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Conti Caterina

Page history last edited by Caterina 12 years, 9 months ago

PORTFOLIO

Ad ogni incontro devi esprimere i tuoi pensieri sul film proposto editando questa pagina e scrivendo nello spazio sotto a ciascuna domanda

 


12 ottobre 2010: CARO DIARIO di Nanni Moretti, Italia 1993 (IV episodio: Medici) 30'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Terribilmente reale! E mi dispiace, ma è sempre più diffuso trovarsi di fronte a medici che si sono dimenticati o che non hanno mai avuto come obiettivo della professione quello della Cura. 

Mia madre ci ha messo un anno intero perchè le venisse diagnosticata una Polimialgia reumatica, malattia non troppo grave, ma disabilitante e dolorosa.

A mia zia sei mesi per risolvere un problema di cisti epatiche, che ne' da specialisti ne' dal medico di base volevaano essere trattate.

Ho avuto mal di schiena per sei mesi nell'anno 2009: non uscivo più, non riuscivo a muovermi; forse la causa era psicosomatica, ma nessuno che abbia avuto il coraggio di dirmelo e dopo ortopedici, fisioterapia, dentisti, chiropratici, massaggi, palestra correttiva, psicoanalisi, mi sono rivolta all'agopuntura e per la prima volta dopo tempo ho riprovato la sensazione di non sentire i muscoli del collo delle spalle della schiena, e sono stata meglio. Forse la guarigione è derivata dall'insieme di tutti questi tentativi, ma se posso per mettermi mi sono praticamente indirizzata e curata da sola.

Peccato che ci siano sempre meno diagnosti in grado di fare il loro lavoro in modo brillante; peccato che molti specialisti risultino fallimentarmente limitati e che spesso i pazienti gli si debbano sostituire. E' un peccato perchè tra questo fascio ci sono sicuramente dei medici che invece mantengono una certa integrità e professionalità e che purtroppo, data la diffusione del fenomeno contrario, vengono inseriti in questa generalizzazione; inoltre è un peccato perchè sempre più persone si sentono giustificate all'automedicazione senza probabilmente capire cosa stanno effettivamente facendo. Prendiamo mia nonna ad esempio: chiacchierando con le amiche si convincono di avere tutte la stessa patologia o lo stesso problema; un raffreddore diventa la polmonite dell'altra, uno sforzo articolare diventa artrite e così via. E da qui sfilze di esami, controlli, check-up, richieste di cure. Credo che mia nonna sia una delle persone più sane della famiglia.

Ma la colpa è dei medici che hanno permesso la diffusione di un giudizio negativo della nostra professione.

Ora in quanto dispiaciuti e complessivamente in disaccordo con questi atteggiamenti ( per lo meno da ciò che è emerso nella discussione) credo che seppur minimamente scoraggiati e in svantaggio rispetto a cloro che si laureavano quando il medico era visto come indiscutibile portatore si salute, dobbiamo sentirci fautori di un cambiamento che nasce proprio dal criticismo già da oggi emerso.

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

 

 

 


19 ottobre 2010: UN MEDICO UN UOMO di Randa Haines, USA 1991, 124'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Immediatamente dopo la visione del film, non mi sentivo di dire niente: le tematiche sono molte e di considerevole complessità, così sentivo il bisogno di elaborare le informazioni che mi erano arrivate. Dal mio punto di vista vengono affrontate troppe problematiche per essere un unico film e perchè se ne possa effettivamente apprezzare ogni particolare, inoltre ho notato un' enfatizzazione eccessiva delle situazioni affrontate dal protagonista.

Io personalmente avrei apprezzato di più se avessi riscontrato semplicità, perchè il rapporto personale tra il medico e le due donne, che nel film arriva ad avere la prevalenza emotiva ne leva alla sottolineatura del cambiamento dell'etica professionale e della più leggera affettività, perchè neonata, che verrà applicata nel lavoro.

