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La Sala Rosangela

Page history last edited by Rosangela La Sala 12 years, 10 months ago

PORTFOLIO

Ad ogni incontro devi esprimere i tuoi pensieri sul film proposto editando questa pagina e scrivendo nello spazio sotto a ciascuna domanda

 


12 ottobre 2010: CARO DIARIO di Nanni Moretti, Italia 1993 (IV episodio: Medici) 30'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

“Caro diario” mi è piaciuto molto, e la prima cosa che mi viene in mente è “Spero di non diventare come quei dermatologi”!! Il regista, infatti, raccontando una sua esperienza personale, mette in evidenza un aspetto dei medici (non tutti ovviamente!) e cioè quello di non saper guardare oltre il proprio “naso”, di non cercare altre soluzioni al problema del paziente solo perché non attinenti al proprio campo specialistico.
Anche il paziente però, a mio parere, sbaglia continuando sempre a rivolgersi ad un dermatologo: forse il suo medico curante, meno focalizzato su una particolare branca medica, sarebbe stato in grado di fornirgli una diagnosi più tempestiva.
E’ un film che sicuramente porta noi studenti di medicina a riflettere  sull’importanza di non perdere mai la capacità di “generalizzazione”, intesa come l’abilità di saper sempre attingere alle varie conoscenze ottenute durante gli studi.
Bella ed emblematica è la scena finale, in cui Moretti circondato dagli inutili farmaci prescritti dai dermatologi, brinda sarcasticamente con un bicchiere d’acqua e allude ai medici dicendo “Dicono che fa bene”, mostrando la sua delusione verso la categoria.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

La riflessione principale a cui porta il film è quella del "pericolo", per il medico specialista, di una conoscenza fatta di compartimenti stagni. Tutti i medici ai quali si rivolge Moretti, infatti, non cercano di scoprire quale sia realmente la causa del suo prurito: il fatto che si tratti di una malattia (apparentemente!) relativa alla dermatologia li porta semplicemente a prescrivere farmaci, che si riveleranno oltretutto inutili. Significativa a tal proposito è la scena in cui il protagonista inizia a leggere i foglietti illustrativi dei farmaci prescritti: una buona parte finiranno nel cestino in quanto non in grado di risolvere il suo prurito.
A chi, come me, diventerà un medico questo film insegna che la prima cosa da fare è ascoltare il paziente. Il processo di cura e , poi, di guarigione dev'essere un percorso che medico e paziente compiono con la medesima andatura: quello che il paziente ha da dire riguardo la sua situazione è essenziale per il medico, quasi al pari delle sue conoscenze nel campo della medicina.
Se, infatti, i dermatologi alla parola "prurito" avessero cominciato a pensare quale tra le molte malattie studiate nei sei anni di università fosse associata a tale sintomo, la diagnosi sarebbe stata sicuramente più tempestiva.
E' importante quindi ricordare che, prima di essere oncologi, dermatologi eccetera, si è principalmente medici: questo implica che, di fronte ad un sintomo esternato da un paziente, siano molte le diagnosi possibili.

 

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

la scena finale, bella ed emblematica

 

 

 


