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Burberi Leonardo

Page history last edited by leo_1990_@... 12 years, 8 months ago

PORTFOLIO

Ad ogni incontro devi esprimere i tuoi pensieri sul film proposto editando questa pagina e scrivendo nello spazio sotto a ciascuna domanda

 


12 ottobre 2010: CARO DIARIO di Nanni Moretti, Italia 1993 (IV episodio: Medici) 30'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Penso che questo episodio del film voglia porre l'attenzione su alcune delle mancanze che i medici possono manifestare nella loro professione e soprattutto nel loro modo di stabilire una relazione col paziente. Il film segue il punto di vista del paziente, palesemente infastidito dalla mancanza di impegno che i medici mettono nel seguire il suo problema (forte prurito) e ne rende manifesto il disagio. Il protagonista si trova a soffrire di un problema a cui nessuno sembra intenzionato a dare il peso che egli ritiene necessario; passa così da un medico ad un altro (l'uno di fama sempre maggiore di quello precedente) senza che nessuno gli dedichi più di cinque minuti, senza che nessuno gli faccia domande in qualche modo specifiche riguardo la SUA patologia e senza che nessuno si soffermi per più di pochi secondi a pensare a quale potrebbe essere la causa del prurito e, di conseguenza, a quale potrebbe essere una cura appropriata. Oltre al disinteresse per il paziente, emergono anche altri aspetti negativi della figura del medico: egli sembra essere profondamente svogliato nello svolgere la propria professione, talvolta quasi infastidito dalle lamentele del paziente; un altro aspetto che secondo me emerge è l'idea del medico come "incompetente": nessuno riesce a fare una diagnosi corretta e nessuno dei farmaci prescritti risulta in qualche modo efficace. Penso che, se interpretata in maniera costruttiva, la critica che il film porta avanti può risultare positiva per coloro che si apprestano a divenire loro stessi medici, ciò nonostante ritengo che l'idea di "medico" che emerge dal film voglia esaltare in maniera eccessiva gli aspetti negativi di questo, portandoli fino ad un estremo che, a mio parere, è poco reale o, perlomeno, poco comune.

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

La prima riflessione che il film ha stimolato (per quanto credo non sia annoverabile tra gli intenti del regista)  è stata riguardo la complessità della professione medica: ciascun medico fà una diagnosi personale della malattia che affligge il paziente, ciascuna sicuramente basata su esperienze di studio, di professione e di vita differenti: ciascuno ha la convinzione di aver individuato la giusta causa della malattia, per quanto vi abbia posto la minima attenzione ma, ciò nonostante, ciascuna si rivela allo stesso modo sbagliata: la causa del prurito pare debba essere ricercata in un tumore al polmone. Essendo per me difficile concepire come un cancro polmonare possa produrre come sintomo un prurito alla pelle, la prima riflessione è stata appunto rivolta alla difficoltà che un medico può incontrare nell'effettuare una diagnosi corretta, basandosi solo sui sintomi manifestati dal paziente, e sulle conseguenze che possono seguire ad un errore nell'effettuarla; il risultato è stato da una parte l'emergere del timore, dall'altra, della curiosità e della voglia di mettersi alla prova. Le altre riflessioni sono state riguardo gli aspetti che ho già citato alla domanda precedente, ovvero il distacco del medico dal paziente, e la sua mancanza di interesse e di passione verso questo e verso la sua professione. In più il film stimola una riflessione sulla soggettività del paziente, sul bisogno che questo ha di essere trattato come un uomo, con un proprio nome e una propria storia, e non come il paziente numero X. Questo sembra quasi voler dare soggettività persino alla propria malattia, vorrebbe che il medico non la trattasse come l'ennesimo caso di "dermatite ecc..." bensì come una malattia tutta nuova, da analizzare in ogni forma e sfaccettatura onde poterla curare con più impegno e più interesse anziché prescrivendo i soliti farmaci, per l'ennesima volta, per l'ennesimo paziente X... (è a proposito di questa ricerca di soggettività, di questo tentativo di non annullare la singolarità della la persona, che ho ritenuto opportuno citare una frase di Terzani, presa da "Un altro giro di giostra".) 

