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Cesari Martina

Page history last edited by martina 12 years, 10 months ago

PORTFOLIO

Ad ogni incontro devi esprimere i tuoi pensieri sul film proposto editando questa pagina e scrivendo nello spazio sotto a ciascuna domanda

 


12 ottobre 2010: CARO DIARIO di Nanni Moretti, Italia 1993 (IV episodio: Medici) 30'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Mentre guardavo il film, osservando tutti quei medici che prescrivevano ogni tipo di farmaco senza porre attenzione alle parole del paziente, mi sono detta: "io sarò diversa". Forse è presto per parlare, forse con il tempo e la pratica mi renderò conto che varie vicende ti portano ad essere fredda e distaccata, però ad oggi voglio credere che io sarò diversa. Voglio credere che farò il possibile per porre la giusta attenzione verso i "miei" pazienti e che mi ricorderò sempre che davanti a me ho un essere umano malato e non "un'enciclopedia vivente di sintomi". Voglio credere che saprò ascoltare....

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Sapendo che il film è autobiografico dobbiamo vergognarci di come si presenta la sanità italiana. Dal film emerge un quadro agghiacciante che descrive la figura del medico come un uomo presuntuoso che pur di non ammettere di stare sbagliando continua a prescrivere medicine inutili, sperando forse in un qualche miracolo. Dal film emerge il problema del declino della soggettività del paziente, nel senso che ormai si dà importanza alla sintomatologia e il malato è visto solo come il portatore della malattia. Nel film infatti Nanni non è mai ascoltato, si trova sempre a parlare di fronte alle teste chine dei medici intenti a prescrivere farmaci.

Un secondo aspetto emerso è che il sapere medico è settoriale, nel senso che si osserva il sintomo sotto un solo punto di vista e mai nella sua globalità: il dermatologo pensa che il "prurito" sia legato ad una malattia della pelle, l'allergologo ad un'allergia.

 

 Significativo è, anche, il fatto che Moretti voglia tornare nella clinica cinese solo perchè c'è un clima più sereno, c'è collaborazione tra i vari medici....solo perchè è considerato in minima parte.

Il dottore, infatti, dovrebbe ricordarsi che è al servizio del malato, è un uomo che ha le competenze per poter guarire gli altri ma non per questo si deve sentire onnipotente. Il medico dovrebbe mettere a suo agio il malato, dovrebbe collaborare con i colleghi per giungere ad una diagnosi completa, dovrebbe ammettere di trovarsi in difficoltà e di non sapere, invece di rimediare prescrivendo farmaci. In poche parole, il medico dovrebbe essere leale verso il paziente, dicendo come stanno le cose, anche se questo comporta una "figuraccia".

 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.)

 

 

"Mi sembra che a vegliare il paziente l’avrei tenuto in vita. Seduto su una sedia  di similpelle grigia dai tubi freddi, gli occhi posati su quel volto privo di espressione, ero lo sguardo del bambino che crede di poter impedire alla candela di spegnersi. Pensavo solo questo: rimani vivo, rimani qui. Avevo reso le armi. Avevo strappato il mio biglietto da visita. In una notte era diventato medico. Un figlio di papà toccato dalla grazia: Paolo folgorato sulla via di Damasco, sant’Agostino sotto il suo boschetto, Claudel dietro il pilastro, e anche Pascal: ‘…lacrime di gioia… Rinuncia totale e dolce’. Ormai provavo  solo una gratitudine calma  e stupefatta. Pronunciavo finalmente il mio giuramento di Ippocrate. Un uomo dedito ai malati, per sempre, quali che fossero e senza condizioni, ecco cosa s’aveva fatto di me il mio paziente. Mi sono addormentato come qualcuno che  si eleva al servizio del dolore umano."  (La lunga notte del dottor Galvan)


19 ottobre 2010: UN MEDICO UN UOMO di Randa Haines, USA 1991, 124'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

