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Dell'acqua Irene

Page history last edited by Irene Dell'Acqua 12 years, 7 months ago

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Ad ogni incontro devi esprimere i tuoi pensieri sul film proposto editando questa pagina e scrivendo nello spazio sotto a ciascuna domanda

 


12 ottobre 2010: CARO DIARIO di Nanni Moretti, Italia 1993 (IV episodio: Medici) 30'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Non sono affatto meravigliata. Purtroppo è nella natura della "razza" medica essere orgogliosi senza capire che si va solo danneggiando chi si ha davanti e nel film la critica che viene fatta è molto chiara e mirata : possibile che uno, due, tre professionisti non riescano a trovare una soluzione al mio male ma mi riempiano solamente di medicine? e  possibile che queste medicine non risolvano nulla?? ma sono professionisti, sanno quello che fanno, o sono superficiali nello svolgere il loro lavoro? Io non credo che si tratti di superficialità quanto di superiorità della propria disciplina rispetto alle altre e soprattutto della propria competenza rispetto agli altri specialisti.

La cosa che mi ha colpito più di tutte è che il protagonista ogni volta che cambiava specialista portava con se le ricette dello specialista precedente ma questo non gli rivolgeva la minima attenzione.

Il film di Moretti vuole essere una critica o forse un modo per spronare i medici a svolgere la loro pratica in modo più attento e con un'approccio più comunicativo nei confronti del paziente. Sicuramente tutti i medici che guarderanno questo film diranno " a me non è mai successo " o forse " a me non succederà mai " ma come ho spiegato all'inizio è nell'arte medica il sentirsi più competenti degli altri e soprattutto aver ragione sempre.

 

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Ha indotto in me la frase " non mi succederà mai, cercherò sempre di guardare oltre, io voglio essere migliore di loro " non rendendomi conto che già in questa frase mi portavo in posizione di superiorità rispetto ai medici del film peccando del loro stesso errore. Quindi penso che sia bene che ogni medico svolga sempre il proprio lavoro nel migliore dei modi, usando talvolta un pizzico di umiltà che gli consenta di aprire realmente le sue orecchie verso il paziente che parla e di chiedere, se non sicuri della diagnosi,l'opinione di un altro specialista.

 

 

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

La medicina è una delle arti greche, che, malgrado il guadagno che se ne può trarre, non è praticata da un romano veramente serio... Disgraziatamente non esiste una legge che punisca i medici ignoranti, né per essi è prevista la pena capitale. Eppure essi imparano l'arte sulle nostre sofferenze e fanno esperimenti mandandoci a morte! (Plinio il Vecchio)

 

Il medico saggio deve essere esperto tanto per prescrivere un rimedio quanto per non prescrivere nulla (Baltasar Graciàn)

 

 

 

 


19 ottobre 2010: UN MEDICO UN UOMO di Randa Haines, USA 1991, 124'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Durante il film, scena dopo scena, sono emerse in me riflessioni che sono state tuttavia smontate, o forse solo indirizzate meglio, dalla discussione tenutasi in seguito alla visione del film. Durante il film infatti la mia mente mi portava a una riflessione basata sugli opposti bene e male, giusto e sbagliato, buono e cattivo. Ma come il Professore invitato alla discussione ci ha fatto presente, il film non è da intendersi come una critica alla moralità o meno di un medico quanto più al cambiamento che questo presenta nel passaggio di condizione da medico a paziente. Se all'inizio si permette di canicchiare, fare battutte non appropriate con gli altri medici su pazienti e colleghi meno accettato, ora diciamo che vede il mondo dell'ospedale da un nuovo punto di vista. La sua reazione alla malattia verso questo mondo di persone "più deboli" è lenta e inizia con una negazione della realtà tanto che in sala di aspetto stenta a credere all'infermiera che gli dice che ora è un paziente e deve comportarsi come tali, ma piano piano acquisirà coscienza di atteggiamenti medici talvolta freddi, sgarbati, opportunisti, e solo provandoli sulla sua pelle potrà cambiare la sua visione ospedaliera e professionale tanto da cercare di trasmettere ai suoi assistenti la stessa visione cercando di far provare anche a loro, in veste di "finti" pazienti, quello che ha vissuto lui.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Beh il film mostra un aspetto che puoi ritrovare in alcuni medici e che deriva da un sistema antiquato basato sulla casta medica che si può permettere di fare questo e quell'altro perchè superiore. E' un po' il discorso già introdotto nel film precedente..Nel medico purtoppo prevale l'orgoglio e l'umiltà scarseggia, il medico tende a sentirsi un vero e proprio Dio che in una sala di aspetto si permette di dire " chi sono io per fare la fila, sono forse un comune mortale?" e che della sua professione parla come fosse un macellaio " che entra aggiusta e se ne va ": tuttavia io penso che il film ci abbia mostrato solo una piccola virgola della realtà medica. Molti medici infatti si comportano differentemente da quanto descritto nel film e forse lo fanno proprio perchè anche loro sono stati dall' "altra" parte. L'anno prossimo svolgeremo un attività in merito a questo argomento e spero di prenderne quanto meglio ne possa venire da un esperienza del genere non avendo avuto ancora  molta esperienza e rapporto con il mondo medico.