Allega tutte le integrazioni che vuoi (articoli di giornale, riferimenti a film, documentari o video, citazioni da libri, poesie, immagini, siti web, ecc.) 

"Allo stesso modo dei giornalisti, anche i medici tenevano conto esclusivamente dei fatti e non di quell'inafferrabile "altro" che poteva nascondersi dietro ai fatti, così come i cosiddetti "fatti" apparivano loro. E avevo un bel dire: ma io sono anche una mente, forse sono anche uno spirito e certo sono anche un cumulo di storie, di esperienze, di sentimenti, di pensieri ed emozioni che con la mia malattia hanno probabilmente avuto un sacco a che fare! Nessuno sembrava volerne o poterne tener conto. Neppure nella terapia. Quello che veniva attaccato era IL cancro, un cancro ben descritto nei manuali, con le sue statistiche di incidenza e di sopravvivenza, il cancro che può essere di tutti. Ma non il MIO!" 


19 ottobre 2010: UN MEDICO UN UOMO di Randa Haines, USA 1991, 124'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Si tratta di un film estremamente significativo che possiamo pensare come suddiviso in due parti; la prima si sofferma ad evidenziare il comportamento che il medico assume nei confronti dei propri pazienti; la seconda descrive i cambiamenti che a tal proposito conseguono al ribaltamento del punto di vista: il medico divente il paziente. Inizialmente sarcastico, irrisorio e superbo nei confronti dei ricoverati, egli diviene comprensivo e disponibile nel momento in cui, costretto dalle circostanze, si trova ad essere al loro pari. E' lampante che il fine del regista sia quello di esaltare quest'ultimo approccio del medico, a discapito del primo descritto che invece viene palesemente giudicato negativo.

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Uno dei rischi a cui un medico è sottoposto è quello di arrivare ad esaltare la propria figura al punto di sentirsi superiori agli altri, a tutto il mondo circostante: la relazione medico-paziente rischia infatti di essere interpretata come relazione sano-malato, forte-debole, istruttore-esecutore di ordini; questo tipo di approccio porta il medico a sentirsi appartenente ad un altro mondo rispetto al paziente, ad un mondo migliore, un mondo che esclude la possibilità che le due figure possano venire a coincidere in una sola persona. Soltanto quando questo avviene il medico può capire cosa significa vedere ignorate le proprie opinioni, passare giornate intere nelle sale di attesa, sentirsi trattare come un giocattolo e non come una persona. L'interpretazione che ho dato al messaggio film è appunto questa: il regista vuole indurre il medico a sforzarsi di mettersi nei panni nel paziente e ad agire di conseguenza, a "non fare al prossimo ciò che non vorresti fosse fatto a te". Infatti, richiamando le parole del protagonista, ogni medico dovrà prima o poi trovarsi dall'altra parte della scrivania ed essere il paziente! E l'esperienza fatta allora potrebbe essere arrivata troppo tardi per indurre lo stesso a svolgere il proprio compito di "bravo dottore". L'esperienza di malato avuta dal protagonista porta ad un rivoluzionamento del suo approccio non solo al paziente ma alla vita in generale: si mostra più umile e più corretto anche nei confronti di colleghi e parenti, dà un peso nuovo e diverso ad ogni esperienza, si impegna di più nella sua professione, nei suoi obiettivi e nell'insegnamento. Il risultato è l'acquisizione di una serenità profonda che prima mancava, oltre ad una maggiore soddisfazione ottenuta dallo svolgimento della sua professione. Riuscire ad annullare la differenza tra se stessi ed il malato, risulta insomma un metodo efficace per migliorare la concezione che un medico ha del suo lavoro innanzitutto, e della sua vita in generale.