La storia era un po' scontata: fin dall'inizio, si capiva come sarebbe finito. Anche se un po' prevedibile l'argomento centrale ( la freddezza di Jack MeKee verso i pazienti e la sua successiva "catarsi") era molto interessente e portava a riflettere su quanto distanti e, alle volte, anche maleducati possano essere i medici.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Appena finito il film ho pensato che come sempre, se non provi una determinata sofferenza, se non ti trovi in una certa situazione non puoi mai capire quale sia il giusto comportamento da tenere. All'inizio il nostro protagonista si mostra freddo, distaccato, non ritiene importante sapere il nome del paziente, l'importante è "aggiustare". Forse pensa questo perchè non è mai stato un paziente.

Quando lo diventa è infastidito dalla freddezza dell'otorino, così emotivamente distante e nel momento dell'operazione preferisce affidarsi a Bluefield, colui che parla con i pazienti sotto anestesia. E' quindi solo dopo aver provato la malattia e il rapporto medico-paziente che Jack capisce di quanto la freddezza dei medici possa infastidere, far rimanere male il malato...possa rendere ancora più dolorosa la malattia. Provando questa condizione e conoscendo la forza d'animo di June Ellis riesce a cambiare e a diventare un medico diverso che tratta i suoi pazienti con tutta l'umanità e il rispetto che ognuno vorrebbe ricevere.

Questo cambiamento ci fa riflettere su come dovrebbe essere il rapporto medico-paziente, concetto che voglio esprimere usando le parole di Ignazio Marino nel libro "Nelle tue mani" :"Prima di iniziare un intervento chirurgico o una qualunque altra terapia, ci si dovrebbe porre il problema di quante sofferenze si stanno per infliggere al paziente, quanti aghi infilati nelle vene, quante sonde introdotte nel corpo, quanti effetti collaterali dovuti ai farmaci e quale peso psicologico legato al dolore della malattia e alla speranza nella cura, ricade su di lui e sulle persone che gli sono vicine. Purtroppo tutto questo, nella maggior parte dei casi,non fa parte delle preoccupazioni di noi medici, che ci concentriamo sui risultati tecnici da raggiungere ma forse non teniamo nella giusta considerazione le variabili e le difficoltà del percorso. [...] se un paziente in ospedale non riesce a dormire perchè spaventato e teso, il medico gli prescriverà un sonnifero; molto difficilmente si fermerà a parlare con lui per chiedergli il perchè delle sue ansie e cercare di tranquillizarlo con la sua presenza. In entrambi le situazioni alla fine il sonno arriverà, ma i percorsi per raggiungere l'obiettivo sono stati molto diversi."

 

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La citazione è tratta direttamente dal film : "ho deciso che il mio tumore mi concede libertà"...forse solo un grande dolore, una grande malattia ci danno il coraggio necessario per poter vivere a pieno la nostra vita? ci rendono consapevoli dell'importanza dei piccoli gesti, dei sorrisi e del semplice aprirsi a un dialogo con gli altri e più precisamente in questo caso verso i propri pazienti!?

 


16 novembre 2010: IL GRANDE COCOMERO di Francesca Archibugi, Italia 1993, 96'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

La figura del medico, interpretata da Sergio Castellitto, risulta subito molto simpatica allo spettatore perchè si mostra interessato e molto vicino a tutti quanti i suoi pazienti, da lui considerati non come semplici casi da analizzare e curare, come corpi anatomici malati ma come persone vere e proprie affette da disturbi neurologici. Il comportamento "umano" mostrato dal dottore è ben evidente nella preoccupazione di Arturo di non "rompere le linee immaginarie" di un suo paziente.

La cosa che però forse più stupisce e ci lascia con una sorta di dubbio fino alla fine del film è il rapporto tra Arturo e Pippi: è un rapporto molto stretto che va oltre quello che ci dovrebbe essere tra un medico e un paziente, infatti Arturo fa regali alla piccola ragazzina, la fa rimanere in ospedale all'insaputa dei genitori e addirittura si addormenta con lei. E' un rapporto, a mio parere, troppo stretto, nel senso che alla fine tra medico e paziente ci dovrebbe essere comunque un distacco, utile a vedere tutto con occhi oggettivi, senza far entrare nella valutazione professionale giudizi soggettivi, come quando Arturo decide di trasferire la piccola Marinella dalla neurologia alla psichiatria, per aumetare il legame instaurato con Pippi, decisione che,poi, porta alla morte della piccola.

