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Franceschi Chiara

Page history last edited by chiaraf 12 years, 11 months ago

PORTFOLIO

Ad ogni incontro devi esprimere i tuoi pensieri sul film proposto editando questa pagina e scrivendo nello spazio sotto a ciascuna domanda

 


12 ottobre 2010: CARO DIARIO di Nanni Moretti, Italia 1993 (IV episodio: Medici) 30'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Io nutro verso la Medicina molta speranza.

Oltre al fascino che questo sapere può trasmettere per primi a noi, ragazzi che abbiamo deciso di iniziare questo percorso, di fronte al medico, sono pervasa da sicurezza e tranquillità.

Io ripongo molta speranza nei medici.

Ma penso sia normale per una studentessa in cui il brio dell’ inizio è ancora vivo, una studentessa ancora molto lontana dall’ ambito lavorativo ed una persona che ha vissuto solo per una piccola parte la malattia.

 Una mia amica è stata portata per anni da medici diversi, arrivava sempre con gli stessi sintomi ed andava via sempre con risposte diverse. Ora la situazione si è aggravata. Non sanno ancora niente.

 Proprio oggi un nostro professore sottolineava la sua concezione della Medicina. Deve essere una scienza, esatta, ma purtroppo bisogna pensare che abbiamo a che fare con uomini. E siamo realisti, tutti noi abbiamo dei limiti.

Noi tutti però non dobbiamo fermarsi alla negatività. Non dobbiamo farci spaventare. Lo stesso professore aggiungeva, che l’ importante è ragionare.

Non possiamo chiedere ad un medico la certezza di non commettere errori, ma la sua parola che farà tutto il possibile. “Cogito, ergo sum”. Interrogarsi, ragionare, pensare.

 Questo film mi ha fatto riflettere, o meglio provare ad immaginare quanto un paziente deve sentirsi solo nell’ incertezza. Come Nanni Moretti dice dopo essere passato dalla medicina canonica alla riflessiologia, alla medicina cinese: “l’ agopuntura non aveva effetti né sul prurito, né sull’ insonnia, però almeno sono tutti gentili. Sono gente simpatica”.

Non possiamo chiedere ai medici l’ impossibile. Ma che allo stesso tempo dobbiamo pretendere il loro massimo impegno. Che significa non poter accettare di dover passare, facendo l' esempio del film, per le mani di cinque medici, e quindi quasi per caso seguire un consiglio scoprendo di avere qualcosa a livello toracico. Per diagnosi, sentirsi dire di essere incompatibile con qualsiasi tipo di cura e sotto ai ferri essere presenti anche se incoscienti alla frase: “mi gioco una palla che è un tumore del sistema linfatico”, curabile. Non possiamo transigere che il protagonista del film vada a leggere su una comunissima enciclopedia medica e trovi sotto la voce della malattia preagnosticata, sintomi: prurito, dimagrimento, sudorazione, senza che a nessun medico sia passato per la testa che la soluzione non stesse nel cambiare nome alla lista di medicine prescritte, ma che queste non potessero servire con una diagnosi sbagliata alle spalle.

“I medici sanno parlare, ma non ascoltare”.

Come ho iniziato con le speranze, termino volendo non avere mai niente a che fare con questa frase. 

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Una sempre maggior consapevolezza e volontà nel realizzare quello che io etichetto sotto la voce medico. Per ora c’ è la consapevolezza e convinzione dell’ importanza di un atteggiamento. L’ interrogarsi, approfondire, cercare sotto lo strato superficiale una risposta.

E che non sono solo le medicine che fanno la cura. Inizia dalle parole del medico, da come il paziente si sente accolto. Un processo che parte dall’ ascolto. Un medico che non ragiona mi spaventa. Ed il primo passo è l’ ascolto come ironicamente ci mostra questo film.

In ospedale il primo anno di corso ho visto come il primario del reparto dove ho fatto tirocinio parlava con tutte le persone ricoverate durante il giro di visite. Come instaurava un contatto fisico prendendogli la mano, con una pacca sulla spalla, sempre con una espressione serena. Questo è il passo che segue l’ ascolto: non sottovalutare l’ importanza dei piccoli gesti, la dignità e la serenità, il rispetto che sempre deve essere presente. 

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

Da bambino volevo guarire i ciliegi
quando rossi di frutti li credevo feriti
la salute per me li aveva lasciati
coi fiori di neve che avevan perduti.