 

 

 

 

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16 novembre 2010: IL GRANDE COCOMERO di Francesca Archibugi, Italia 1993, 96'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Il film non mi è piaciuto affatto. Penso che sia uno dei più brutti di questo percorso e sinceramente ci ho pensato molto ma mi viene davvero poco da dire.  

Il film è impostato male, durante la sua durata non sono riuscita a capire quale fosse il reale pensiero del regista o su cosa si volesse maggiormente soffermare. E' un intreccio di eventi intorno al problema di questa bambina dovuto anche a un rapporto conflittuoso dei genitore che è come se si riportasse morbosamente verso il medico, in cerca di una sorta di affetto che si dimostra qualcosa più dell'amicizia ma che non si capisce mai se sia o meno corrisposta o fino a che punto. Il problema della bambina nasce anche probabilmente dal misterioso lavoro del padre, che non si capisce se il regista ha volutamente evitato di dire  o se sia stato un problema di pellicola rovinata. Tutto si conclude con il passaggio da ragazza a donna della bambina tramite un simbolo femminile non indifferente, ed è come se ad un tratto i problemi della bambina scomparissero, solo grazie a questo fatto.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

L'unico tratto positivo di questo film è stata per me la visione di un medico "alternativo". Infatti non è il classico medico che da farmaci a valanghe o che si dimostra freddo e fuori dall'ambiente di lavoro elimina ogni pensiero connesso ai suoi pazienti. E' un medico che, diciamo, si porta il lavoro a casa, nel senso che è premuroso nei confronti dei suoi pazienti con cui usa metodi diversi per cercare di raggiungere prima il problema e curarlo in maniera efficace e usando come miglior medicina la parola, la comprensione e l'affetto dove questo è necessario.

 

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Ho trovato interessante questa definizione di psichiatra che delinea come non sia un mestiere basato solo su diagnosi a risoluzione farmacologica o tecnica:

 

"Lo psichiatra, in senso stretto e cioè nettamente distinto dallo psicologo clinico e dallo psicoterapeuta, è dunque lo specialista aderente al metodo cliniconosografico, biologico e psicofarmacologico e da questo metodo fa discendere le sue tecniche e i suoi strumenti, sia diagnostici che terapeutici. Praticamente vuol dire che in genere tende a inquadrare lo stato morboso della persona in modo da poter riconoscere necessariamente una sindrome, cioè in modo da poter mettere insieme i sintomi della persona secondo un quadro predefinito, così da poter definire una diagnosi sintomatica del disturbo, molto più che una diagnosi della persona. La diagnosi psichiatrica si distingue dalla psicodiagnosi dello psicologo clinico e dello psicoterapeuta, giusto per il differente metodo adoperato: la prima si formula su base cliniconosografica e cioè privilegiando la logica dei sintomi anzichè della persona, la seconda privilegia la persona in modo complesso, osservando i sintomi come una risultante soggettiva della storia e della condizione della persona nel suo complesso.

 

Dal proprio metodo per fare diagnosi, lo psichiatra fa conseguire la formulazione della cura, che ovviamente non può essere altro che diretta ai sintomi, poichè la diagnosi teneva conto fondamentalmente dei sintomi. Infatti la cura psichiatrica è quella che si presenta sostanzialmente organizzata su mezzi e tecniche fisico-chimiche, come gli psicofarmaci e altri farmaci collaterali, manipolazione del sonno, elettroshock, ricovero e degenza ospedaliera. Vedremo questi e altri argomenti, nella pagina che si occupa delle cure psichiatriche. Lo psichiatra non cura con la psicoterapia, a meno che non si è qualificato in psicoterapia, divenendo così psicoterapeuta.