Anche quando Arturo dice che "lei è il motivo per cui si alza la mattina" non dimostra professionalità, infatti, a mio parere, ogni paziente e non uno in particolare dovrebbe essere il motivo per svegliarsi la mattina. Inoltre credo, che per il bene del medico, ma anche del paziente, il dottore dovrebbe avere un rapporto caratterizzato da una certa dose di distacco e di oggettività ricordandosi, sempre e comunque, che siamo in contatto con una persona che soffre.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Ritengo che la figura di Arturo ci mostra un medico che risulta positivo per la dedizione che mostra nei confronti dei suoi pazienti ma anche negativo per il rapporto creato con Pippi.

  Questo è il lato più preoccupante che emerge dal film perchè, a mio parere, il medico deve mantenere un certo distacco dal paziente che ha in cura per il bene suo e del malato stesso. E' corretto  e d'obbligo avere un comportamento "umano" che però deve rimanere professionale e con un certo distacco per poter dare giudizi oggettivi non influenzati da sentimenti nati dal rapporto troppo confidenziale creatosi con il malato, cosa che qui non accade, come dimostra  la scelta sbagliata di trasferire Marinella solo per avere effetti positivi alla situazione di Pippi.

Inoltre non trovo sano rapporti così stretti con i pazienti perchè portano il medico ad allantanarsi da sè, dalla propria vita perchè troppo "immersi" nei problemi dei malati. Infatti a mio parere è giusto e salutare che il medico abbia una sua vita, che in parte lo distragga dalle preoccupazioni del lavoro.

 

 

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30 novembre 2010: LA FORZA DELLA MENTE di Mike Nichols, USA 2001, 99'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Questo film mi ha lasciato letteralmente senza parole, abbattuta per il fatto che possano esistere davvero dei medici così compontenti ma così freddi e distaccati che ti verrebbe voglia di "prenderli a schiaffi" per il modo in cui trattano i pazienti.

Il regista è riuscito a cogliere una realtà ospedaliera terribile: la totale indifferenza del medico per il paziente, che viene trattato come una cartella, come un pezzo di carne da palpare, come una macchina che deve "ricordarsi di urinare". Mi hanno notevolmente infastidito gli atteggiamenti dei medici verso la paziente sofferente, ho trovato odiosa la domanda "come sta oggi?" posta di continuo da tutti ma a cui nessuno presta ascolto e ancor di più la scena della visita, in cui tutti i dottori parlano tra loro senza prestare attenzione alla paziente. E' senz'altro un film che ci deve mettere in guarda su come NON deve essere la figura del medico, un film che andrebbe visto ogni mattina prima di entrare in ospedale per ricordarsi che abbiamo a che fare con delle persone sofferenti che si rivolgono a noi in cerca d'aiuto. Dobbiamo ricordarci che il medico si deve dimostrare umano, deve portare rispetto e non come in questo caso far vedere il suo fastidio per doversi vestire troppo perchè il paziente è in isolamento, oppure guardarlo contorcersi nel letto senza fiatare, senza dire una parola di conforto, senza mostrarsi umano. L'atteggiamento che dovremmo sempre ricordarci di avere è quello dell'inferimiera che si occupa di Vivien, che si mostra umana, che le concede un po' del suo tempo per farle compagnia, per allievare come meglio può le sue sofferenze, per colmare un po' della solitudine che la circonda.