Un sogno, fu un sogno ma non durò poco
per questo giurai che avrei fatto il dottore
e non per un dio ma nemmeno per gioco:
perché i ciliegi tornassero in fiore,
perché i ciliegi tornassero in fiore.

E quando dottore lo fui finalmente
non volli tradire il bambino per l'uomo
e vennero in tanti e si chiamavano "gente"
ciliegi malati in ogni stagione.

E i colleghi d'accordo i colleghi contenti
nel leggermi in cuore tanta voglia d'amare
mi spedirono il meglio dei loro clienti
con la diagnosi in faccia e per tutti era uguale:
ammalato di fame incapace a pagare.

E allora capii fui costretto a capire
che fare il dottore è soltanto un mestiere
che la scienza non puoi regalarla alla gente
se non vuoi ammalarti dell'identico male,
se non vuoi che il sistema ti pigli per fame.

E il sistema sicuro è pigliarti per fame
nei tuoi figli in tua moglie che ormai ti disprezza,
perciò chiusi in bottiglia quei fiori di neve,
l'etichetta diceva: elisir di giovinezza.

E un giudice, un giudice con la faccia da uomo
mi spedì a sfogliare i tramonti in prigione
inutile al mondo ed alle mie dita
bollato per sempre truffatore imbroglione
dottor professor truffatore imbroglione.       De Andrè.

 

 


19 ottobre 2010: UN MEDICO UN UOMO di Randa Haines, USA 1991, 124'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Sono due gli spunti di riflessione che ho tratto dalla visione di questo film: il rapporto fra medico e paziente, e quanto abbiamo da dare gli uni gli altri.

 

Jack mcKee, medico di successo, brillante chirurgo quarantenne con una troppo buona opinione di sé e una scarsa considerazione per gli altri, dedito interamente al prestigio ed ai vantaggi della propria professione, trascura la moglie e il figlio, e soprattutto opera non lesinando battute e freddure anche nei momenti più drammatici di un intervento. Dal film appare evidente il suo modo di rapportarsi ai pazienti bandendo i sentimenti: alzando un muro per difendersi da ogni sorta di movimento emotivo che essi possono suscitare in lui, così da non correre il rischio di alcun coinvolgimento.

Mi interrogo su questo problema da prima di iniziare il mio percorso di studi, ma io parto dall' estremità opposta. Conoscendo la mia emotività, mi chiedo se possa stare a contatto con i malati, se sia giusta per questa professione, per portare questo servizio agli altri. Anche confrontandomi con amici, la risposta che il buon senso suggerisce è che non possiamo lasciarsi sovrastare dalle situazioni nelle quali ci imbatteremo. E che si avrà tempo per imparare la giusta misura di coinvolgimento. Perchè è vero che una qualche forma di "autodifesa" deve scattare, primo per assicurare la nostra maggior efficienza, secondo per noi stessi. Ma voglio ripetere, la giusta misura.

 

Infatti quando gli viene diagnosticato un tumore alla laringe e si trova ad essere dall' altra parte della barricata nel ruolo del paziente bisognoso di cure tutto cambia. Deve subire analisi fastidiose, supponenza ed arroganza dai medici, intralci burocratici.

Ma non deve servire questo per aprire gli occhi sui valori dei rapporti umani di comprensione e di solidarietà con altri malati.

E poi di cosa abbiamo paura? Di soffrire? Non possiamo farci sopraffare dal dolore che pervade la stanze di un luogo come l'ospedale. Ma invece di soffermarsi su questo, pensiamo a quanto possiamo imparare da chi convive con la malattia. A quanto possiamo ricevere da queste persone. E quanto possiamo dargli.

E' inutile chiudere gli occhi per la paura del buio, nascondersi ignorando la realtà che ci circonda.

Se tutti si pensasse solo a se stessi, il mondo sarebbe peggiore di quello che è attualmente. Ma io credo in un mondo migliore. E che possa rendermi utile con il poco che ho fra le mani.

 

Qualsiasi cosa tu faccia sarà insignificante, ma è molto importante che tu la faccia.

 

Dobbiamo divantare il cambiamento che vogliamo vedere.  Mahatma Gandhi.

 

 La svolta avviene quando, solo con il suo nuovo e sconosciuto ruolo di malato e paziente, conosce June, la quale ha avuto la diagnosi di un tumore cerebrale in ritardo per colpa dell' assicurazione, che non le ha consentito l' unico esame in grado di diagnosticarlo in tempo perchè troppo costoso. Ma nonostante sappia di essere condannata, la donna ha una grande forza d' animo ed un atteggiamento positivo verso la vita, e soprattutto verso il prossimo. 