19 ottobre 2010: UN MEDICO UN UOMO di Randa Haines, USA 1991, 124'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 "Un medico un uomo" è un film sicuramente ricco di spunti di riflessione, oltre che di molte "contraddizioni". Il protagonista è un chirurgo, bravo sul suo lavoro e decisamente consapevole di ciò. E' molto concentrato su sè stesso e sulla sua professione, che svolge in maniera impeccabile dal punto di vista prettamente tecnico, ma senza lasciarsi andare ad inutili (a suo parere) coinvolgimenti emotivi. Per lui i pazienti sono semplicemente dei numeri, non ritiene che l'affetto e il coinvolgimento possano guarirli e si beffa di chi, invece, cerca di instaurare un rapporto con loro (ad esempio l'anestesista che parla col paziente sedato o uno degli specializzandi che conosce il nome di tutti i pazienti). La sua personalità è ben comprensibile se si pensa alla definizione che egli dà della sua professione : "un chirurgo entra, aggiusta e va via". Jack non ritiene di aver bisogno di nessuno, e proprio per questo mantiene una sorta di "rapporto a distanza" anche con la sua famiglia. E' infatti emblematica la scena in cui la moglie di Jack chiama il figlio per fargli salutare il padre: il bambino, totalmente abituato all'assenza del padre, alza la cornetta per parlare con lui. Il mondo, apparentemente perfetto, di Jack crollerà improvvisamente quando, dopo una visita per una banale tosse, scoprirà di essere malato di cancro. Per Jack il passaggio da medico è paziente è tutt'altro che facile: abituato com'è a comandare, ad essere "qualcuno", non gli appare possibile essere trattato alla stregua di tutti gli altri malati. La reazione alla malattia è di rabbia, non accettazione. Più che spaventato di morire, Jack sembra aver paura di perdere il suo prestigio, il suo posto nell'equipe di chirurghi.
Il suo modo di affrontare la malattia è piuttosto singolare: allontana tutti, moglie e colleghi, eccezion fatta per una ragazza conosciuta nella sala d'attesa della Radioterapia. Inizialmente il loro rapporto non è facile, soprattutto per l'arroganza mostrata da Jack ad esempio con l'infermiera del reparto. Da June, che morirà poco dopo, Jack impara la lezione più grande: quella di aprirsi al prossimo per essere felici, di non contare solo su se stessi.
Una volta guarito, Jack farà tesoro del consiglio ricevuto dalla sua amica e cambierà decisamente il suo modo di essere, anche sul lavoro. La sua esperienza di malato gli ha infatti aperto gli occhi su cosa significhi essere un paziente: i disagi, gli imbarazzi e soprattutto la paura, l'incertezza riguardo al domani.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 Questo film porta molto a riflettere sul concetto di "rapporto medico-paziente". Ognuno dei personaggi (medici) del film fornisce un'idea diversa di come questo rapporto dev'essere.
C'è l'otorino che opera Jack, per il quale stabilire un contatto col paziente ha un valore quasi terapeutico. Parla con i pazienti anche quando questi sono sedati, e anche con il protagonista mostra una grande bontà d'animo e generosità.
Totalmente diversa è invece la dottoressa che diagnostica a Jack la malattia. Verso i pazienti mostra, infatti, una freddezza al limite della scortesia. Ad esempio non stringe la mano a Jack quando questo entra nel suo studio, e sembra non curarsi affatto delle sue preoccupazioni. Quando gli dice che lo opererà di pomeriggio, non mostra il minimo interesse verso l'ansia di Jack, ben consapevole che per il chirurgo un'operazione durante il pomeriggio sarà più faticosa di una di mattina. La frase chiave pronunciata dalla dottoressa, esplicativa della sua "filosofia di lavoro" è: "Il medico sono io, e decido io".
Jack inizialmente era proprio come la dottoressa: distaccato e dedito solo alla parte "tecnica" del suo lavoro. Ma quando si ritrova dall'altra parte, e vede di fronte a sè tutta la freddezza del medico, qualcosa cambia. Si rende conto che sicuramente non sono dolci parole a curare gravi malattie, ma che una parola di conforto, a volte, può risultare comunque molto preziosa.
Scambiare due parole con un paziente, rassicurarlo a volte anche con piccole bugie (come Jack che, per rassicurare la moglie di un paziente, le conferma che il cuore che sta per ricevere sarà un "cuore generoso") non costa niente al medico, e anzi, gli regalerà la fiducia del suo paziente.
Trovo inoltre molto utile l'idea di "un paziente per un giorno", che il protagonista propone ai suoi specializzandi una volta uscito dal calvario della malattia.
A parole, infatti, sono bravi tutti, ma penso che solo trovandosi dall'altra parte sia possibile capire davvero di cosa ha bisogno un paziente, quali sono le sue maggiori preoccupazioni e bisogni, e come poterle quindi affrontare al meglio. 