Senza ombra di dubbio viene dimostrato che non si è abili di capire le situazioni finché non le si vivono, e questo vale sia per situazioni generali che per altre particolari, come nel nostro esempio in cui appare quanto questa condizione mentale dell'uomo e la sua abitudine a non immedesimarsi nell'altro siano dannose alla sopravvivenza stessa. 

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Induce e conferma l'idea che sia una professione particolarmente complessa e osservabile da moltissimi punti di vista a partire da quelli diametralmente opposti: il medico deve essere professionale, distaccato e per certi versi freddo, contemporaneamente deve entrare in contatto col paziente per potergli effettivamente dare l'aiuto necessario: perchè le cure sono fatte di farmaci e progresso scientifico e contemporaneamente dal senso di protezione e,in un certo modo, anche del sentimento amoroso. E questo non perchè i rimedi chimici non siano effettivamente efficaci, ma perchè non sono sufficienti a soddisfare il fabbisogno di un essere di corpo e mente.

 

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

 

 


16 novembre 2010: IL GRANDE COCOMERO di Francesca Archibugi, Italia 1993, 96'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Devo necessariamente confessare di essere molto affascinata dal mondo delle malattie psichiche e dall'insieme di tecniche di cura che negli anni sono state messe in pratica. Non posseggo all'oggi le conoscenze sufficienti per poter affrontare una discussione scientificamente valida, ma in qualche modo, forse per un qualche istinto, credo di essere piuttosto vicina a quel mondo.

Mia madre, interessata all'argomento, essendo psicologa, potrebbe avermi in qualche modo influenzato, o magari è a causa della convivenza per qualche anno con la malattia dell' Alzheimer contratta da un vecchio zio; rimane il fatto che a oggi sono sempre un po' incantata dai meccanismi della mente, sia che siano fisiologici che non.

Ho apprezzato la visione del film, e mi sono molto divertita a osservare una realtà clinica lontana dall'oggi, rappresentata dall'ambiente del reparto così semplice, libero, improbabile nella struttura ospedaliera moderna. Mi ha ricordato un telefilm che adoravo guardare quando ero molto piccola: "Amico mio", di cui non ricordo molto, se non il bambino protagonista, qualche nota della colonna sonora e la sensazione di un ambiente di degenza inconsueto rispetto a quello sperimentato da me stessa oggi. Dunque le cose sono cambiate... 

Eppure sembra sempre che nel periodo della propria vita cambino poco, o per lo meno è quello che sembra a me. Mi spiego, è facile notare che avvengono dei cambiamenti a noi stessi, che ci sono eventi che ci fanno cambiare abitudini, altri che addirittura ci stravolgono, ma non mi risulta altrettanto facile, se non mi sottopongo con estrema attenzione all'osservazione e all'ascolto, che ci sono altre realtà più o meno grandi, ma relativamente distanti che contemporaneamente cambiano. Così è vero che non potrei ricordare con esperienza diretta la realtà ospedaliera degli anni '90 essendo io stata piccola e fortunatamente sana, ma è solo oggi che mi accorgo che questa ha effettivamente subito mutazioni.

Trovo che un elemento fondamentale del film sia l'infermiera. Devo ammettere che mi ha infastidito la sua presenza per quasi tutta la durata del film; non mi piaceva il suo modo di lavorare ne' di relazionarsi, non apprezzavo il modo in cui parlava e anzi l'ho trovata spesso inopportuna. Era percepibile che provasse disagio nell'ambiente lavorativo,  che evidentemente non la appagava e che anzi la stressava alquanto, si percepiva, inoltre, che alla base vi fosse un disagio altrettanto importante nella sua vita privata, ma tutto questo non mi permetteva comunque di giustificarla in qualche modo. Fino al gesto estremo del lancio del cane. Ebbene, per quando l'abbia trovato agghiacciante, nel senso che: " povero cane", è stato quello il momento in cui ho provato affetto verso il personaggio e ho finalmente trovato una giustificazione alle sua azioni. Non che vi fosse una giustificazione o una spiegazione nella scena stessa, com'è ovvio, ma l'espressione della debolezza della donna mi ha dato, finalmente, la possibilità di avvicinarmi al personaggio.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Nel film è presentato un medico evidentemente disturbato; inappagato dalla sua vita personale e alla ricerca di scopi esterni al sè per sentirsi felice. Questo è finalmente espresso quando confida alla bambina di aver trovato in lei il un motivo per alzarsi al mattino, evidentemente, non ne aveva altri personalmente validi! Poichè credo che sia parere comune che persone che non si soddisfano personalmente siano quanto meno instabili, posso affermare con sicurezza che il protagonista sia infelice.