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16 novembre 2010: IL GRANDE COCOMERO di Francesca Archibugi, Italia 1993, 96'

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Si tratta di un film piuttosto particolare che a mio parere può essere interessante , non solo da un punto di vista strettamente medico bensì anche da un pusto di vista educativo: si parla infatti di un caso clinico nel quale le ragioni del malessere fisico, dovranno essere ricercate nel malessere e nel disagio sociale; questo tipo di correlazione stimola lo spettatore ad indagare in prima persona sulle relazioni che possono esistere tra questi due mondi. Noi si sente spesso parlare del legame che unisce la frequenza d'insorgenza delle malattie allo stato d'animo e all'umore del paziente, ma spesso questo genere di affermazioni viene ascoltato con scetticismo e disinteresse: ecco perché ritengo che il film abbia una sua valenza anche da un punto di vista strettamente medico. Le classiche ricerche basate su varie analisi del SNC non portano a nessun risultato concreto: il medico si trova costretto ad indagare sulla vita personale della paziente, ed è solo così che riesce ad ottenere i risultati sperati: la bambina acquisisce fiducia nei confronti del medico e diminuisce la frequenza degli attacchi epilettici.  

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

 Penso che l'intento della regista fosse quello di delineare grosso modo i tratti del medico ideale: estremamente dedito al paziente, pronto a calarsi nei panni di questo, pronto a compiere sacrifici per lui, ad usare in funzione di lui tutto il suo tempo ecc... A mio parere ne emerge al contrario un'immagine completamente distante dalla realtà e, oltre ciò, non positiva del medico. Questi viene descritto come una persona che non ha nient'altro che la propria professione: è separato dalla moglie, non ha figli, non ha amici, non ha altre relazioni al di fuori di quelle stabilite all'interno del complesso ospedaliero; di conseguenza sembra buttare tutto sé stesso sull'esercizio della medicina. Egli si interessa al caso della ragazzina in maniera quasi morbosa: l'attenzione che dedica ad essa supera di gran lunga quella di cui dispone per gli altri pazienti, certamente non meno problematici di lei; non si trattiene dall'andare a trovarla a casa anche senza essere stato richiesto tanto che il padre arriva persino a sospettare intenti di pedofilia. A muovere il medico con tanta energia vi è, ancora più che l'interesse per il benessere della bambina, la convinzione per cui guarirla sarebbe per lui una soddisfazione tale da riparare al malessere profondo che lo affligge: dunque non soltanto tendenze altruiste stanno alla base di cotanto impegno.

Nonostante questo, ritengo che per altri aspetti il protagonista di questo film possa essere un ottimo modello a cui ispirarsi. Egli si impersonifica nei panni del paziente, cerca di interpretare i fatti dal suo punto di vista, osservando criticamente le carenze della famiglia, e intuendo dove andare a ricercare le cause della malattia. Non si arrende nel momento in cui questa sembra non avere una spiegazione plausibile, e si impegna a far aprire la bambina, inizialmente piuttosto diffidente. Anche con gli altri ricoverati si mostra estremamente paziente (diversamente dagli altri medici) nonché capace di conquistarne la simpatia, di capirne le problematiche e le difficoltà. E' facilmente apprezzabile l'affetto e la fiducia che legano il medico ed i malati che si affidano alle sue cure. 

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30 novembre 2010: LA FORZA DELLA MENTE di Mike Nichols, USA 2001, 99' 

