le conoscenze mediche e le tecniche chirurgiche si sono evolute rispetto agli anni in cui si svolge la vicenda raccontata nel film, credo che sia sempre importante per un medico non precludersi nuove vie da intraprendere, non fossilizzarsi troppo su ciò che è ormai assodato e invece cogliere le nuove occasioni, gli stimoli per nuove ricerche o approfondimenti.
Credo sia da rilevare anche il lavoro della dottoressa Helen Taussig, ella infatti, nonostante non sembri ricevere molte attenzioni con le sue ricerche prima dell'incontro con Blalock, non cessa i suoi meticolosi studi sui "bimbi blu" e soprattutto dimostra una cura e un'attenzione per i pazienti notevole: riesce a cogliere lo spunto che le viene proposto proprio dai bambini circa la particolare postura da assumere che li fa sentire meglio.

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

 

 

5 Aprile 2011: L'OLIO DI LORENZO di George Miller, USA 1993, 129'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Del film colpisce molto la drammatica situazione della famiglia Odone che si trova ad affrontare una prova così dolorosa come quella della malattia di Lorenzo, che costringe i genitori a vedere il proprio figlio peggiorare pian piano senza che qualcuno possa garantire loro una cura efficace.
Soprattutto, però, è messa in risalto la forza e la determinazione dei genitori, specie del padre. Essi infatti, nonostante i medici continuino a ribadire l'incuaribilità di una malattia così rara quanto poco studiata come era al tempo l'adrenoleucodistrofia, non si danno per vinti e investono tutto il loro tempo e le loro energie per studiare ed informarsi nel disperato tentativo di trovare un rimedio alla malattia del figlio. Un rimedio "fai da te", purtroppo, dato che non conviene investire nella ricerca di una cura per delle malattie così rare e quindi i medici oltre ad un supporto psicologico non offrono di più a questi genitori.
E' proprio l'intuito e la determinazione di Augusto, il padre di Lorenzo che lo porta a sperimentare un olio che si dimostra di beneficio per il figlio, seppur non guaritivo e che è stato alla base dei successivi studi in questo ambito. 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Risulta difficile in questa situazione "schierarsi" da una delle due parti. E' infatti del tutto comprensibile l'insistenza e la ricerca di aiuto presso la comunità scientifica dei genitori di Lorenzo, che si sentono abbandonati nella loro disperata ricerca di una cura per il figlio, e d'altro canto è giusto l'atteggiamento dei medici, che non possono portare avanti gli studi scientifici senza il meticoloso rispetto delle procedure sperimentali. C'è quindi da trovare un punto di incontro.
Secondo me l'atteggiamento dei medici nel film in parte dimostra questo equilibrio, specie quello del dottor Nikolais. Infatti egli offre il suo supporto alla famiglia pur non potendo garantire ad Augusto una rapida messa a punto di una cura sperimentale che, come dicevo, richiede di rispettare tempi e procedure ben precise.

Penso che questo è quello che dovrebbe fare ogni medico, cercare di approcciarsi con i pazienti nel modo più delicato possibile, specie nel comunicare diagnosi così dure, e non abbandonare i pazienti anche se le loro sono malattie rare o se non esiste una cura.

Certo però, non dovrebbero essere i genitori a studiare e impegnarsi per trovare rimedi a malattie rare, la comunità scientifica non dovrebbe fare ricerca soltanto sulle malattie a maggior incidenza, ma, anche qui, l'equilibrio tra risorse disponibili e studi da portare avanti mi sembra difficile da trovare.
 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)


19 Aprile 2011: PATCH ADAMS di Universal, USA 1998, 115'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Inutile dire che questo sia un film molto bello e sempre piacevole da rivedere. Fa riflettere in modo divertente e anche commuovente sul ruolo del medico e sulle responsabilità nei confronti dei pazienti che la sua professione gli impone. La forza di Patch, la sua voglia di cambiare radicalmente l'approccio della medicina alla malattia testimonia una profonda dedizione verso quei malati che ha davanti. La medicina del sorriso è la sua filosofia di vita, quella "eccessiva gaiezza" che gli crea tanti problemi ma che lo rende il medico e l'uomo eccezionale che è. 

 La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Credo che sia inevitabile pensare a Patch Adams come all'ideale di medico. Egli infatti mostra una comprensione totale verso i suoi pazienti, riesce a farsi capire da loro e soprattutto sa instaurare con essi un rapporto del tutto speciale grazie alla sua spiccata empatia.
Con la sua esuberanza insegna ai medici a non rinchiudersi nel proprio sapere, a non cercare per forza la pillola adeguata per guarire il malato, a non accanirsi contro la morte ma ad aprirsi al rapporto con il malato stesso in quanto persona, a cercare di migliorare la sua situazione anche solo psicologicamente e soprattutto a rendere migliore in termini di qualità la sua vita, pur breve che sia, anche con un sorriso.
Un medico deve essere competente certo, ma con quella forte umanità che serve a creare l'atmosfera giusta perchè si insaturi l'alleanza terapeutica che è necessaria tra medico e paziente.  


Comments (0)

You don't have permission to comment on this page.