La domanda sorge spontanea: è possibile fare il medico e essere obiettivo ed efficace in condizioni di infelicità e inappagamento?

Ecco, io personalmente credo di no, in quanto più in generale penso che sia difficile poter aiutare altre persone nel momento in cui non si è sereni con sè stessi, paradossalmente come si può aiutare la pace altrui se abbiamo bisogno di risanare prima quella personale?

Quando trascorro periodi in cui mi apprezzo meno o in cui mi manca quel pizzico di autostima che mi fa sentire bene tendo ad allontanarmi anche dagli altri e questo credo che sia contemporaneamente per un senso di pudore per cui non voglio far vedere di avere qualcosa che non va, ma anche per una sensazione di inadeguatezza e insufficienza all'interno di una relazione.

Ecco che posso concludere e annotare che l'atteggiamento e l'approccio del medico presentato nel film sia negativo

 

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

 

http://it.wikipedia.org/wiki/Marco_Lombardo_Radice

 


30 novembre 2010: LA FORZA DELLA MENTE di Mike Nichols, USA 2001, 99'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

E' stata la prima volta in questo percorso cinematografico che volevo uscire dall'aula piangendo e senza rivolgere la parola a nessuno. E' evidente che molti provassero la stessa cosa: a dimostrazione la fiacca discussione che è stata intrattenuta successivamente. 

Il dolore emerge dal film con una violenza predominante, senza artefatti, naturalmente; è questo che mi ha lasciata attonita, travolta perchè tutto sommato non ho il ricordo di aver visto un film, piuttosto di esser stata in reparto e aver conosciuto una certa paziente di nome Vivian.

La semplicità delle scelte registiche è l'arma vincente della comunicazione.

Tra la vita e la morte c'è una linea, forse sottile, forse di spessore infinito o magari entrambe le cose considerando che fisicamente basta poco per scavalcarla, emotivamente serve una vita intera. L'uomo ne è spaventato, come del resto lo è di tutto ciò che ignora, ma a differenza di altre situazioni nel caso della morte, non ha libertà di scelta. Questo dev'essere ciò che lo rende arrabbiato al suo cospetto, sembra dominarci, comandarci, avere in mano la partita e probabilmente è così. Ma per quanto possa sembrare paradossale, perchè non affidarcisi, perchè, non fidarsi?

Io non credo di avere una spiegazione, è solo una proposta. Tendo però a seguire questa piccola filosofia e in molti casi, mi ha dato la possibilità di guardare oltre;di soffrire, ma di mantenere anche un piccolo sguardo di tenerezza verso la Fine.

 

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

La prima scena del film, rappresentante il colloquio medico e il momento della comunicazione della malattia, mi ha subito colpita; ho pensato due cose consecutive, ma non consequenziali. La prima è che se fossi stata il lei avrei avuto un moto di inaudita violenza verso il medico o probabilmente ancora di più se fossi stata l'accompagnatrice del soggetto malato: "ma come è possibile comunicare in tal modo?". La seconda pensata, data l'inammissibilità del dialogo, è stata che il Dottore e Vivian fossero amici di vecchia data. In qualche modo dovevo giustificare ciò che stavo vedendo e che non riuscivo a spiegarmi. Sono rimasta sorpresa dal fatto che non fosse così!