 Costretto ad operarsi per il proliferare del tumore, Jack decide di non volere essere curato da un medico emotivamente distante com' era lui prima della malattia, così decide di troncare il rapporto con l' otorino da cui era in cura e di affidarsi ad un collega rivale, con il quale aveva avuto dei dissapori in passato ma che ora vede in una luce diversa. Sarà quest' ultimo ad operarlo ed a salvarlo.

 Il film finisce con una lettera di June, in cui lo invita ad aprirsi sinceramente al prossimo, se vorrà essere veramente felice.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Che io non vorrei avere niente a che fare con una persona del genere, per lo più un medico. Così allo stesso tempo non posso che chiedermi chi voglia diventare.

Per questo mi dico che è meglio essere emotivi e farsi coinvolgere, perchè almeno saprò o cercherò di dare qualcosa di più ai mie pazienti partecipando con loro, rispetto ad un muro di freddezza.

Perchè la paura non risolve niente, così come non porta a niente chiudersi ed ignorare chi ci sta attorno.

Possiamo invece ricevere tanto, e magari imparare da chi vediamo lottare tutti i giorni con la morte, ad accettare la malattia e vedere il bello nella nostra vita.

 

... Ma guarda intorno a te

che doni ti hanno fatto:

ti hanno inventato il mare.

Tu dici non ho niente

ti sembra niente il sole.

La vita,

l' amore.

Meraviglioso...  Modugno.

 

Vivi come se dovessi morire domani. Impara come se dovessi vivere per sempre.  Mahatma Gandhi.

 

Mentre parliamo il tempo, invidioso, sarà già fuggito.

Cogli l' attimo, fiduciosa il meno possibile nel domani.  Orazio.

 

 

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Vi propongo una poesia "Fuoco e ghiaccio", naturalmente sono di pertinenza solo gli ultimi versi, ma siccome la trovo bella, ve la riporto tutta.

 

Dicono alcuni che finirà nel fuoco

il mondo, altri nel ghiaccio.

Del desiderio ho gustato quel poco

che mi fa scegliere il fuoco.

Ma se dovesse due volte finire,

so pure cosa è odiare,

e per la distruzione posso dire

che anche il ghiaccio è terribile

e può bastare.  Frost.

 

 

Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale

e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

Il mio dura tuttora, né più mi occorrono

le coincidenze, le prenotazioni,

le trappole, gli scorni di chi crede

che la realtà sia quella che si vede.

 

Ho sceso milioni di scale dondoti il braccio

non già perchè con quattr' occhi forse si vede di più.

Con te le ho scese perchè sapevo che di noi due

le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue.  Montale.

 

 


16 novembre 2010: IL GRANDE COCOMERO di Francesca Archibugi, Italia 1993, 96'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Ancora una volta siamo di fronte al medico come figura lavorativa e come persona. Nel film viene messo in scena l’ operato di Marco Lombardo Radice, grande neuropsichiatra infantile. Grande perché da lungo cimentato nel percorrere nuove strade nella sua disciplina. Grande perché riesce a non fermarsi di fronte al sintomo: attacchi epilettici di una bambina, ma riesce ad andare a fondo, a farsi strada sotto lo strato della semplice apparenza. Grande perché uomo  in un reparto dove i malati ricoverati sono bambini. Pazienti agli occhi della scienza medica, ed allo stesso tempo bambini bisognosi di affetto, della sensibilità che serve a non farli sentire diversi e malati. Di aiutarli nella malattia difendendo fermamente la loro giovinezza, il gioco, la fantasia, dalla malattia che per molti adulti è una condanna.

Con una paziente si lega in particolar modo. Un rapporto essenziale, ma che nella semplicità diventa profondo da partecipare all’ aggressività di questa e trovarci la dolcezza che lei volutamente nasconde.

Ed è proprio l’ azione del nascondere che èil vero sintomo. Gli attacchi epilettici, come l’ aggressività nella vita di tutti i giorni svelano quanto sia bisognosa di affetto, considerazione.

La diagnosi è attacchi di epilessia autoindotti. La radice del problema è nella storia personale. L’ anamnesi è il vissuto e cosa nel vissuto è mancato: la famiglia.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Ancora una volta siamo di fronte al medico come figura lavorativa e come persona. Così ho iniziato la risposta alla prima domanda. Quindi ancora siamo portati a riflettere sul rapporto malato paziente- uomo/medico – uomo.