 

 

 

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16 novembre 2010: IL GRANDE COCOMERO di Francesca Archibugi, Italia 1993, 96'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

"Il grande cocomero" è un film molto interessante, che tocca un argomento da sempre considerato un "tabù": la malattia mentale.

Arturo, il protagonista, è infatti un neuropsichiatra infantile, ed è proprio attorno al reparto di psichiatria dell'ospedale in cui lavora che si svolge gran parte della storia del film.

"Lavora" non è forse il termine più appopriato. Arturo infatti si dedica anima e corpo ai suoi piccoli pazienti, spesso trattenendosi in reparto ben oltre l'orario di lavoro, estraniandosi da tutto ciò che lo circonda (emblematica la scena dalla festa a sorpresa organizzata dagli amici per il suo compleanno). La situazione familiare certo non lo invoglia a passare molto tempo in casa: è solo, la moglie lo ha lasciato perchè lui non voleva figli.

E' in questa particolare situazione che si inserisce il caso di Pippi: una ragazzina ricoverata in reparto in seguito ad una crisi epilettica. Arturo si convince da subito che il problema della ragazzina sia di natura psicologica, più che psichiatrica, e decide di intraprendere con lei una terapia di analisi.

Pippi si mostra molto scontrosa, ha un carattere difficile fomentato sicuramente dalla sua situazione familiare. In casa Pippi non trova sicurezza nè conforto: la sua malattia è stata da subito archiviata come un problema neurologico, e nessuno, i suoi genitori in primis, si è mai adoperato per conoscerne le vere cause.

Proprio per questo per lei il  reparto di Arturo diventerà una sorta di seconda casa, un posto in cui non sentirsi sola grazie all'allegra compagnia dei piccoli degenti e soprattutto grazie ad Arturo, verso il quale comincia a mostrare una crescente fiducia. Sentimento che verrà ricambiato dal medico, quando proporrà ad un suo collega neurologo di utilizzare Pippi come "terapia" per Marinella, una bambina cerebrolesa alla quale Pippi si è molto affezionata.

La morte di Marinella sarà un duro colpo per Pippi,  ma sarà anche l'occasione per Arturo per capire la vera natura del suo male: delle crisi epilettiche autoindotte.

Il rapporto tra Arturo e Pippi è piuttosto particolare, quasi "eccessivo" se si pensa che si tratta di un medico e della sua paziente. Ma questo si spiega con la frase di Arturo "Ho trovato in te una ragione per alzarmi la mattina" : Arturo, che da tempo non aveva obiettivi se non quello di andare a lavorare, trova uno slancio in questa bambina, una speranza alla quale si attacca con forza.

 

Egli prima si “nutriva dei dispiaceri degli altri”:andava avanti solo grazie al lavoro e ai suoi pazienti. Sarà proprio pippi a capirlo e ad aprire gli occhi allo stesso arturo.

 

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Questo film mi porta a riflettere sul confine, talvolta molto sottile, che si interpone tra la vita privata e quella lavorativa di un medico. Per Arturo questo confine sembra non esistere. L'impressione data è quella di una insoddisfazione per la sua vita privata: insoddisfazione che cerca di colmare buttandosi a capofitto nel lavoro. Nel volto di Arturo si legge sempre un velo di inquietudine, che sembra sparire solo quando si trova con i suoi pazienti. Da sempre , infatti, ha proiettato la sua felicità nei suoi pazienti, arrivando addirittura a credere di non volere un figlio proprio. Da quando la moglie, per questo motivo, lo ha lasciato, è solo nel lavoro che riversa tutte le sue aspettative, in quei bambini che riesce così bene a capire. Arturo per loro non è semplicemente un medico: è un complice, un amico, una persona su cui contare davvero . Diverso è il rapporto con i colleghi, più burrascoso, e anche con gli amici . Sembra infatti che solo i bambini sappiano capirlo, e che solo con loro si senta a suo agio.