Infine vorrei soffermarmi sulla figura della protagonista, sola con il suo tumore in un letto di ospedale cerca di affrontare i dolori e le ore grazie ai suoi ricordi, grazie ai suoi studi, sentendosi meno sola e forse di nuovo viva. Ho trovato molto commuovente la scena in cui va a trovarla la sua professoressa e in cui Vivian decide di mettere da parte Jhon Donne e si lascia andare tra le braccia di una persona con cui ha trascorso attimi di vita, ritrovando per pochi minuti quella pace e quella serenità che ormai non conosce più, allontanando almeno dalla mente, per un momento, il tremendo dolore che l'accompagna in ogni istante.

 

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Dopo aver visto il film spero solo di non diventare mai così fredda, insensibile, senza cuore come sono questi dottori. Spero di non arrivare mai a considerare un essere umano come una cartella, come un incontro forzato per poter raggiungere determinati scopi, come una cavia per nuove cure. Spero di poter essere un medico competente con un cuore, con il coraggio di avvicinarsi a un paziente e confortarlo, un medico che si ricordi sempre di salutare, di chiedere come va e soprattutto di ascoltare le risposte dei pazienti, di prestare attenzione alle loro sofferenze.

Il grande medico, a mio parere, è colui che unisce competenza e professionalità con l'umanità, che troppo spesso viene dimenticata, è colui che sa quando avere un tono deciso e sicuro e quando un tono amichevole, sincero e pieno di sentimento.

 

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 Allego il X sonetto di Jhon Donne, poeta tanto amato dalla protagonista e che ricorre più volte durante il film:

 

Death, be not proud, though some have called thee
Mighty and dreadful, for thou art not so ;
For those, whom thou think'st thou dost overthrow,
Die not, poor Death, nor yet canst thou kill me.


From rest and sleep, which but thy picture[s] be,
Much pleasure, then from thee much more must flow,
And soonest our best men with thee do go,
Rest of their bones, and soul's delivery.


Thou'rt slave to Fate, chance, kings, and desperate men,
And dost with poison, war, and sickness dwell,
And poppy, or charms can make us sleep as well,
And better than thy stroke ; why swell'st thou then ?


One short sleep past, we wake eternally,
And Death shall be no more ; Death, thou shalt die.

 

22 Marzo 2011: MEDICI PER LA VITA di Joseph Sargent, USA 2004, 110'


Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

"Medici per la vita" è un film del tutto diverso da quelli visti fino adesso. Fin da subito ti coinvolge e ti appassiona, anche per il fatto di essere basato su una storia vera.

Mentre lo guardavo entravo a far parte della voglia dei due protagonisti di trovare il modo di curare alcune malattie, non solo per riscuotere successo e diventare importanti in campo medico ma soprattutto, cosa fondamentale dell'essere medico, per il bene del paziente e di tutti i futuri malati.

Thomas e Blalock spinti dal loro entusiasmo e dalla voglia di migliorare, di poter trovare una soluzione a malattie fino ad allora sconosciute, vanno contro tutti i pregiudizi del tempo, hanno il coraggio di sfidare i limiti della medicina e grazie alla loro intelligenza e al loro intuito riescono nell'intento. E' interessante anche il fatto che Blalock supera il razzismo ingiustificato del tempo perchè capisce che Thomas pur "essendo un nero", ha un innato talanto verso la professione medica e  quindi lo proclama suo fidato assistente e aiutante.

Mi ha lasciato, invece, perplessa il fatto che all'inizio Thomas, soltanto perchè uomo di colore, non riceve il merito che gli spetterebbe per la cura dei bambini affetti da Tetralogia di Fallot e mi ha rattristito anche l'indifferenza di Blalock che non sottolinea questa ingiustizia, anche se dentro di sè sa di sbagliare.

E' un film che mostra le qualità che dovrebbe avere ogni medico: coraggio, intuizione, spirito di avventura, fantasia, amore per il proprio lavoro, fiducia nelle proprie deduzioni, voglia di migliorare, ambizione, collaborazione, umiltà e molte altre...