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Il regista ha avuto la capacità di costringere il riguardante ad immergersi nei panni della paziente: ella allo stesso tempo è protagonista e narratrice del film; viene seguito in maniera accurata l'evolversi del suo caso clinico, della sua personalità e della sua interpretazione dei fatti: il è posto l'accento sulla trasformazione del paziente che si trova, in questo caso, a passare dall'essere una persona di successo, temuta e affermata, a divenire un mero oggetto di studio medico, privo di relazioni sociali, privo di rispetto e privo di speranza.  Secondo me il film trasmette un senso di profonda tristezza ed amarezza, e sospinge il riguardante a riflettere sull'apparente insensatezza della vita, che da un momento all'altro può fuggire via dal proprio controllo. La "forza della mente" appare da una parte l'unico punto saldo di una persona, l'unico tipo di forza che può essere mantenuta stabile indipendentemente dalle condizioni esterne e con cui poter affrontare problemi tanto difficili, dall'altro, si rivela effimera, in quanto incapace di mantenersi distaccata dalla condizione fisica, di sostenere il peso dell'avvicinarsi della morte. Un'altra sensazione trasmessa dal film è in qualche modo assimilabile alla rabbia, che emerge nei confronti dei medici, totalmente incapaci di trattare "l'oggetto" della loro professione come una persona e non come una macchina, e di rispondere adeguatamente alla richiesta di affetto ed umanità di questa

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

La riflessione indotta dal film va a parare sulle motivazioni per le quali il medico svolge la propria professione: egli non è stimolato né dall'interesse per la salute delle persone né dalla ricerca del loro benessere fisico-psicologico, piuttosto dall'attrazione che egli subisce nei confronti della sfida alla malattia. Il suo obiettivo primario è quello di riuscire a vincere questa sfida onde ottenerne una gratificazione personale ed egoistica. Due scene fanno emergere con forza questo aspetto: la prima, quella in cui il medico parla dei motivi per i quali ha scelto il reparto oncologico, testimoniando una specie di ammirazione morbosa nei confronti del tumore (descrivendola ad una paziente che sta per morire a causa dello stesso), la seconda quando il totale disinteresse mostrato per la protagonista per tutto il tempo in cui lei è in vita, viene meno nel momento in cui muore (richiamando così il medico alla propria sfida personale e al suo desiderio di riuscire a non perderla). La conclusione a cui una riflessione di questo tipo porta è evidente: delineando la figura negativa del medico, emerge per antitesi quella positiva; un medico dovrebbe essere capace di interpretare il disagio del paziente ed agire di conseguenza; il benessere di questo dovrebbe essere il suo principale interesse, la sensibilità, l'umanità e l'apprensione le sue principali caratteristiche! Il desiderio di aiutare gli altri deve avere una radice altruista, non egoistica! Penso che se tutti i medici avessero realmente questo approccio, esso sarebbe di per sé sufficiente a garantire comportamenti corretti ed adeguati, che gioverebbero non solo, ovviamente, al paziente bensì anche al medico.

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22 marzo 2011, MEDICI PER LA VITA

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Questo film è stato estremamente interessante e penso fornisca davvero degli ottimi esempi umani e professionali a cui potersi ispirare per il futuro. L'impegno, la benevolenza, la forza che i protagonisti dimostrano è toccante, ed è, per così dire, consolante, il fatto che alla fine i risultati desiderati siano ottenuti. Mi è piaciuta molto la figura di Vivien, in quanto mossa dal profondo unicamente da una passione e da un sogno che vuole raggiungere a qualsiasi costo: ritengo sia questo tipo di spinta, di motivazione, il miglior motore che un medico possa avere alla base delle sue azioni, delle sue gesta e delle sue ambizioni. Interessante infine, se non proprio da un punto di vista medico perlomeno da un punto di vista umano, l'introduzione delle tematiche razziali, che sicuramente per quegli anni sono state davvero un freno all'evoluzione della scienza medica e di molte altre materie, e che suppongo ancora oggi in alcuni posti possano costituire un ostacolo da abbattere al più presto, per lasciare spazio alle collaborazioni eccezionalmente funzionali di cui questo film porta testimonianza. 

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea della professione medica?