Penso che per un medico sia molto importante trovarsi bene nell'ambiente lavorativo, ma credo che annullarsi per il proprio lavoro, a lungo andare, diventi controproducente. E' meraviglioso vedere un medico prodigarsi per i suoi pazienti, perchè penso che una professione come questa non possa limitarsi ad una semplice applicazione di competenze tecniche acquisite in lunghi anni di studio da solenni manuali. Oltre a saper fare, un medico deve saper essere, e questo vale ancora di più quando l'ambito di cura sono le malattie psichiatriche (dei bambini poi!). In questo Arturo è perfetto: sa comprendere i suoi bambini e non farli sentire semplicemente dei pazienti. La pecca di Arturo è quella di ridurre la sua vita privata ad un semplice intervallo tra due turni in ospedale! 

Sono sicura del fatto che una professione come quella del medico richieda dei sacrifici per quanto riguarda la vita privata, ma credo che occorra trovare un giusto equilibrio. E' vero che molto spesso per un medico il suo lavoro è la sua vita, ma proprio per salvaguardare la qualità di questo lavoro, non bisogna dimenticare ciò che c'è al di fuori delle mura dell'ospedale.

 

 

 

 

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Mi è piaciuta tantissimo la scena in cui tutti i pazienti cantano a Marinella "La donna cannone" di De Gregori.

 

http://www.youtube.com/watch?v=PLSvkz5E33o  Non è la scena (non l'ho trovata! :(  ) ma solo la canzone.


30 novembre 2010: LA FORZA DELLA MENTE di Mike Nichols, USA 2001, 99'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

L'oncologia è, ad oggi, una delle branche della medicina che maggiormente mi interessa. Proprio per questo, dopo che ci è stato introdotto il film, ero particolarmente curiosa di vederlo. Alla fine, però, mi sono trovata molto delusa. Non mi è piaciuta per niente l' organizzazione del film (il modo in cui la storia viene raccontata) e nessuno dei personaggi mi ha trasmesso qualcosa di positivo, dai medici alla stessa protagonista.

I medici del film vedono il paziente semplicemente come un pezzo da aggiustare, non gli interessa se la loro terapia sarà dolorosa o difficile per il malato. Sono interessati solo ad ottenere un risultato positivo, ma non inteso come successo principalmente per il malato, ma da intendere come un trofeo personale, del quale vantarsi con i colleghi o sul quale scrivere innumerevoli pubblicazioni.

C'è solo un'infermiera che si distacca da questo modo di fare. E' l'unica che sembra ricordarsi che dietro ad ogni malato c'è prima di tutto una persona con le sue debolezze e fragilità, senz'altro accentuate dalla malattia. 

Molte sono le scene in cui l'infermiera dimostra di interessarsi umanamente alla paziente: già dalla prima visita ginecologica, in cui riprende il dottore per aver lasciato la paziente in attesa in una posizione non proprio agevole (a gambe divaricate); poi quando addirittura si "intromette" nella terapia, suggerendo ai medici di evitare un nuovo ciclo di cure, troppo pesanti per la paziente; per arrivare poi alla scena del decesso, in cui cerca con tutte le sue forze (arrivando ad urlare) per cercare di far rispettare la volontà della paziente di non essere rianimata.

Una scena molto tenera è quella in cui l'infermiera mangia il ghiacciolo con la protagonista: un gesto a prima vista banale, ma che per una persona sola , così come la paziente era, vuol dire molto. Scena rovinata dal commento acido della stessa Vivian in quella successiva. 

Anche Vivian, infatti, rientra a mio avviso tra i personaggi negativi del film. La sua freddezza nelle parole e nei gesti è così marcata da non poter essere giustificata dalla malattia: le storie che lei racconta nei flash back ci confermano infatti come da sempre sia stata una persona molto rigida e "impostata", tanto nel lavoro che nella vita privata (in realtà queste due formano un tutt'uno, non sono separate!), così da ritrovarsi completamente sola di fronte alla più grande e difficile prova della sua vita.