 

 


La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 

Questo film, anche per il fatto di essere basato su una storia vera, mostra perfettamente la figura ideale del medico, rappresentata da Blalock, ma a mio parere, ancor di più da Vivien Thomas. Questi ha in sè tutti le qualità che dovrebbe avere ogni dottore, ha voglia di studiare, ha il coraggio di sperimentare nuove cure, ha l'ambizione di andare contro tutti per seguire ciò in cui crede, ha talento...

Thomas NON fa il medico, lui E' il medico, in quanto Vivien si sente un tutt'uno con la sua professione e con il suo ruolo sociale. Sa di svolgere un mestiere da cui dipende la salute e la serenità di altre persone e anche se non ha una laurea lui si sente medico in ogni momento della sua vita, dentro e fuori l'ospedale (non riesce a dormire perchè pensa ancora al lavoro in laboratorio). A mio parere tutti i medici dovrebbero essere medici, dovrebbero avere la voglia di studiare ogni giorno per migliorare e il coraggio di abbattere i tabù esistenti in campo medico. E' senz'altro un film che ci fa riflettere e che ci invoglia a migliorare, ci fa "sognare" una vita come questi due grandi pionieri cha hanno cambiato il mondo medico, salvando milioni di vite.

 

 

 

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"Azioni pioneristiche come queste sono state compiute non di rado sperimentando diretamente sui pazienti,s enza l'autorizzazione dei comitati etici, senza protocolli ufficiali. Prevalevano in mlte circostanze la creatività, il coraggio o la determinazione spregiudicata di un singolo medico che credeva fermamente nella propria intuizione e aveva nelle sue mani un enorme potere discrezionale. Il delirio di onnipotenza poteva pervadere la mente di alcuni,e  se da una parte tale atteggiamento contribuiva a volte a ottenere progressi più rapidi, a oltrepassare la frontiera, a fare sempre un passo in più, dall'altra esponeva al rischio di sfociare nella trasgressione dell'etica medica in veri e propri abusi che si ritorcevano proprio contro i malati, ignari e certamente non preparati a contraddire chi ai loro occhi era il detentore della conoscenza. era una linea di confine sottile- forse lo è ancora oggi- in cui è difficile distinguere nettamente tra il coraggio di un pionere e l'avventtezza di un medico ambizioso e interessato soprattutto al proprio successo personale. Quante vite sono state sacrificate sull'altare del progresso medico, quanti uomini e donne perduti nella speranza di salvarli? Penso al primo trapianto di fegato, eseguito nel 1963 (da Thomas Starzl): la sopravvivenza a un anno dall'intervento arrivò solo nel 1967. Per giungere a quel risultato  fu necessario passare atraverso tanta sofferenza. Bennie Solis, il primo essere umano ad essere sottoposto al trapianto di fegato, era un bambino di soli tre annii e morì dissanguato sul tavolo operatorio mentre il team dei chirurghi tentava disperatamente di portare a termine l'intervento. Nel racconto di chi era presente si percepisce ancora oggi grande emozione, il rispetto e l'umanità di un medico di fronte alla morte. Racconta Thomas Starzl: << Una volta pulito, Bennie venne avvolto in un lenzuolo bianco e gli infermieri lo portarono via da quel luogo così pieno di speranza che era la sala operatoria, per finire nella gelida camera mortuaria. I chirurghi non si muovevano, stavano tutti in piedi, appoggiati alle pareti, con lo sguardo abbassato e senza parlare. Non era la prima volta che assistevo a quella scena, che tormentava la realtà e anche i miei incubi, e non sarebbe stata l'ultima.>>

Nei confronti di queste esperienze provo sentimenti inconcialiabili, un'ammirazione sconfinata e insieme un biasimo profondo: come si poteva entrare in sala operatoria sapendo che quasi certamente il paziente sarebbe morto, e poi portarne un altro e un altro ancora e provare e riprovare fino a quando non si capiva l'errore e si perfezionava la tecnica che avrebbe permesso di salvare non quella vita ma tante altre in futuro? Erano uomini votati a una missione e a volte assorbiti da un senso di onnipotenza, ma senza di essi ogni conquista sarebbe stata impossibile."  ("Nelle tue mani" Ignazio Marino)