Certo, dev'essere difficile comunicare giorno dopo giorno verdetti di morte, ma ancor peggio dev'essere abituarcisi ed essere presi dall'indifferenza. E' chiaro che un medico non possa farsi carico emotivo di ogni paziente, di ogni morte, di ogni guarigione, ma ritengo che anche un comportamento totalmente asettico danneggi la professionalità, impedendo inoltre la possibilità di ricavare, da quello che è un lavoro molto provante qualcosa di umanamente caldo ed emozionante.  Io non penso che il dolore sia necessariamente negativo e nella giusta misura, imparando a dosarne le reazioni credo che sia fondamentale per praticare la professione; anzi la crescita del medico, e il suo avanzamento nella carriera derivano anche dall' affermazione del controllo emotivo, senza una totale negazione.

 

 

 

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

 

http://it.wikipedia.org/wiki/John_Donne#Poetica

 

Morte, non andar fiera anche se t’hanno chiamata
possente e orrenda. Non lo sei.
Coloro che tu pensi rovesciare non muoiono,
povera morte, e non mi puoi uccidere.
Dal riposo e dal sonno, mere immagini
di te, vivo piacere, dunque da te maggiore,
si genera. E più presto se ne vanno con te
i migliori tra noi, pace alle loro ossa,
liberazione all’anima. Tu, schiava
della sorte, del caso, dei re, dei disperati,
hai casa col veleno, la malattia, la guerra,
e il papavero e il filtro ci fan dormire anch’essi
meglio del tuo fendente. Perché dunque ti gonfi?
Un breve sonno e ci destiamo eterni.
Non vi sarà più morte. E tu, morte, morrai.

 

 

 

 

22 marzo 2011: MEDICI PER LA VITA di Joseph Sargent, USA 2004, 110'


Cosa ti senti di dire dopo la visione di questo film?

Tra tutti questo film mi ha lanciato messaggi più lontani dalla professione. Volutamente, credo, viene sottolineata con forza la discriminazione e quindi il problema del razzismo, che predomina.

Essere chirurgo non è così diverso dall'essere meccanico o falegname. 

Non a caso i primi chirurghi della storia erano barbieri e se oggi, fortunatamente al chirurgo è richiesto di studiare e di specializzarsi in certe aree corporee prima di interagirvi, non è poi così diverso dalla preparazione tecnica che affrontano altri lavoratori manuali, cambia l'oggetto, diverse sono le responsabilità, ma la pratica credo sia del tutto simile.

Vivian è medico: per la prima volta nel ciclo di questi film, denoto nel protagonista questa caratteristica. Essere medico, senza nulla togliere alla preparazione accademica, è in primis la passione per il corpo e la curiosità, il bisogno di esserne a contatto, l'amore per i meccanismi che lo governano e la voglia di farne parte.  Così è evidente che è proprio l'entusiasmo, che muove Vivian all'interno del suo laboratorio, a farci accettare senza dubbi il falegname come medico.  Anzi ciò che disturba e che viene sottolineato in quanto problematica è, piuttosto, il mancato riconoscimento dei meriti dell'uomo. Arrivano, ma arrivano tardi e credo che questo sia imbarazzante.

Io credo che fare il medico sia una vocazione, c'è chi può e chi non può! E tra chi può c'è chi vuole, chi non vuole, chi sa e chi non sa di potere. Tra chi decide di intraprendere questa strada c'è chi impara a far sbocciare la vocazione e la usa nel migliore dei modi, poi c'è chi invece non riuscirà ad esprimerlo al meglio. Ma come un tratto caratteriale essere medico è qualcosa di innato.

E' sottile il limite tra la passione e il mestiere ed è facile confondersi guardando alla soddisfazione derivante dal profitto piuttosto che dai successi delle guarigioni.