 

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

In questo film ci sono moltissimi spunti di riflessione, soprattutto per noi futuri medici. L'immagine del medico che traspare da questa pellicola non rappresenta certo un modello da seguire, anzi piuttosto un qualcosa da prendere ad esempio per dire "ecco, la cosa giusta è fare esattamente il contrario!".

Un esempio è il momento della diagnosi. Il medico in questa scena è interessato, più che a farsi comprendere dalla paziente, ad ostentare le sue conoscenze e la sua capacità di utilizzare un linguaggio forbito. In quel momento non si interessa di quello che le sue parole provocano in chi gli sta di fronte, e questa è una cosa molto grave.

Nel seguire la paziente nell'iter della malattia, i medici continuano a mantenere questo atteggiamento di distacco e disinteresse verso il paziente/persona. Sono totalmente assorbiti dal lato prettamente tecnico della loro professione, vogliono raggiungere il risultato e non gli interessa come questo verrà ottenuto.

La scena peggiore ma più esplicativa è quella in cui il medico chiede agli specializzandi gli effetti collaterali della chemio, e quando questi capiscono che allude all'alopecia, iniziano a ridere dicendo cose del tipo "Beh ma è ovvio!" . Tutto questo di fronte alla paziente: agghiacciante!

Personalmente, penso che il rapporto medico-paziente non debba essere così. E' vero che a volte anche un eccessivo coinvolgimento può essere controproducente, ma penso che un rapporto basato sulla fiducia reciproca sia essenziale al fine di una terapia adeguata e, quando possibile, della guarigione.

 

 

 

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22 Marzo 2011: MEDICI PER LA VITA di Joseph Sargent, USA 2004, 110'


Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Questo film pone l'accento su un tema sicuramente molto attuale: la ricerca. I protagonisti del film infatti concentrano tutti i loro sforzi per trovare una cura alla tetralogia di Fallot, patologia nota come "malattia dei bimbi blu". La storia è sicuramente romanzata e immagino nasconda tutte le difficoltà incontrate dal dottor Blalock e dal suo assistente Vivien, ma trasmette comunque la grande passione che li muoveva a spingersi laddove nessuno era ancora arrivato. Il cuore era visto come un terreno inviolabile, e raggiungerlo chirurgicamente appariva come una vera eresia ai medici del tempo. Se poi a ciò si aggiunge che il medico si faceva aiutare da un uomo di colore, privo di qualsiasi titolo di studio, ciò appare ancora più inconcepibile! Ma il messaggio che manda questo film è sicuramente positivo, al di là del fatto che l'intervento si concluda bene.
 





La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

I temi riguardanti la professione medica trattati dal film sono fondamentalmente due: la ricerca e la chirurgia.

Per quanto riguarda la chirurgia, questo è sicuramente un film appassionante . Non a caso a fine della proiezione ho pensato "Mmmmm, non è male come idea chirurgia!" , Merito anche dell'intervento del dottor Bonetti, che mi ha trasmesso una grande passione verso ciò che fa.

Per quanto riguarda il tema della ricerca, "Medici per la vita" è sicuramente un film molto motivante, specie in un momento come questo in cui la ricerca perde sempre più considerazione, dal punto di vista mediatico, finanziario, eccetera. Ciò che c'è di bello nella ricerca è che non esiste la parola fine: si è infatti sempre intenti a migliorarsi, a cercare nuove soluzioni o nuove cure, e l'unica cosa che pone fine alla ricerca è la morte della passione, unico vero motore, come ben ci testimonia il film.

Questo film porta molto a riflettere, quindi, sul binomio medico-ricercatore, e pone l'accento sul fatto che queste due figure risultino, in ultima analisi, complementari e necessarie l'una all'altra. Un'altra inevitabile riflessione, indottami dalla visione del film, riguarda il nostro paese, nel quale al momento la ricerca non viene pressochè considerata. Penso che un paese che risparmia sul progresso delle conoscenze sia destinato a regredire, e sicuramente non è in grado di dare prospettive accettabili a chi, come noi, si impegna negli studi. Spero che le cose cambino, perchè casi come quelli di Vivien e del dottor Blalock non devono restare eventi rari!!