 

Quanto descritto tende a definire in senso stretto lo psichiatra. In pratica accade, tuttavia, che lo psichiatra si serva, a volte anche in modo preminente, di metodi e tecniche psicologiche, anzichè psichiatriche, nella diagnosi. Questo accade quando lo psichiatra non si limita, giustamente, all'inquadramento cliniconosografico per fare diagnosi, ma si serve delle tecniche psicologiche del colloquio, delle tecniche di osservazione comportamentale, dei tests e reattivi mentali, delle scale di valutazione e altro, cioè di quei metodi e tecniche che sono proprie della psicologia clinica, o per meglio precisare, rappresentano un' area condivisa fra psichiatria e psicologia clinica. In realtà pratica, dunque, si viene a formare un'ampia area di coabitazione diagnostica, fra psichiatra, psicologo clinico e psicoterapeuta. Insieme così, spesso convergono anche nella convenienza degli strumenti diagnostici, sia psicologici prima citati e sia psichiatrici, come l'elettroencefalogramma, le valutazioni psiconeuroendocrine, le valutazioni radiografiche o di visualizzazione encefalica. Altrettanto spesso divergono.

 

Conviene ribadire che la divergenza, quando c'è, è dovuta all'impostazione di base nella diagnosi, che a sua volta è dovuta alla differente collocazione delle cause che psichiatri e psicologi attribuiscono alla psiche e alla mente. Gli psichiatri valorizzano innanzi tutto le cause endogene di tipo genetico e neurobiologico, gli psicologi clinici e gli psicoterapeuti valorizzano innanzi tutto le cause esogene e ambientali. La realtà più valida attualmente scientificamente, è che non si deve valorizzare nè l' una nè l'altra, poichè esse concorrono a determinare i disturbi. Infatti attualmente lo specialista psicoterapeuta possiede una formazione equilibrata fra psicologia e psichiatria e risulta essere lo specialista che maneggia con maggiore disinvoltura sia le metodologie psicologiche, che fisiche farmacologiche.

I risultati scientifici più recenti sembrano convergere sul fatto che l'esito psicologico e mentale umano, in tutti i casi sia dovuto all'interazione fra endogeno ed esogeno, dove l'endogeno coincide con qualcosa che potremmo chiamare la soggettiva soglia di sensibilizzazione all'esogeno, che dobbiamo intendere come un'enorme entità ambientale multifattoriale, dove i genitori e la famiglia ricoprono un ruolo fondamentale, ma non esclusivo.

 

Lo psichiatra spesso non tiene nel dovuto conto il fatto che, anche se è vero che l'ambiente in definitiva ha inciso nell'organico, non si può rimediare questo esito organico, come se fosse un esito derivante da causa organica: due esiti sull'organo, anche simili, ma che abbiano l'uno causa organica e l'altro causa ambientale, pur somigliandosi, richiedono trattamenti molto diversi. L'accordo su questo punto sarà il futuro convergere, necessario, fra psichiatria e psicologia.

 

Da http://www.psicoterapia-palermo.it/disturbi_psichici/schizofrenia/lo_psichiatra.htm 


30 novembre 2010: LA FORZA DELLA MENTE di Mike Nichols, USA 2001, 99'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Bellissimo film! Molto forte, molto vicino alla figura del paziente, al suo pensiero, alla sua MENTE. Mi è piaciuto moltissimo e la drammaticità è amplificata dai sonetti di Donne che accompagnano la protagonista per tutto il film. La protagonista naturalmente è intesa dal mio punto di vista come la malattia. E' stato un film vero, non di quellic he si dice " si, ma tanto è un film " è stato un film che in certi momenti ti fa sentire li e ti lascia con un sorriso amaro in alcune delle sue fredde battute verso il mondo medico che si dimostra altrettanto freddo nei suoi confronti. Le scene che mi hanno maggiormente colpito sono state:

  • la visita medica con gli studenti, tutti intorno al letto del panziente, come cani affamati che si sbranano pur di afferare un pezzo di carne, privi di qualsiasi umanità che non si accorgono nemmeno che di fronte hanno una donna malata che ha perso i capelli e che si sente fragile e vulnerabile.
  • la sua morte, quando il medico infrange la volontà del paziente di non essere rianimata chiamando i soccorsi e zittisce l'infermiera che invece fa sentire i diritti della pziente più da amica che da infermiera. Peoprio tra lei e la paziente si era instaurato un rapporto, forse quasi forzato per la paziente che si dimostra per tutto il film dura nei suoi confronti e in quello degli altri, come lo era stata durante tutta la sua vita. 