Io personalmente nella mia esperienza ho stimato come grandi dottori le persone che ho incontrato nelle varie circostanze e nella quali ho letto la devozione alla loro scelta. Perché per me è una scelta di vita per prima cosa. Che si risolve e trova espressione nel lavoro.

Questa scelta è di dedicarsi ad aiutare gli altri. Un aiuto che viene dato in pasticche e terapie da svolgere, come un aiuto che il paziente deve sentire provenire dalla persona come uomo: l’ ascolto, cinque minuti spesi a parlare di niente, uno sguardo. Per me il paziente deve sentire l’ interesse del medico verso di lui. E non ho l’ arroganza nè la presunzione di voler fare qualcosa di grande o di farmi grande agli occhi altrui. Non voglio che nessuno interpreti quanto detto con prendiamoci tutta la sofferenza intorno a noi sulle spalle. Non ho detto di immolarsi sul altare del dolore. Sono solo una ragazza che crede nella medicina e nel lavoro del medico. Che vorrebbe ricevere questo in ospedale come paziente. Che vuole ricordarsi in futuro quando avrà la reazione di chiudersi a riccio ed ignorare, lasciarsi scivolare addosso tutto il dolore intorno a lei, cosa vorrebbe fosse fatto a lei od a qualcuno di caro se si trovasse li.

 

 

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30 novembre 2010: LA FORZA DELLA MENTE di Mike Nichols, USA 2001, 99'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Devo essere sincera, questo film soprattutto mi ha rattristato, riproponendo i temi già visti in film più leggeri e seguiti anche più volentieri. Questo è un film che vuole sicuramente più degli altri riproporre quanto sia cruda la sofferenza, quanto il dolore e l’ amarezza della malattia. Ma di questi emozioni è inutile parlare, od io personalmente non me la sento di aggiungere niente di nuovo rispetto a quanto già posso aver detto nei miei commenti, magari anche banali. Poiché per mia fortuna non ho ancora avuto di queste esperienze. E viste dall’ esterno certo non mi rendono autorizzata a parlarne. Ma non è neanche lo scopo di questo tirocinio che passa attraverso il cinema.

“La forza della mente”, anche lo stesso titolo parla chiaro sul messaggio principale. Sono gli ultimi giorni della vita della protagonista: Vivian alla quale è stata diagnosticato un tumore che la porterà alla morte.

Da una parte quindi si vede la malattia e come Vivian affronta la sua sorte. Con forza e tanto coraggio. Perché come è venuto fuori ad una lezione di fisiologia, un conto è sapere che il male e dolore è temporaneo, vedere la guarigione. Altro è l’ evidenza che toglie ogni speranza, come i peggioramenti della protagonista ad ogni tentativo di terapia. Ed anche di questo non voglio e non mi sentirei neanche di parlare. La reazione di fronte al dolore di una persona è uguale per tutti. E’ la compassione nel significato che le viene dalla sua origine latina: soffrire insieme, partecipare.

Ma il medico, nel suo lavoro non può lasciarsi andare a questo sentimento. E penso pian piano a frequentare il reparto, a svolgere la professione del medico venga normale imparare a distaccarci da tutte le tragedie di chi si troverà intorno a noi. Il distacco sì, ma come ho già detto per i commenti precedenti, ciò non toglie che guardi alla professione del medico come una scelta di vita. Di dedizione agli altri nel dare il massimo di quello che la scienza medica può offrire, ed il massimo come persona, come disponibilità. Di tenere a mente chi abbiamo davanti.

E di questo nel film si fa portavoce Susy, l’ infermiera. Il lavoro da infermiere si distacca dal medico in quanto è la figura più a contatto con il malato. Poi naturalmente sta nella buona volontà di chi svolge il lavoro. Comunque tornando al film è Susy che instaura un legame con la paziente, che si manifesta da una parola scambiata, una risata fatta insieme, tutte cose gratuite che vanno oltre alla semplice assistenza, il servizio per il quale si viene pagati, ed il solo che viene offerto dai medici in questo film.

La critica a questo film è che vuole raccontare il dolore e come affrontarlo, ma magari non c’ era bisogno di usare un film per questo. E che alla fine il rapporto medico-paziente è lasciato molto alla superficialità.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Le riflessioni sono sempre le stesse. Le domande che mi pongo è chi voglio diventare.

E la risposta la trovo in esempi che ho stimato nelle mie esperienze quotidiane, sia di medici, sia di altre persone che non avevano la laurea in Medicina e Chirurgia, la trovo di fronte al dolore raccontato dalle persone o visto attorno a me.