Il film mostra a mio parere degli ottimi modelli di medici, in particolare ovviamente il dottor Blalock e la dottoressa Tausing, entrambi dediti ed interessati alla scoperta di nuovi metodi, di nuove strade e strategie per curare i malati, in particolare i bambini blu. Come ho già detto però la figura da cui personalmente più mi piacerebbe trarre ispirazione in futuro sarebbe quella di Vivien, per la sua intelligenza, per la sua forza di volontà, per il suo eroismo e per il suo avere, per così dire, le idee chiare: egli è pienamente conscio del suo sogno, del suo obiettivo, e si mette d'impegno al massimo per raggiungerlo. Inoltre è intriso di una benevolenza eccezionale che penso sarebbe davvero per ciascun medico, una dote incomparabile ed eccezionalmente utile.

 

05 aprile 2011, L'OLIO DI LORENZO

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Questo film mi ha lasciato addosso una sensazione di profonda amarezza, mista al senso di speranza che attraverso la figura dei genitori il film riesce a trasmettere integralmente allo spettatore. Il film vuole rendersi testimone della profonda sofferenza che tante persone sono costrette ad attraversare a causa di malattie rare, che come tali poco interessano il mondo della farmaceutica e quindi della medicina. Anche in questo caso si rende drasticamente evidente il divario che si crea tra l'intento del medico e quello del paziente (o meglio in questo caso, del genitore): il primo mira ad accrescere la conoscenza scientifica della malattia, onde ottenere in futuro meriti, riconoscimenti e cure utili per i suoi pazienti, dando praticamente per scontata la morte del suo paziente attuale, che usa più che altro come cavia di laboratorio; il secondo invece mira a salvarsi, quindi vuole accelerare i tempi, vuole dare più importanza alla propria vita ovviamente, che non alla burocrazia ed alle procedure scientifiche. Si tratta di un contrasto che fa riflettere molto e che davvero trasmette tristezza, poiché testimonia l'essenza del mondo in cui oggi viviamo, quanto egoistica ed incentrata sul denaro sia la mentalità che caratterizza praticamente tutti i personaggi che i genitori di Lorenzo incontrano nella loro "avventura".

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea di professione medica?

Anche in questo caso il film si pone in maniera critica contro la figura del medico, ancora una volta descritto come incentrato ad ottenere maggiore conoscenza e maggiore popolarità; pare che la sola ragione che spinge il medico ad interessarsi del caso di Lorenzo sia appunto la curiosità di scoprire gli effetti delle cure che gli somministra, arrivando addirittura ad ignorare l'assenza di risultati, imponendo ai genitori tempi di attesa tali da garantire la condanna del bambino, solo per verificare gli effetti della terapia a lungo termine. Anche quando in un secondo momento il medico ed i genitori sembrano trovarsi dì'accordo, in realtà le motivazioni che spingono l'uno e gli altri sono del tutto diverse: egli continua ad interessarsi al caso degli Odone solo perché attratto dall'idea di accrescere la propria conoscenza della leucodistrofia. Il problema tuttavia si estende ben oltre la figura del semplice medico: la ALD è una malattia rara, che come tale colpisce poche persone, dunque interessa poco il mondo farmaceutico poiché questo difficilmente potrebbe trarre un guadagno dalla scoperta di un eventuale cura; ne deriva che nessun azienda, nessun Paese è disposto a finanziare le ricerche che dunque devono essere pagate coi soldi dei genitori dei bambini malati. Inoltre a rallentare le ricerche intervengono anche i protocolli scientifici che allungano di parecchio i tempi necessari a convalidare un farmaco; infine la competizione tra i vari ricercatori e l'egoistico desiderio di essere il solo a scoprire la cura fanno sì che sia difficile, rara e mal vista l'organizzazione di summit scientifici nei quali tutti i ricercatori possano confrontare e mettere a disposizione degli altri i propri risultati (il che logicamente sarebbe la cosa più opportuna, più utile e più veloce per trovare assieme una cura efficace). La riflessione che questo film mi ha indotto ad elaborare non riguarda dunque tanto la figura del medico in sé, quanto tutto ciò che insieme a lui sta dietro la figura della malattia: è davvero triste che la sorte dei pazienti sia in mano a gente che ne fà un business, dove ci si scanna per ottenere gloria e soldi, quando altre persone nelle loro mani han messo la propria vita.