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5 Aprile 2011: L'OLIO DI LORENZO di George Miller, USA 1993, 129'


Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 
Nonostante la tragicità della storia narrata, questo film mi è piaciuto molto. Quel che maggiormente mi ha colpito è senz'altro la figura del padre di Lorenzo, secondo me ben descritto proprio da una sua battuta del film "sono un uomo semplice, ragiono con una mente pratica". La cosa straordinaria di quest'uomo è il fatto che, nonostante lo sconvolgente dolore causatogli dalla malattia del figlio (a tal proposito, significativa è la scena in cui si lascia cadere dalle scale dopo la diagnosi di ALD), riesce a non farsi divorare dal dolore, e a mantenere un atteggiamento lucido e costruttivo.

Non penso infatti che molti genitori avrebbero avuto la forza, una volta appresa una notizia del genere, di rinchiudersi in biblioteca a studiare libri di medicina, oltretutto sapendo di non possederne la benchè minima nozione. Ma quello che aiuta il signor Augusto è proprio il fatto di ragionare in maniera semplice ,utilizzando come esempi il lavandino o le graffette. 
Quello che fanno i genitori di Lorenzo è molto nobile e, se talvolta appare non giusto, è quantomeno giustificabile. Di fronte alla malattia di un figlio, la sensazione di impotenza può o annientarci o darci le forze per cercare una soluzione, anche quando questa appare razionalmente introvabile. E anche se dovranno scontrarsi contro molte figure (medici scettici e genitori timorosi di illudersi), i signori Odone verranno ripagati per i numerosi sforzi.

Un altro aspetto positivo del padre è la "freddezza" con cui si rapporta alla malattia del padre: ha il giusto distacco per poter realmente cercare una soluzione, senza lasciarsi sopraffare dalle emozioni. Come ha detto la professoressa Chiarugi dopo la proiezione del film, nel signor Augusto è possibile riscontrare il profilo di un vero ricercatore! Anche la mamma di Lorenzo è sicuramente una bella figura, molte sono le scene del film in cui mostra il suo smisurato amore. Quel che mi è piaciuto è il fatto che continuasse a considerare "vivo" suo figlio, gli parlasse come se lui la ascoltasse e potesse risponderle. Atteggiamento non condiviso ad esempio dalla seconda infermiera, che sembrava quasi a disagio quando Michaela le chiedeva un po' più di "affettuosità" nei confronti di Lorenzo. 

Una scena molto toccante è quella in cui Augusto dice alla moglie che forse i loro sforzi non serviranno a Lorenzo, ma ad altri bambini. Nelle loro affannose ricerche, si cela infatti un grande altruismo. L'altruismo per altro l'avevano già dimostrato durante le riunioni dell'associazione di genitori di figli affetti da ALD. In queste occasioni però, non tutti sono stati delicati con loro. Non penso però che figure come quelle dei fondatori dell'associazione siano da colpevolizzare eccessivamente: a volte, piuttosto che illudersi e poi soffrire, si preferisce rassegnarsi ed evitare dolorose delusioni.




La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Diciamo che più che sulla figura del medico, questo film porta sicuramente a delle profonde riflessioni su quello che è la giusta dose del "coinvolgimento emotivo" del medico nei confronti del malato e della sua famiglia.

Il medico del film secondo me riesce a trovare un giusto compromesso tra il distacco che la professione gli impone e il sincero interesse per la sorte del suo piccolo paziente malato.

Egli infatti ha tutti i mezzi per poter prevedere il destino (purtroppo infausto) di Lorenzo, ma nonostante ciò non scoraggia le affannose ricerche dei genitori, ma anzi si rende nei loro confronti sempre disponibile. 

A mio parere il medico non deve usare le sue conoscenze come un' "arma", come un qualcosa che lo ponga in una posizione di superiorità nei confronti di pazienti e malati, ma anzi deve essere in grado di usarle proprio a loro vantaggio, di spiegarle in termini semplici e comprensibili a tutti.