5 Aprile 2011: L'OLIO DI LORENZO di George Miller, USA 1993, 129'


Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

Guardando il film si rimane estremamente colpiti dalla figura di Augusto Odone, che con caparbietà e credendo nella sua intelligenza e praticità, in seguito alla scoperta della malattia del figlio, fa di tutto per poterne comprendere gli aspetti, mettendosi a studiare. Vuol capire per meglio poter affrontare le decisioni dei medici, per rendersi conto dei progressi o dei peggioramenti del piccolo Lorenzo. Insieme all'aiuto della moglie riesce a organizzare un simposio dal quale apprende l'efficacia dell' acido oleico in forma di trigliceridi e pieno di speranza lo inizia a dare al figlio vedendo dei risultati all'inizio positivi ma poco dopo deludenti perchè portano alla riduzione degli acidi grassi a lunga catena solo del 50%. Dopo quello che può sembrare un fallimento, Augusto torna in biblioteca e si rimette a lavoro riuscendo a trovare la soluzione nell'acido erucico. Anche in questo caso senza l'appoggio totale del medico che ha in cura suo figlio lo inizia ad usare fino a ottenere il risultato sperato: raggiungere livelli normali di acidi grassi a lunga catena nel sangue di suo figlio.

Colpisce proprio la capicità di quest'uomo e di sua moglie di trovare la forza in un momento così doloroso di passare del tempo a studiare, a capire, a cercare di trovare una possibile soluzione sottraendo del tempo con il figlio. La maggior parte dei genitori in una situazione del genere si sarebbe persa d'animo e sarebbe stata ogni istante a godersi il propio bambino, invece gli  Odone decidono di combattare sia per loro figlio ma soprattutto, viste le pessime condizioni di Lorenzo, per i figli di qualcun'altro, per salvare futuri bambini con l'OLIO DI LORENZO.




La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Nel film si notano le figure di illustri medici che studiano a una cura per l' Adrenoleucodistrofia però nel momento in cui gli Odone chiedono un appoggio e forse anche una rassicurazione sembrano tirarsi indietro perchè troppo occupati a salvare la loro posizione, il loro orgoglio medico, il loro prestigio. Se da un lato ci viene da pensare questo, dall'altro è anche giusto dire che comunque i medici devono rispettare dei protocolli e non possono dare troppo "spago" a eventuali cure senza avere delle prove sperimentali, e per questo pur sostenendo gli Odone prima di diffondere la la cura vogliono, giustamente, fare esperimenti per vedere la reale efficacia della cura. In questo modo si nota la professionalità del medico, che dà credito e valore agli studi condotti da persone che non sono medici però prima di dire: "ok, la cura è questa!" se ne vogliono assicurare.

Lasciano più a desiderare le figure delle due infermiere. La prima ha un giusto comportamento però non resiste più all'atmosfera che si respira in casa Odone e prova a consigliare un ricovero e per questo viene licenziata. La seconda, invece, si mostra del tutto indifferente al dolore di Lorenzo e scettica verso gli atteggiamenti amorevoli della madre, è fredda, distaccata e svogliata in ciò che fa.




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L’adrenoleucodistrofia è una patologia estremamente rara provocata da un’anomalia del cromosoma X che causa un accumulo di acidi grassi nelle cellule nervose cui segue la distruzione della guaina protettiva (la cosiddetta guaina mielinica) che le avvolge e la degenerazione progressiva di tutte le funzioni cerebrali. La patologia colpisce nel 60% dei casi in età infantile (fra i 4 e gli 8 anni) soprattutto maschi, mentre le femmine, che trasmettono poi la patologia ai figli, sono portatrici sane.