Una delle cose che ha sconvolto e distrutto di più la paziente è sicuramente stata l'incapacità di riuscire ad avere sotto controllo una delle malattie più imprevedibili e crudeli, il cancro. 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Mai nella mia vità vorrò essere un medico di quel tipo! Spero di smettere prima la mia carriera se dovessi diventare cosi!

I medici di questo film sono freddi, sono privi di umanità, sono macchine insensibile nei confronti della malattia e del malato! Inaccetabile perchè il medico prima di tutto è un uomo e tale deve restare anche quando si trova di fronte a momenti crudi e difficili. Consiglierei la visione del film anche ai medici già in carriera per evitare comportamenti, se non uguali, simili a quelli dei medici del film.

 

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E' quasi scontato allegare un sonetto di Donne:

 

Morte, non andar fiera se anche t’hanno chiamata
possente e orrenda. Non lo sei.
Coloro che tu pensi rovesciare non muoiono,
povera morte, e non mi puoi uccidere.
Dal riposo e dal sonno, mere immagini
di te, vivo piacere, dunque da te maggiore,
si genera. E più presto se ne vanno con te
i migliori tra noi, pace alle loro ossa,
liberazione dell’anima. Tu, schiava
della sorte, del caso, dei re, dei disperati,
hai casa col veleno, la malattia, la guerra,
e il papavero e il filtro ci fan dormire anch’essi
meglio del tuo fendente. Perché dunque ti gonfi?
Un breve sonno e ci destiamo eterni.
Non vi sarà più morte. E tu, morte, morrai. 

 

John Donne (1573-1631)

Brano tratto da “Poesie amorose”, traduzione di Cristina Campo, Einaudi, 1971

 


 22 Marzo 2011: MEDICI PER LA VITA di Joseph Sargent, USA 2004, 110'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 Le storie vere , quando vengono portate sullo schermo, sono sempre interessanti, soprattutto se raccontano storie come questa ,che rendono onore a tutti quegli uomini che hanno dedicato le loro esistenze per migliorare la qualità della vita nella storia dell'umanità.

Il regista ci racconta questa bellissima storia di due uomini , notevolmente diversi tra loro (uno, medico affermato e bianco, l'altro dalle capacità manuali elevatissime e di colore, problema non indifferente se si considerano i problemi relativi al razzismo), accomunati dalla stessa grande passione per la medicina. Il tutto viene presentato in modo delicato, leggero, con cadenze gradevoli , con ottime fotografie e , cosa meritoria, viene anche trattata la problematica razziale nell' America di quegli anni.

Vivien Thomas viene assunto nel laboratorio del ricercatore e scienziato Dr. Blalock, in qualità di addetto a lavori manuali , di pulizia , di cura delle cavie, per il giardino, etc. Blalock è un chirurgo che sta lavorando sulla possibilità di intervenire a cuore aperto e ,ben presto , si accorge che Thomas , innamorato della medicina ha delle conoscenze mediche , una volontà di imparare e di apprendere fuori dal comune, accoppiata a delle capacità manuali eccezionali che gli consentono di costruire strumenti e macchinari così importanti che permetteranno di eseguire interventi di cardiochirurgia , impensabili fino a quel momento.

Dio li fa e poi li accoppia, mai massima fu così veritiera!!!

Siamo nel pieno della seconda guerra mondiale,1943, quando il Dr. Blalock viene elogiato dall'esercito americano per le efficacissime cure prestate ai soldati feriti e per questi meriti gli viene assegnata la responsabilità dell'ospedale Hopkins , il migliore in assoluto.

Thomas , con i risparmi accumulati facendo umili lavoretti , avrebbe voluto andare al college per studiare medicina, il sogno della sua vita, ma, sfortunatamente la banca in cui aveva i suoi risparmi fallisce , pertanto decide di seguire il Dr. Blalock nella sfida ormai intrapresa.