 

19 aprile 2011, PATCH ADAMS

 

Che ti senti di dire dopo aver visto questo film?

Non credo sia facile per un medico discernere quale dei due esempi forniti dal film sia quello che più gli rassomiglia: se quello di patch, che fa il medico puramente per passione personale, ed è disposto a rinunciare ai soldi, al proprio tempo, alla dignità personale, o quella del decano, per il quale il lavoro del medico significa più che altro rispetto da parte degli altri, percezione di importanza se non di onnipotenza. Penso che queste due figure siano in realtà entrambe presenti all'interno di ciascun medico, l'una con una prevalenza diversa rispetto all'altra. Il film gioca sull'opporre le diverse caratteristiche dei due personaggi, coinvolti in una serie di vicende tra le quali spicca per importanza quella dell'uccisione di una seguace di patch da parte di un pazienti. Il film è toccante a mio parere se lo si guarda con la consapevolezza che si tratta di una storia vera, realmente accaduta, che patch adams esiste ed ha davvero fatto tutto questo; penso possa essere un esempio eccezionale anche per ogni studente di medicina, ogni apprendista medico, ed ogni medico già formato, per l'umanità, la benevolenza e l'altruismo che lo caratterizzano e che spesso e volentieri sono invece del tutto assenti nei medici di oggi.

La visione del film che riflessioni ha indotto sulla tua idea di professione medica?

Secondo me il film non fornisce nessuna illuminante rivelazione riguardo la professione medica, piuttosto appunto dei piccoli spunti di riflessione, che nel momento in cui vengono diretti ad uno studente di medicina, si trasformano in consigli significativi, come sempre volti a stimolare il prevalere del lato "umano" del medico, senza lasciare che la conoscenza del corpo umano, la stima degli altri ecc, possano indurre una superbia tale da far dimenticare quello che è l'unico ruolo del medico: curare il paziente. A questo proposito è funzionale il confronto tra patch ed il decano, che può essere ben analizzato in base a quella che è l'interpretazione che singolarmente ognuno dei due dà alla figura del paziente. Secondo il decano il paziente è un malato (quindi già per questo inferiore rispetto alla figura del medico, sano), che come tale gli fornisce la materia prima per poter svolgere la sua professione e che gli consente di mettere alla prova il potere che il medico ha sulla vita altrui. E' un oggetto, o al massimo una figura animata, di cui il decano si limita ad esigere il rispetto, quasi ricercandone anche il timore, senza minimamente interessarsi al suo stato d'animo, senza mai chiedersi se potrebbe fare di meglio per lui. Patch è esattamente l'opposto, ciò che cerca di ottenere è innanzitutto la serenità, quasi la felicità, del paziente, che ritiene fondamentale sia per consentire a quest'ultimo di sopportare la straziante permanenza nell'ospedale, sia per migliorare l'efficacia della terapia. Questa seconda figura di medico è ovviamente quella che il film "consiglia", quella del medico che si limita ad essere medico, ovvero a curare il paziente e a farlo con tutti i mezzi a sua disposizione; figura tanto bella quanto rara: a mio parere Patch Adams e coloro che lo hanno seguito sono davvero eroi dei nostri tempi, ma come sempre avviene gli eroi sono tali proprio perché unici, e restii a riproporsi; il disinteresse per il denaro, per la carriera ecc..., sono davvero difficili da trovare nei medici e non hanno neanche ragione di essere; secondo me l'importante è che l'interesse per il denaro e per la carriera non oscurino l'interesse per il paziente, non si accompagnino ad un insensato disprezzo per quest'ultimo, di cui sempre è importante sondare gli umori e rasserenare lo spirito; sopratutto in questo senso Patch Adams è davvero una figura esemplare. 


 

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