E per quanto immagino, la mia aspettativa è di trovare quell’ equilibrio che non ti porta a soccombere di fronte al dolore altrui, ma allo stesso tempo parteciparvi.

 

 

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Tieni sempre presente
che la pelle fa le rughe,
i capelli diventano bianchi,
i giorni si trasformano in anni.
Pero' cio' che e' importante
non cambia; la tua forza
e la tua convinzione
non hanno eta'.

Il tuo spirito e' la colla
di qualsiasi tela di ragno.
Dietro ogni linea di arrivo
c'e' una linea di partenza.
Dietro ogni successo
c'e' un'altra delusione.
Fino a quando sei vivo,
sentiti vivo.

...

Quando a causa degli anni
non potrai correre,
cammina veloce.
Quando non potrai
camminare veloce, cammina.
Quando non potrai
camminare, usa il bastone.
Pero' non fermarti mai.            Madre Teresa.

 

 

22 Marzo 2011: MEDICI PER LA VITA di Joseph Sargent, USA 2004, 110'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Io nutro verso la Medicina molta speranza. Così ho iniziato il mio primo commento al film di Nanni Moretti, e questa volta le mie speranze sono fomentate da questa storia straordinaria.

Il film trae infatti ispirazione da quello che è stato un grande passo per la scienza medica e per tutti noi. Si parla del primo intervento di cardiochirurgia.

Siamo nella Baltimora degli anni ’40, in un ambiente ancora pervaso dal razzismo. Il dottor Alfred Blalock, medico bianco, capo chirurgo, ed il tecnico di laboratorio Vivien Thomas, nero ed ex falegname con il sogno di diventare medico, sono i protagonisti di questa vittoria con il successo di una innovativa tecnica chirurgica cardiaca per operare bambini affetti dal cosiddetto morbo blu, i bambini cianotici.

Il dottore Blalock è andato contro tutti e tutto, ha sfidato l’ ambiente razzista chiedendo aiuto e perseguendo il successo insieme ad una persona di colore e neanche laureata in Medicina. Ha sfidato il sapere, volendo trovare una risposta pratica alla patologia, chiedendo di più alla Medicina. Ed infine siamo di fronte ad una persona che ha sfidato i limiti che ben conosceva, che ha voluto credere in se stesso e nella scienza, per agire con coraggio, da solo contro suoi pari ed infrangere ogni regola.

Sembra un romanzo, invece è storia. Ed inutile ripetere una frase già detta e ridetta, ma la storia è fatta da uomini.

Così il cuore che prima era considerato un organo inviolabile, è stato riportato nella sfera dell’ accessibile infrangendo la regola del “noli tangere”. Il limite è stato infranto, ed un medico ha adempiuto al proprio compito.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Di crederci, di crederci sempre.

Di non mollare mai, anche di fronte a tutte le difficoltà ed ingiustizie (ed a chi ci tratterà da carta da parati nei nostri futuri anni di studio e tirocinio, almeno così ci dicono i nostri colleghi degli anni superiori). Crediamo in noi, nelle nostre possibilità e diamoci degli obbiettivi. Non perché si sia migliori e più capaci degli altri, ma perché spinti nel nostro piccolo dal desiderio di aiutare, tanto chi fra noi è un genio verrà fuori da sé! L’ importante sono gli obbiettivi e la speranza che sempre ci deve essere a supporto della dose, smisurata, di coraggio e perseveranza che faranno sempre più avanzare la Medicina.

 

Siamo realisti, chiediamo l'impossibile.      Che

 

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E se vale la pena rischiare, io mi gioco anche l'ultimo frammento di cuore.

 

Dicono che noi rivoluzionari siamo romantici. Si è vero lo siamo in modo diverso, siamo quelli disposti a dare la vita per quello in cui crediamo.

 

La gioventù deve fare esattamente ciò che pensa. L'importante è che non smettiate di essere giovani.  Ernesto Che Guevara

 

 

Io e ' compagni eravam vecchi e tardi

quando venimmo a quella foce stretta
dov' Ercule segnò li suoi riguardi

acciò che l'uom più oltre non si metta;
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l'altra già m'avea lasciata Setta.

"O frati", dissi, "che per cento milia
perigli siete giunti a l'occidente,
a questa tanto picciola vigilia

d'i nostri sensi ch'è del rimanente
non vogliate negar l'esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza".

 

Li miei compagni fec' io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;

e volta nostra poppa nel mattino,
de' remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.              Canto XXVI, Inferno.      