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I primi sintomi Lorenzo li manifestò al ritorno da un viaggio alle Isole Comore. Calo della vista e dell’udito, difficoltà di parola e di concentrazione portarono a credere in un primo momento che il piccolo avesse contratto una malattia tropicale, ma dopo circa un anno emerse la terribile verità: Lorenzo non aveva alcuna speranza di condurre una vita normale, di diventare adulto. Ma i coniugi Odone non rimasero inerti davanti ai medici che non potevano far altro che scuotere la testa davanti alla loro tragedia. Decisero che avrebbero trovato loro una cura e dopo anni studi e ricerche giunsero alla messa a punto dell’olio miracoloso, una miscela di sostanze estratte da olio di oliva e di colza, che si dimostrò in grado di arrestare il progredire della malattia.

La comunità scientifica reagì con grande scetticismo, ma nel 2002 giunse qualche conferma della reale efficacia dell’olio di Lorenzo nella cura dell’Adl. Risale infatti al Settembre di quell’anno la pubblicazione, sulla rivista New Scientist, dei risultati di due studi condotti dal 1989, anno di nascita del Progetto Mielina, al 1999 su 105 bambini (69 statunitensi e 36 europei, fra i quali due italiani) portatori della malattia, della quale tuttavia non avevano ancora manifestato segni evidenti. Allo studio partecipò il medico di Baltimora Hugo Moser, direttore del dipartimento di neurogenetica del Kennedy Krieger Institute, l’unico che attualmente prescrive il farmaco negli Stati Uniti.

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Lo studio ha dimostrato l’efficacia dell’olio di Lorenzo nel prevenire l’inizio della malattia nei bambini che sono ancora presintomatici, e nel rallentarne l’evoluzione nei bambini nei quali la patologia è già conclamata. Il 76% dei bambini trattati con il preparato dei coniugi Odone era ancora sano al termine della sperimentazione. Tuttavia l’olio non è in grado di curare la patologia, anche se può bloccarne gli effetti. Ciò nonostante, acquistare l’olio di Lorenzo è ancora difficile e oneroso. Informazioni in proposito si possono reperire sul sito del Progetto Mielina.

La storia della famiglia Odone ebbe un impatto emotivo così forte sull’opinione pubblica di tutto il mondo da ispirare nel 1992 il film “L’olio di Lorenzo”, per il quale Susan Sarandon fu candidata all’Oscar per l’interpretazione di Michaela (insieme a lei nella foto).



19 Aprile 2011: PATCH ADAMS di Universal, USA 1998, 115'


Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

 

E' un bellissimo film, che ogni volta mi fa dire anch'io un giorno vorrei fare qualcosa di speciale per aiutare gli altri come ha fatto Patch. Questo film ci fa capire quanto bene possa fare un sorriso vero ad un malato, quanto bene possa fare una risata fatta con il cuore, quanto bene possa fare il semplice rapporto umano, schietto e sincero. E' un film che ci insegna uno stile di vita, fatto di civiltà, simpatia, amore, altruismo puro e semplice.

Ciò che colpisce è il fatto che questo grande uomo riesce a trovare la forza per aiutare il prossimo dal suo tentato suicido e dal suo ricovero in un ospedale psichiatrico, dove capisce quali sono le reali condizioni di vita di un paziente. Decide di diventare un medico per poter cambiare anche un minimo la loro condizione. Pur affrontando la morte di Carin (uccisa da un paziente da loro aiutato) Patch non si ferma, ma dedice di portare avanti il suo progetto,si laurea e inizia a curare non solo la malattia ma anche l'animo dei malati, standogli accanto, facendo loro sentire tutto l'amore e conforto di cui necessitano.

In tutto il film colpiscono le sue frasi, il discorso davanti ai docenti universitari, la sua voglia di combattare il "male" con la forza della medicina e con la forza di un sorriso vero stampato sul volto.

 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Patch è il medico che ognuno di noi vorrebbe e dovrebbe diventare.

Ci insegna cosa significhi avere rispetto per un malato e per il suo dolore, ci insegna il modo per poterci avvicinare ad esso senza essere troppo invadenti, ma rispettando sempre ogni sua paura, ogni suo sentimento.