Dal film emerge anche la figura del medico-ricercatore, tema sicuramente molto attuale: prerogativa importante per fare ricerca è sicuramente la passione e , spesso, anche il coraggio. Elemento questo che i medici del film sembrano non possedere in abbondanza: ciò è però sicuramente giustificabile se si pensa al fatto che la ADL fosse una patologia rara e, inoltre, decisamente agli albori.

 

 







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19 Aprile 2011: PATCH ADAMS di Universal, USA 1998, 115'


Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Questo film mi è parso molto interessante, anche se non è sicuramente tra quelli che ho preferito al cineforum. Mi piace molto il percorso narrato: il protagonista infatti inizia il film nelle vesti di paziente, e la vicenda termina con la sua laurea in medicina. Sin da quando era ancora un paziente, la sua tendenza ad aiutare il prossimo era già spiccata: inevitabile quindi la scelta di iscriversi a Medicina! Patch è senza dubbio uno studente sui generis: innanzitutto si iscrive all'università pur non essendo giovanissimo, ed inoltre affronta il percorso di studi con un'esuberanza e un'iniziativa che talvolta rendono il film, a mio avviso, piuttosto surreale.

A parte ciò penso che il percorso di Patch sia comunque lodevole: sia il suo modo di approcciarsi ai pazienti, sia la sua grande voglia di fare e la sua capacità di coinvolgere i suoi colleghi di studio, inizialmente scettici e, in un secondo momento, decisamente entusiasti! 

Tutto ciò non è ovviamente semplice: all'inizio infatti Patch suscita nei suoi colleghi non poche invidie, per i suoi brillanti risultati ottenuti con i minimi sforzi. Ma alla fine, riuscirà a superarne i pregiudizi e a stringere , soprattutto con due colleghi, un vero sodalizio, che permetterà loro di realizzare un piccolo "ospedale", in un cottage in montagna.

La lezione più grande di questo film è, per quanto possa apparire banale, di non smettere mai di credere in ciò che si fa. A tal proposito è infatti lampante l'episodio della morte di Carin. Proprio lei che era così scettica e quasi ostile ai progetti di Patch, alla fine si era lasciata coinvogere e aveva trovato suo malgrado la morte, nell'aiutare uno dei pazienti del loro "ospedale".

Ciò turba profondamente Patch, che per un momento pensa di farla finita, salvo poi cambiare idea, rendendosi conto che non c'è niente di sbagliato nell'aiutare gli altri e che anzi, sarebbe sbagliato vanificare tutto il lavoro svolto fino a quel momento.




La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Patch Adams porta molto a riflettere oltre che sulla professione medica anche sullo "status" di studente di medicina. Anche noi infatti, come il protagonista, ci scontriamo con la dura realtà: prima di poter davvero entrare in ospedale e poter fare qualcosa devono passare molti anni !! Tutti noi ci accingiamo ai primi tirocini entusiasti e ricchi di aspettative, ma in realtà ne usciamo piuttosto delusi. Gli ospedali (e chi ne fa parte!) non sono pronti, e talvolta neanche troppo disponibili, ad accogliere chi ha ancora tutto o quasi da imparare, ed ecco come le corsie sono affollate da studenti di medicina "impegnati" ad inseguire medici e pendere dalle loro labbra.

Patch non ci sta, e con la sua esuberanza si intrufola in reparto sperando di poter donare un sorriso ai pazienti.

E' sicuramente qualcosa di difficilmente attuabile, ma quel che insegna questo film è che bisogna sempre essere sicuri e motivati in ciò che si fa, perchè solo in questo modo è possibile superare il pregiudizio della gente che si ferma all'apparenza ed etichetta quel che vede, senza domandarsi cosa ci sia sotto.





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http://www.youtube.com/watch?v=eVrwOSHfYN4

 

La scena finale del film, emblematica del modo di essere di Patch, incapace (per sua fortuna,forse!) di prendersi e prendere le cose troppo sul serio!


 

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