 

 

 


 

5 Aprile 2011: L'OLIO DI LORENZO di George Miller, USA 1993, 129'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Ancora una volta siamo di fronte ad una storia vera, ma i protagonisti hanno conseguito un successo talmente grande che poteva essere benissimo scambiata per una trama di un film. Perchè due persone spinte dal sentimento più grande che si possa provare: l' amore per il proprio figlio, hanno trovato dal nulla una terapia di supporto ad una malattia rara.
Narra la drammatica vicenda della famiglia Odone e della malattia del piccolo Lorenzo. Un bambino qualunque, fino ad un giorno del quinto anno di vita, quando gli si staglia davanti una terribile diagnosi. E' affetto da una malattia rara: l'Adrenoleucodistrofia.

L'adrenoleucodistrofia è una malattia genetica dei perossisomi (organelli intracellulari contenenti vari enzimi utili per la β-ossidazione). In alcuni casi si assiste ad una degenerazione della mielina, rivestimento di molti nervi del sistema nervoso centrale e periferico. Senza la mielina, i nervi non riescono a condurre un impulso, portando ad una crescente disabilità mentre la distruzione della mielina continua a crescere e ad intensificarsi.

Di fronte a queste cose, spesso mi chiedo se non potrebbe toccare anche a me o ad una persona a me cara. Ed io cosa farei.
I medici come se nulla fosse comunicano alla famiglia la diagnosi, e che non c' è più nulla da fare. Lorenzo ha una possibilità di vita lunga massimo due anni. E qui la figura del medico esce di scena, il suo lavora lo ha fatto. Cosa possiamo volere di più?

A questo risponde la ricerca disperata dei due genitori. Un economista ed una glottologa, che non riescono a rassegnarsi ad accompagnare il figlio alla morte certa. Che non possono accettare la malattia senza prima tentarle tutte.
E se per i medici la malattia è incurabile e la fine sicura, se è facile distaccarsi da questo paziente e dal suo caso, per i genitori Odone il paziente è il figlio. Saranno da soli, ma c' è qualcosa di grande che li motiva ed a cui non possono mettere freno.

Nella realtà Lorenzo è morto all' età di 30 anni, a Washington, per le conseguenze di una polmonite.
I coniugi Odone dopo essere diventati fra i maggiori esperti di questa malattia a livello mondiale, elaborarono una miscela composta da olio di oliva: acido oleico, e olio di colza: acido erucico, in grado di bloccare l'avanzamento della malattia anche se non porre rimedio ai gravi danni che la malattia aveva già procurato, ma è un' immensa speranza per i tanti affetti da questa patologia, come per tutti noi.

 

Siamo realisti, chiediamo l' impossibile.    Che

 

Dobbiamo crederci e cercare, impegnarsi, aspirare a cosa vogliamo. Se poi il risultato non arriva, noi ci abbiamo creduto e provato. Ed è questo l' importante. Se non noi, prima o poi qualcuno ci riuscirà.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Ancora una volta ci troviamo di fronte alla figura del medico negativa.

Dal modo di comunicare, alla negligenza con la quale sembrano affrontare la criticità del caso. Non fanno niente per il paziente poichè meglio di tutti sanno che a questa malattia rara non esiste cura. Ma non solo, informano i genitori di Lorenzo con una freddezza e distacco talmente tanto accentuate che non possono non farci riflettere.

Siamo di fronte ad un bambino scaraventato dentro ad una tragedia di fronte alla quale anche molti grandi si trovano spiazzati. Ma i medici non hanno occhi per vedere chi è il paziente. Non hanno orecchie per concedere tempo ai genitori. Poichè dobbiamo ricordarci che la malattia colpisce la famiglia, gli amici, chi ti è vicino. Ed allora nel nostro piccolo cosa possiamo fare di grande? Patch Adams risponderà ridere. 

Ci troviamo sempre di fronte al problema della partecipazione e di quanto lasciare che l' emotività ci coinvolga. Ed io ribadisco che per me la giusta misura verrà fuori nell' ambiente di lavoro una volta di fronte alla malattia ed a chi ci deve convivere. Penso per sopravvivenza dovrà venire fuori in noi qualcosa che non ci renda succubi di tutte le situazioni e del dolore intorno a noi. Ma come sempre mi trovo a chiedermi che medico voglio diventare, ed almeno per ora vedo che non siamo lì per citare un giudizio, non dobbiamo solo farci porta voce delle nozioni trovate scritte sui libri. La malattia non attacca solo l' organismo, ma la persona. Avremo davanti uomini e donne, bambini, che gioiscono e soffrono, che provano paura, incertezza, insicurezza, a cui può cadere il mondo addosso perchè l' ignoto fa sempre paura e quando non ci sono speranze, non troviamo più la forza di fare niente, solo lasciarsi andare.