.Qui c'è il primo impatto con la discriminazione razziale, poiché Thomas è l'unico assistente di Laboratorio di colore in mezzo a tantissimi chirurghi e medici bianchi, tanto che non gli è consentito nemmeno entrare dall'ingresso principale, ma come tutti gli inservienti e operai qualsiasi, dagli ingressi secondari.

Uno dei chirurghi , la d.ssa Tausing ( che ci metterà di fronte anche al problema della donna-medico di quegli anni pieni di discriminazione per tutto ciò che non fosse uomo e bianco ) , pone un delicatissimo e gravissimo problema a Blalock: una malattia inoperabile e mortale sulle disfunzioni cardiache dei bambini che Blalock prende a cuore , incaricando Thomas di riprodurre sui cani la stessa malattia , per poter capire come intervenire chirurgicamente a cuore aperto.

Ovviamente, Thomas riesce a trovare le soluzioni tecnico-strumentali e il Dr. Blalock , sotto gli occhi stupefatti di tutti i chirurghi presenti, esegue il suo primo intervento a cuore aperto su un bambino, perfettamente riuscito.

Tutto il mondo accademico elogia l'operato del grande cardiochirurgo, portandolo alla fama, mentre Thomas è sempre considerato un semplice assistente, che lavora nell'ombra e i cui meriti non vengono messi in risalto come meriterebbe.

Questa cosa lo rattristerà per molti anni, ma il suo grande amore per la medicina e per il suo lavoro , non gli impedirà di restare al suo posto fino a quando nel 1964 , ormai Direttore di Laboratorio di tutto l'ospedale, gli verrà conferita la laurea HONORIS CAUSA in medicina coronando il sogno della sua vita!

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

E' un bellissimo film che permette di cogliere non solo l'immagine di un uomo che non è medico solo dal punto di vista burocratico ma sicuramente lo è più di tutti gli altri medici trovati nei film visti precedentemente, ci permette anche di valutare come la medicina si sia sviluppata piano piano, per tentativi e grazie all'intelligenza e anche all'umiltà che hanno colto la sfida del corpo umano come qualcosa di doveroso per l'uomo stesso.

Il cuore, prima inaccessibile, viene dimostrato accessibile e "curabile" e questa è una cosa fantastica che ci dimostra come la medicina sia una branca che si pone dei limiti ma che in realtà non ne ha.

Oggi le operazioni al cuore sono all'ordine del giorno e tanto di più la medicina si è riuscita ad addentrare in campi che un tempo erano condiderati off limits se non sconosciuti!

E' forse questo che mi piace di più della medicina, la continua sfida, il continuo progredire, il fare per fare del bene!

  

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   Visto che il film è basato sulla storia vera di questo straordinario uomo ho voluto citare informazioni relative alla sua vita:

http://it.wikipedia.org/wiki/Vivien_Thomas

 


 

5 Aprile 2011: L'OLIO DI LORENZO di George Miller, USA 1993, 129'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Il film mi è davvero piaciuto moltissimo, forse il migliore fra tutti quelli visti. La storia è davvero coinvolgente e inoltre ora che al secondo anno ho a che fare con materie già più specifiche, quali anatomia e biochimica, mi entusiasma ancora di più l'idea di ricercare cause e scoprire effetti delle eventuali malattie! In realtà questo film vuol lanciare un messaggio a tutti, medici e non: spesso non è necessario essere un medico per trovare delle cure adeguate,ma a volte basta ilcoraggio e la volontà di mettersi in gioco, di rischiare tutto anche l'impossibile per aiutare davvero il prossimo, compito che prima che al medico spetta all'uomo.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Il melodramma medico. O forse meglio: il film medico. È raro trovare un film in cui al centro della scena troviamo la medicina nell'arcano fascino dell’ignoto. L’olio di Lorenzo è proprio questo: una disperata ricerca dell’arcano che abita la scienza. E l’obiettivo non è solo nobile, ma giusto: trovare una cura ad una malattia incurabile che colpisce pochissime persone al mondo.