 

 

 

5 aprile 2011: L'OLIO DI LORENZO di George Miller, U.S.A. 1992

 

Mi è capitato spesso di fare delle piccole riunioni familiari davanti all'enciclopedia medica, fascicolata anni or sono con " La Repubblica", per indagare e informarci su sintomi, diagnosi e quant'altro.

E' una delle cose che ci riesce meglio fare in comunità, i cervelli funzionano, ci vengono idee, tentiamo di fare collegamenti per non escludere nessuna opzione. Non che non ci fidiamo del medico che ha dato il verdetto o al quale ci rivolgeremo nel più prossimo futuro, ma ci piace intervenire attivamente, capire cosa è veramente la malattia, quale la sua gravità e probabilmente vogliamo evitare che venga tralasciato qualcosa. 

Come già ravvisato nelle pubblicazioni precedenti, non è così raro rimanere insoddisfatti dopo l'incontro col medico e così credo che la nostra attività sia piuttosto comprensibile e condivisa: altri mi hanno confessato di avere i medesimi incontri familiari.

Questo film, elogio alla biochimica e al suo accurato studio esaltandone la praticità e la funzionalità in un caso estremo, di vita o di morte, avrei dovuto vederlo prima di dare l'esame, mentre stavo studiando, per ricavarne un'incentivazione motivazionale. Avrei guardato il libro con occhi diversi e probabilmente il nostro rapporto sarebbe stato migliore.

Il film è decisamente realistico; trasmette l'emotività senza mediazioni, nella sua esplosività così i momenti di dolore o di gioia arrivano diretti e sono percepibili. non vi ho trovato sbavature se non il fatto di essere un po' ripetitivo, forse un po' lungo, tutto qui.

Un tema piuttosto nuovo sul quale potrei riflettere è quello dell'economia farmaceutico-industriale che ruota intorno alla malattia: nel film è dimostrato, e nonostante il fatto risalga agli anni '80, oggi non vedo miglioramento, che la cura non è solo il rimedio della malattia, ma anche e forse ancora prima, una fonte di guadagno. Ciò che viene studiato è ciò che commercialmente è più proficuo, il medicinale che viene proposto è quello che permette il maggior guadagno.

Chi ci assicura che le medicine che usiamo siano le uniche possibili? Dobbiamo fidarci quando ci dicono che alcune malattie non sono curabili? E' realmente possibile oggi agire come i protagonisti del film? 

Io so, ne sono quasi certa, che il business farmaceutico sia uno dei più importanti per i paesi industrializzati, praticante a livello di quello delle armi: ci sono persone che si arricchiscono sulla malattia, così come succede per la guerra, la sofferenza altrui è causa di soddisfacimento e soprattutto è bramata. L'uomo volendo il bene per sè vuole male per i suoi simili: ci riflette? Avrà dei sensi di colpa? Qualche rimorso?

Io non lo so, non conosco nessun imprenditore e non posso chiederglielo direttamente, ma mi piacerebbe poter avere un confronto di questo tipo.

Rimane il fatto che siamo davanti a uno di quei casi in cui la sopravvivenza di uno sembra avere più importanza di quella di altri; è qualcosa di molto istintivo, ancestrale. In fondo per gli animali che non hanno un'organizzazione sociale funziona tutto così: qualcuno deve prima vincere per poi soddisfare le proprie voglie; forse certi uomini, per periodi della vita hanno bisogno di tornare alle origini filogenetiche, perdere un po' dell'organizzazione politica e comunitaria in cui siamo tendenzialmente inquadrati.

So che medici e rappresentanti farmaceutici hanno un rapporto molto stretto già a partire dalle prime esperienze lavorative; io spero, anzi mi impongo, di riuscire a gestirlo con fermezza e discriminazione per non diventare l'intermediario di un "mercato di Vita" evitando in ogni qual modo di limitare la mia fantasia di fronte agli orizzonti della cura.