Ma questo film ci insegna anche sotto questo punto di vista, a non arrendersi mai, ad andare avanti sempre prefiggendoci degli obbiettivi, e per cosa vale la pensa combattere contro tutto. E' la perseveranza e determinazione, il coraggio per rispondere al meglio alla nostra scelta. I successi e gli insuccessi saranno circa gli stessi, ma almeno noi ci abbiamo provato a fare qualcosa di grande. Perchè qualcosa di grande abbiamo fra le mani: le persone.

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

http://www.myelin.org/

 


 

19 Aprile 2011: PATCH ADAMS di Universal, USA 1998, 115'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

L’humour è l’antidoto per tutti i mali. Credo che il divertimento sia importante quanto l’amore. Alla fin fine, quando si chiede alla gente che cosa piaccia loro della vita, quello che conta è il divertimento che provano, che si tratti di corse di automobili, di ballare, di giardinaggio, di golf, di scrivere libri. La vita è un tale miracolo ed è così bello essere vivi che mi chiedo perché qualcuno possa sprecare un solo minuto! Il riso è la medicina migliore.

 

Per noi guarire non è solo prescrivere medicine e terapie ma lavorare insieme condividendo tutto in uno spirito di gioia e cooperazione. La salute si basa sulla felicità - dall’abbracciarsi e fare il pagliaccio al trovare la gioia nella famiglia e negli amici, la soddisfazione nel lavoro e l’estasi nella natura delle arti.

 

Siamo qui per aiutare i pazienti a vivere la più alta qualità di vita e, quando non è più possibile, per facilitare la più grande qualità di morte.

 

Questo è il link: http://it.wikipedia.org/wiki/Patch_Adams dal quale ho tratto le informazioni che seguono.

Questo uomo ha passato momenti molto difficili. Ha perso il padre all' età di 16 anni «  Non appena io e mio padre eravamo diventati amici lo persi». i punti di riferimento caddero uno dopo l' altro, «  Non mi dava più conforto la religione che sentivo ipocrita.. nè la scienza e la ragione che erano state il mio conforto nel passato». Seguirono una serie di dolorose esperienze: soffrì di ulcera, che i medici sbagliarono a curare, lo zio si suicidò. E Patch pensò di togliersi la vita. Ma forse non lo voleva fino in fondo tanto che tornò dalla madre dicendole di farsi ricoverare in un ospedale psichiatrico.

E qui avvenne la svolta.  La guarigione ma soprattutto la sua apertura alla vita furono dovute non tanto ai medici, quanto alla famiglia, agli amici e soprattutto all’incontro con Rudy, suo compagno di stanza, sofferente di una solitudine che egli non avrebbe mai sognato potesse esistere e che al confronto faceva sembrare futile il suo dolore. Comprese di essere sempre stato circondato dall’amore, ma che non aveva lasciato che questo influisse su di lui. Comprese anche che le persone supposte “pazze” rispondevano semplicemente alla complessità della vita con paura, rabbia, tristezza e disperazione e che avevano solo bisogno di attenzione e amore. Per la prima volta, per un caso fortuito, si rese conto di essere in grado di aiutare chi soffre senza ricorrere ai farmaci, ma semplicemente ricorrendo a terapie ludiche. Fece superare a Rudy la sua fobia per gli scoiattoli, che addirittura non gli permetteva di andare al bagno, improvvisando una guerra immaginaria contro “quelle tremende bestioline”. Ecco quindi che il sorriso, la spensieratezza rappresentano la ricetta più genuina per iniziare un processo di guarigione molto più efficace di qualsiasi terapia accreditata dalle riviste scientifiche più note, ma spesso mal sopportate dal paziente. Era importante quindi creare in primis un rapporto medico-paziente basato sull'allegria e la complicità. Questa svolta lo portò alla scelta di diventare medico.