Purtroppo in questo film torna una visione negativa del medico rispetto ai protagonisti del film. Il fatto che si tratti di una malattia rarala rende naturalmente poco interessante per la ricerca. Purtoppo suppongo che non sia raro trovarsi di fronte a una malattia di cui ancora si sa poco e sentirsi dire dal medico che "non sanno" o che "purtroppo c'è poco da fare". Talvolta forse il medico non si spreca nemmeno a fare "quel poco" di cui sopra,ed è qui che interviene il coraggio delle persone che vivono il vero trauma della malattia e hanno il coraggio di affrontarlo. Io non so come reagirei da medico, ancora non posso dirlo, certo tutti ora direbbero"ah io di sicuro farei il possibile" ma poi quando ti trovi nella situazione non contano le belle parole ma i fatti, quindi non mi sento di rispondere. Quello che è certo è che se capitasse a un mio caro allora si, andrei anche fino in capo al mondo.

 

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Naturalmente appena tornata a casa mi sono cercata subito informazioni riguardo alla malattia citata nel film: http://it.wikipedia.org/wiki/Adrenoleucodistrofia

"L'adrenoleucodistrofia è una malattia genetica dei perossisomi (organelli intracellulari contenenti vari enzimi utili per la β-ossidazione); esistono varie tipologie di questa forma: l'adrenoleucodistrofia propriamente detta, la adrenoleucodistrofia neonatale e infantile (una delle espressioni della sindrome di Zellweger) e la più diffusa l'adrenoleucodistrofia legata al cromosoma X. In alcuni casi si assiste ad una degenerazione della mielina, un tessuto grasso complesso del tessuto neuronale che ricopre molti nervi del sistema nervoso centrale e periferico. Senza la mielina, i nervi non riescono a condurre un impulso, portando ad una crescente disabilità mentre la distruzione della mielina continua a crescere e ad intensificarsi."

 


 

19 Aprile 2011: PATCH ADAMS di Universal, USA 1998, 115'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Quando si pensa che al mondo non esista altro che cinismo e indifferenza, ecco che si sentono delle storie inverosimili che fanno apparire un barlume di speranza, storie di volontà, altruismo vero e cuore. E' la storia di Patch Adams un giovane uomo che resosi conto delle proprie capacità decide di iscriversi alla facoltà di Medicina ed é proprio li che inizia il suo percorso formativo. Purtoppo non ammira molto i suoi colleghi che lavorano provando indifferenza e avidità nei confronti dei pazienti con i quali lui invece ama stare e allietare; ed è così che crescerà professionalmente facendo del suo particolare rapporto con i pazienti una vera e propria filosofia di vita! e Tutt'oggi infatti continua ad essere un'icona nella terapia del dolore e nel rapporto con il paziente.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Fare il medico non vuol dire solo guardare la cartella clinica, vuol dire guardare in faccia la persona ( e non il paziente) davanti a cui ti trovi.

Fare il medico vuol dire mettersi in gioco senza avere fede cieca nei libri di anatomia ma farsi un idea propria per poter andare oltre le conoscenze attuali e non per avidità di riconoscimenti ma per altruismo. Io credo che se non ci fosse stato Patch Adams ci sarebbe stato un altro prima o poi che avrebbe sconvolto il mondo della medicina, qualcuno che sarebbe uscito dagli schemi rischiando tutto.

Il medico è colui che salva,che guarisce e che aiuta, ma se lo fa da uomo con il sorriso sul volto non è forse meglio?

Taluni si lamentano nel vedere medici magari con peluches o nasini rossi al di fuori dal reparto di pediatria, li considerano poco professionali, io spero che per quando mi sarò lauretata sarà stata un po' accantonata questa opinione perchè ancheio vorrei riuscire a vivere la medicina con almeno la metà della filosofia di Patch.

 

 

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A questo proposito vorrei dire come ci siano numerosissimi corsi organizzati dagli ospedali e non per comprendere il dolore e la sofferenza che il malato vive e le possibili alternative per migliorarne le condizioni.

Oltre ai corsi ci sono anche associazioni che si impegnano sia con la Clown-terapy sia con la Pet-terapy;

Se qualcuno volesse approfondire sull'argomento o eventualmente partecipare in modo attivo può consultare siti come questo: http://www.clownterapia.it/

Io personalmente ho seguito un corso sulla terapia del dolore nell'ospedale pediatrico mediante clownterapia tenuta ogni anno dall'ospedale mayer e ho avuto modo di vivere l'esperienza della clown terapia in prima personae penso che tutti i medici futuri e non dovrebbe avere nel loro bagaglio di esperienze una come questa!

 

 

 

 

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