 

Allegati::

Propongo a coloro che vogliono approcciarsi con gioia alla biochimica la visione della seguente serie tv: FRINGE

Per documentarsi sulle problematiche economiche associate alla sanità (in questo caso prettamente americana) propongo il documentario SICKO diretto da Michael Moore

 

 

PATCH ADAMS di Tom Shadyac, USA 1998

 

Cosa ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Drammaturgicamente vincente! E' evidente che il film sia stato pensato per un grande pubblico e personalmente credo che sia riuscito ad affascinarne la maggior parte. Mi ricordo che quando uscì nelle sale cinematografiche ero alle elementari e che per caso o per volere, non mio credo, non sia andata a vederlo: però mi erano rimasti impressi i commenti e ricordo che un mio compagno andava vantandosi di assomigliare a Patch. Oggi non so cosa sti afacendo questo bambino cresciuto, speriamo che sia riuscito nei suoi intenti.

Così quando ho deciso di recuperare la visione del film, sul divano di casa con un bel piatto di pasta, mi sono tornati alla mente discorsi che avevo sentito da bambina e con molte probabilità è stato forse meglio non averlo visto allora.

Comunque non è un film che sconsiglierei per i più piccoli, tutto sommato ci sono frammenti tristi e come sottofondo una serie di sofferenze, ma nel complesso il mesaggio è disalvezza e speranza e credo che questo sovrasti il resto.

E' molto interessante che si sia diffusa la cultura del sorriso in ospedale; oggi sono tante le associazioni di volontariato che propongono il sostegno psicologico a i malati attraverso l'ilarità, c'è chi si propone ai bambini, chi invece lavora coi più grandi, alcuno recitano, altri ballano, poi c'è qualcuno che canta, ma qualunque sia i mezzo condividono lo stesso fine. Forse coi bambini è più facile, si lasciano maggiormente andare, si affidano di più; puoi allontanarli dal pensiero della malattia con più semplicità, non ti ostacolano. Che fatica invece con certi adulti, così abituati a pensare, così affezionati al realismo, da non volersi permettere un momento di pace. Io sono un po' così, un po' "musona" e intrattabile quando sono malata, lo sono quando ho un po' di febbre non voglio immaginarmi se mi succedesse qualcosa di peggiore. Però sto cercando di migliorarmi, devo ammettere che non è per merito mio, piuttosto di qualcuno che mi ha voluto bene e che mi ha alquanto sgridata quando con un poco di influenza chiedevo sostegno emotivo, magari un po' di compagnia, per poi prendere a pedate chiunque mi si avvicinasse.

Mi sono molto divertita a vedere il film: mi è piaciuta l'introduzione, ovvero la descrizione dell'avvicinamento di Patch verso la medicina. Uno degli approcci più vincenti: sentire la vocazione, sentire che si vuole dare, dare e dare e che già questo sia un corrispettivo avere. Poi la filosofia di ogni gesto di questo medico, rincuorante, stimolante. La collettività, la collaborazione, servirebbe anche tra semplici vicini di casa e senza ombra di dubbio è la miglior cura che ci si possa offrire, anoi e a chiunque altro.

La perdita del senso collettivo è dannosissima, essere soli significa essere più deboli.

C'è un'altra cosa che ho ritrovato nel film tra le tante che penso anche io: ovvero il concetto che curare qualcuno non significhi combatterne la malattia piuttosto aiutare a stare bene, collaborare al raggiungimento della serenità. E quando Patch sostiene che il successo della cura sia indiscusso se questa è fondata sulla cura della persona, ecco, io mi sono commossa.  Sì perchè è proprio quello che provo e a volte sentireselo dire, anche se da uno schermo, rende tutto un po' più vero.

Allegati

http://it.wikipedia.org/wiki/Patch_Adams 

Comments (1)

francicu said

at 3:22 pm on Mar 12, 2011

questo film mi ha fatto scoprire e adorare JD!!

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