Ci insegna la vera anima della professione del medico, non fatta per guadagnare ma fatta per salvare. Oltre alla competenza che dev'essere propria di ogni medico lui riesce a mettere quel qualcosa in più che lo rende il Medico, riesce a essere cordiale con il paziente, gli regala un sorriso indossando un semplice naso rosso, gli sta accanto.

E' il medico che vive per salvare gli altri, che riesce a curare usano farmaci ed "eccessiva felicità"!





 

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Allego la siegazioe di clownterapia, nata  proprio da Hunter Pacth Adams http://it.wikipedia.org/wiki/Clownterapia 

 

Allego un'intervista rilascia da  Hunter Patch Adams durante un viaggio in Italia per tenere delle conferenze http://job24.ilsole24ore.com/news/Articoli/2010/05/Adams-apre-3052010.php?uuid=ed14506c-56af-11df-a6ca-2846584c0201 

 

Come è iniziata la storia di Patch Adams?

Mi sono accorto che la risposta della medicina al disagio era solamente dare pillole e parlare di malattia mentale piuttosto che usare il termine corretto: malattia sociale. Ho capito che bisognava cambiare.

Come descriverebbe la situazione attuale delle persone che incontra?

Quasi tutti odiano il loro lavoro, quasi tutti odiano loro stessi e sono infelici nel loro matrimonio. Questa è la ovvia conseguenza di un insano sistema educativo, un'insana organizzazione del lavoro, un insano sistema governativo e un insano piano di vita. Tutte situazioni molto ben descritte in migliaia di libri di sociologia, psicologia e medicina.

Sembra piuttosto pessimistica come visione: cosa possiamo fare al riguardo?

Non è pessimismo, è realismo. Il modo più semplice per dirlo è che dobbiamo cambiare il sistema di valori globale: attualmente il sistema poggia sul potere e sui soldi, occorre invece basarlo sulla compassione e sulla generosità. Possiamo far finta di non vederlo, ma per migliaia di anni nel mondo intero è stata data la massima enfasi unicamente a potere e denaro.

Che conseguenze ha avuto tutto ciò sul lavoro?

In tutto il mondo, sul lavoro, si sono create situazioni gerarchiche dove esistono capi sgradevoli meglio pagati dei loro sottoposti ai quali resta solo da sperare di prendere il loro posto arrivando sempre più in alto nella scala del potere. Ancora una volta solo attenzione al lato economico, senza la preoccupazione sul senso del proprio lavoro.

Ma come possiamo intervenire e cambiare questa situazione?

Il modo più semplice è dare delle pillole alla gente. Il modo più giusto è fare una rivoluzione. Dobbiamo essere onesti con noi stessi. Se leggiamo i giornali pare che le persone più importanti e significative siano gli sportivi famosi. E tutto questo è pazzesco. E' una società sottosopra. Le persone si sentono sole, depresse e spaventate. In ogni Paese le donne sono oggetti sessuali, invece che essere la fonte della dolcezza, della tenerezza e dell'amore. Continuiamo a fare guerre nel mondo e a distruggere l'ambiente. Ci vogliono convincere che saremo più felici con un paio di scarpe nuove. Si tratta una menzogna gigante che nessuno vuole rivelare. Le corporation amano questa situazione. Lo dice il pazzo Patch Adams: se continuiamo così presto saremo estinti. Le persone devono insorgere e cambiare, altrimenti siamo finiti.

Dobbiamo fare una rivoluzione contro il capitalismo e il mercato, contro la televisione che rende le persone stupidi robot. La televisione è la peggiore invenzione del ventesimo secolo.

Ma che strumenti abbiamo?

Le persone.

Tutto parte dalle persone quindi?

No, no: dobbiamo partire dalle idee. Tutto comincia dalle idee, da un sistema di valori basato sulla compassione e sulla generosità.

Spero che lei non censuri le mie parole e il mio messaggio, altrimenti questa intervista e questo viaggio sarebbero stati completamente inutili. Altrimenti tutto questo resterà solo il pensiero del "crazy" Patch Adams.

No, Patch. I promise.


 

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