Furono, infatti, anni difficili perché l'ambiente accademico rigoroso di quel tempo, non accettava il modo rivoluzionario con cui Patch intendeva curare i pazienti: si infiltrava tra i reparti senza alcuna autorizzazione già dal primo anno di università (pratica riservata solo agli studenti dal terzo anno di medicina) per stare vicino a dei malati terminali o bambini in gravi condizioni di salute, presentandosi sempre in modo comico e originale. Tale concezione stravolse alcuni dei concetti cardine della medicina occidentale moderna, rendendo Patch Adams un personaggio rivoluzionario e scomodo che si contrapponeva, in maniera forte, alla medicina tradizionale. Venne accusato di “troppa allegria” e minacciato di espulsione. Divenne medico con un obbiettivo chiaro in testa. Aiutare gli altri come pazienti e persone. E quello che era stato il suo modo di stare con i pazienti è poi divenuto un movimento che fa capo alla Clownterapia. Il passo successivo è stato quello di trasformare la sua casa in una clinica aperta a tutti per offrire a tutti l' assistenza che per me è un diritto fondamentale dell' uomo.  Nel '77 comprò un terreno nel North Carolina, dove progettò di costruire una clinica vera e propria. Vista dall'alto, la costruzione, nelle intenzioni di Patch Adams, doveva riprodurre la sagoma di un clown. A questo scopo fondò il Gesundheit! Institute, in tedesco significa salute.

 

Ho riportato la sua storia dal quale è stato tratto il film perchè ci si potesse immedesimare in lui. Anche lui è caduto, sempre più in basso, affrontando la morte che colpiva i suoi famigliari ed abbatteva ogni sua possibile convinzione. Ha toccato il fondo. E poi si è reso conto di cosa aveva intorno e che bastava, avanzava per voler riappropiarsi,  vivere la propria vita. Ma una volta rivalutata la bellezza delle cose uno non può non sentirsi che condividerla. Per me è da questo che nasce il suo smisurato impegno verso il prossimo. Patch si è completamente dedicato al malato, gli ha aperto aperto la sua casa. Ma soprattutto ci ha dato a tutti la dimostrazione che non sono i farmaci. Non possono bastare perchè si parla di persone ed emozioni oltre che di reazioni. La scienza è rasserenante perchè cerca di spiegare ed indagare le cause, è come se si volesse fare un' equazione di matematica, alla fine deve tornare. Ma la scienza in medicina è applicata all' uomo. E l' uomo è un tutto che si tiene. Di qui la visione olistica della Medicina che aleggia come filosofia di fondo.

Di qui la teoria del Sorriso.

"Ridere aumenta la secrezione di catecolammine ed endorfine, il che aumenta l' ossigenazione del sangue, rilassa le arterie, accellera il cuore, abbassa la pressione sanguigna, con effetti positivi sulle malattie respiratorie e cardiovascolari, e in più aumenta la risposta del sistema immunitario". Come lui stesso dice nel film.

Mi vorrete scusare se ho riportato varie sue citazioni, ma io potevo solo cercare di ripeterle in una scrittura meno efficace.

  

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Vedo in Patch il mio ideale di medico. 

Mi faccio forza perchè tutti abbiamo le nostre difficoltà, ma possiamo e dobbiamo reagire. E costruire qualcosa di grande che nasce dal piccolo. 

Cosa ci costa un sorriso? 

Patch si è dato completamente agli altri nel suo lavoro sperimentando per primo su se stesso l' aiuto che gli è stato dato dalle persone attorno a lui, dall' amore che aveva attorno. Ed a noi cosa costa uno sguardo di comprensione, un sorriso una battuta scherzosa per alleviare un pò della sofferenza.

Io credo nella Medicina e nei medici. 

E se poi risulterà difficile per noi attenersi a quanto si è detto fino ad ora, pensiamo sempre a come vorremmo essere trattati noi.

Il riso è la medicina migliore. Allevia la malattia e ce la fa avvicinare, magari accettare, magari accettare persino la morte. 

 

Ogni volta che trascorro del tempo con una persona che sta morendo trovo in effetti una persona che vive. Morire è il processo che inizia pochi minuti prima della morte, quando il cervello viene privato dell'ossigeno; tutto il resto è vivere.

 

Siamo qui per aiutare i pazienti a vivere la più alta qualità di vita e, quando non è più possibile, per facilitare la più grande qualità di morte. 

 

Questo dobbiamo fare, niente di più. Proviamoci.

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

Questo è un invito ed un sogno. http://www.medicisenzafrontiere.it/particonnoi/?msf_campaign=reclutamento&msf_campaign_info=homepage_bottom-row1_188x125&ref=boxHomepage .

Ci sono tante associazioni di volontariato che portano il sorriso in reparto.

Tante associazioni fatte di uomini che rischiano la vita portano speranza in paesi dove sembra sconfitta da tempo.

 


 

 
 

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